“Senza trucco!”…Daniele Callegari

Grande estimatatore della Musica del 900′, da Mahler a Strauss e Stravinsky, ma anche dei grandi autori russi, che sente “vicini al suo temperamento”. Il direttore d’orchestra milanese Daniele Callegari è anche un apprezzato interprete del grande repertorio verdiano e pucciniano. Ma accanto alla musica il nostro Maestro nutre altre passioni, non meno intense, in particolare il golf…

Il tratto principale del suo carattere?
Sono un ottimista.
Un tuo difetto?
Sono permalosissimo.
Qual è la  qualità che t’attrae di più in un uomo?
L’onestà e l’intelligenza.
E in una donna?
Lo stesso.
La persona a cui chiederesti consiglio in un momento difficile?
A mia moglie.
Il tuo ideale di felicità?
Andare a letto con la coscienza a posto.
Segno zodiacale?
Sagittario.
Superstizioso ?
No, ma scaramantico… Prima di salire sul podio mi tocco le p…
Cosa voleva fare da grande?
Sono “nato” musicista. Ho suonato per 12 anni alla Scala. Sicuramente non pensavo di diventare direttore d’orchestra.
Un libro che ha amato?
“I copialettere di Giuseppe Verdi” di Gaetano Cesari e Alessandro Luzio.
Il giorno più felice della sua vita?
Il giorno del mio matrimonio.
E quello più triste?
Quello della morte di mio padre.
Cosa le  manca di più nella tua vita di oggi?
Non ci ho mai pensato, a dire il vero. Ho una vita molto intensa e appagante. Forse poter giocare di più a golf, che è la mia grande passione. Anche se è un motivo un po’ futile…
La delusione più grande?
Vedere che prende sempre più piede la mediocrità, l’incapacità. Le qualità meritocratiche sono, ahimè, messe in secondo piano.
Una sua follia?
Credo proprio di non averne mai fatte.
E una sua mania?
L’ordine.
Un suo sogno ricorrente?
Di essere in viaggio su un aereo.
Di che cosa ha più paura?
Di una malattia grave e invalidante.
A lei, chi o cosa l’imbarazza?
Non essere all’altezza in una situazione.
La situazione più rilassante?
Sicuramente quando gioco a golf. Anche se la gara sicuramente non è per nulla rilassante, ma per me essere all’aria aperta è decisamente appagante.
Materia scolastica preferita?
La geografia.
Città o le città preferite?
Barcellona e Venezia.
Colore preferito?
Il rosso e il giallo.
Fiore preferito?
Il lilium.
Vacanza ideale?
Su una bella isola, senza cellulare e computer, magari con un bel campo di golf.
Giorno o notte?
Sicuramente il giorno. Non sono un nottambulo.
Il film più amato?
Non sono un gran appassionato di cinema.
La stagione dell’anno?
L’estate.
Parliamo di cibo. Il suo peccato di gola?

Sono molti. Al primo posto metterei  la cioccolata.
Da 1 a 10 che voto si da in cucina?
Direi tra il 7 e l’8.
Piatto forte in cucina?
Il rombo al forno con le patate, le olive, i capperi e i pomodorini.
Vino rosso o bianco?
Entrambi, con una leggera preferenza per il rosso.
Il paese dove le capita di mangiare peggio?
Recentemente sono stato in Finlandia. Lì, a mio gusto, si mangia decisamente male.
Cosa non manca mai nel suo frigo?
Le verdure.
Se dovessi cambiare qualcosa nel suo fisico cosa cambierebbe?
Onestamente non saprei.  Forse una “limata” al naso, ma va più che bene anche così com’è.
Quanto sacrifica di se stesso per l’apparire, per il cosiddetto “look”?

Direi poco,  per non dire nulla.
Il suo rapporto con la televisione?
Generalmente da “zapping” . Mi soffermo solamente sui canali satellitari “Classica” e un altro dove si da molto spazio al golf.
Parliamo di musica. Si ricorda il primo disco acquistato?
Sinceramente no. Però, ancor prima di entrare al Conservatorio ( ho iniziato a 14 anni) mi capitò di avere una cassetta di “Bohème” di Puccini, il mio primo vero approccio all’opera.
Il direttore d’orchestra è un po’ un “domatore” nella gabbia dei leoni?
All’inizio di carriera pensavo fosse così, che ci si dovesse imporre con una certa forza. Con il tempo mi sono ricreduto. Credo sia più importante un approccio psicologico con i professori d’orchestra. Poi bisogna dimostrare di sapere fare il proprio mestiere. Qui potrei riferirmi ancora a quel discorso di prima, riguardo alle delusioni.
Nella sua formazione di direttore ha avuto qualche modello di riferimento?
La mia grande e vera fortuna è stata quella di suonare per 12 anni alla Scala..
Che strumento suonava?
Ero percussionista e contrabbassista…
Alla Scala ha quindi avuto molte opportunità..
Si. Dal 1982 al 1994 ho avuto la fortuna di lavorare con Carlos Kleiber, Leonard Bernstein, Wolfgang Sawallisch, Claudio Abbado, Carlo Maria Giulini, tanto per fare qualche nome. Credo di essere stato una “spugna” nel cogliere o nel cercare di carpire il modo di lavorare di ognuno di questi Grandi.
Nessuna  predilezione in particolare?
Leonard Bernstein per il suo essere “artista”, nel senso di genialità e   passionalità e Riccardo Muti per il suo lavorare da grande “artigiano”  sull’orchestra per farla crescere quotidianamente.
Venendo al suo repertorio. Lei dirige molto, Verdi e Puccini . Se avesse l’opportunità di scegliere un titolo cosa vorrebbe affrontare?
Da qualche tempo a questa parte mi sono un po’ fissato sul “Cristoforo Colombo” di Alberto Franchetti. Ogni tanto cerco di proporlo a qualche teatro, ma è una richiesta che cade nel vuoto. D’altronde mi rendo perfettamente conto della complessità di questa partitura, sotto ogni punto di vista. A ciò aggiungiamo che non è certo un titolo “di cassetta” e sappiamo che, con i tempi che corrono, non ci sono teatri che si gettano in avventure a  ” rischio”.
Ci sono titoli che dirige meno volentieri?
Quelli che ho diretto in passato, legati soprattutto al cosidetto “belcanto” italiano: Rossini, Bellini e Donizetti. Sicuramente mi sento più in sintonia con Verdi e Puccini…
E anche attratto dal teatro del Novecento,visto che ha citato Alberto Franchetti…
Certamente. Non a caso ho avuto il piacere e l’onore di potere dirigere  le riprese de “I Cavalieri di Ekebù” di Zandonai, “Siberia” di Giordano, “I quatro rusteghi” di Wolf-Ferrari.  Ho anche diretto “Le roi Arthus” di Chausson in occasione del centenario della prima esecuzione a Bruxelles. Questo è un altro titolo che mi piacerebbe tornare a dirigere. Sono un convinto assertore che il nostro Novecento andrebbe preso in esame e riproposto con maggior coraggio.
Ci vorrebbe una “Novecento Renaissance” come c’è stata la “Belcanto Renaissance” e come per questo caso con una generazione di cantanti in grado di saperlo affrontare in modo adeguato?
Sicuramente, anche se stiamo entrando in un “campo minato”, servono interpreti con una certa personalità e fibra vocale e comunque, torno a ribadire, che questo repertorio deve tornare a essere eseguito e rappresentato.
Abbiamo aperto il capitolo cantanti. Una categoria non sempre facile da gestire…
Diciamo che io non amo quei cantanti che credono di avere la verità in tasca, che non si mettono in discussione, che esordiscono con la frase:”Ma io l’ho sempre cantata così”. Questo nella musica non può avvenire. Ci si deve sempre mettere in discussione e creare un dialogo, un confronto per arrivare a un linguaggio comune che il punto finale di un progetto.  Ecco l’importanza fondamentale delle prove, il lavoro con tutta la compagnia di canto. Mi oppongo fermamente contro il cantante “dell’ultimo minuto”, perché è una sorta di “mina vagante” all’interno della produzione e lo danneggia.
A proposito di cantanti, lei ha avuto modo di lavorare spesso con Mariella Devia…
Si, nei primi anni della mia carriera ho avuto modo di dirigerla in “I Capuleti e i Montecchi”, “Sonnambula”, “Traviata” e “Lucrezia Borgia”. Una donna e un artista con la quale ho avuto una straordinaria sintonia. Riferendomi a quando dicevo poco fa, Mariella crede molto nel lavoro preparatorio.. Ci si trovava addirittura prima dell’inizio delle prove  per discutere e lavorare al pianoforte. Le nostre strade si sono un po’ divise quando  ho sentito sempre più il bisogno di seguire il mio istinto musicale verso quello che è ora il mio repertorio.  Credo nella musica come espressione istintiva, più che  frutto di una maturazione cerebrale.
Certo, ma oltre alla sua passione per la musica del 900′ nel suo repertorio non manca Verdi…
Sicuramente. Credo di avere già diretto 15 opere della produzione verdiana e vorrei arrivare a dirigerle tutte.
Orchestre italiane e orchestre straniere. Quali sono le differenze sostanziali?
All’estero c’è molta disciplina. Difficilmente devi alzare la voce per richiamare all’ordine e al silenzio. Ci sono poi aspetti di natura sindacale. Le vertenze vengono affrontate all’inizio della stagione e quindi tutto fila liscio. Qui funziona esattamente al contrario. Si lavora con l’incubo dello sciopero che aleggia sulle prove e sulle rappresentazioni…
Abbiamo comunque una situazione musicale difficile….
Sicuramente. Siamo in un momento “a rischio”, quindi si dovrebbe mostrare il massimo della professionalità e fare vedere quanto la musica e i teatri siano fondamentali, rimboccarsi veramente le maniche. Dall’altro lato mi rendo sempre più conto di come l’Italia si stia sempre più allontanando da quello stato di eccellenza che avevamo.  Un esempio su tutti: la  Scala. Fino a non molti anni fa era un punto di riferimento mondiale per l’opera lirica, un punto d’arrivo nella carriera di un artista. Ora questo non lo è più, siamo stati superati dai teatri di Vienna, Parigi, Londra  e New York. Da italiano sono molto rattristato da questo e quando vado all’estero cerco sempre di dimostrare la nostra qualità, anche se devo asserire che, un teatro come il Metropolitan di New York, dove ho diretto di recente, per me è al top mondiale. Ho riscontrato un livello tale di professionalità, un’organizzazione del lavoro e non di meno quell’orgoglio di appartenenza che da noi è andato perduto. Vorrei poi aggiungere che qui in Italia mi capita di vedere direttori poco più che ventenni, che non hanno mai diretto un’opera,  debuttare  in grandi teatri. Un fenomeno deleterio, che mette in discussione la credibilità della figura del direttore d’orchestra.
Il suo rapporto con i registi d’opera?
Credo che molti dovrebbero tornare a rileggere o a leggere veramente i libretti delle opere. Si vedono ormai troppi anonimi “contenitori scenici”, cantanti che vagano senza capire cosa stanno facendo. Il tutto spacciato come “minimalismo” teatrale.
Torniamo al suo repertorio. Più opera o più repertorio sinfonico?
Prima di tutto voglio sfuggire da classificazioni. Non amo essere definito come un “direttore d’opera”, ma semplicemente un direttore d’orchestra e come tale cerco di produrmi in egual misura sia nel melodramma che nel concertismo.
E anche in questo campo nel suo repertorio ci sono molti autori del 900′ ?
Si, mi sento troppo lontano dal Barocco e da quell’epoca in genere, forse per estrazione culturale e professionale, vista la mia attività di strumentista. L’arco di tempo che va dal  Romanticismo al Novecento è  quello in cui mi esprimo al meglio.
Gli autori prediletti?
Gustav  Mahler, Richard Strauss e anche la grande Scuola russa che va da Caikovsky a Prokofiev, Rachmaninov, Sciostakovic a Stravinsky, che amo in particolar modo. Trovo la musica russa è passionale, generosa, ricca di slanci, la sento molto vicina al mio temperamento.

Milanese di nascita e di formazione musicale, Daniele Callegari all’inizio degli anni novanta s’impone all’attenzione dei più importanti teatri italiani divenendo in breve tempo uno dei direttori più in vista della sua generazione. Dal 1998 al 2001 è Direttore Principale al Wexford Opera Festival e dal 2002 al 2008 è stato “Chief Conductor” alla De Filharmonie (Royal Flanders Philharmonic Orchestra) di Antwerpen. Il suo particolare interesse per il novecento italiano e per il repertorio desueto lo indirizza verso una carriera lontana dalla “routine”, dandogli modo di dirigere alcune opere in prima esecuziona assoluta, fra le quali Alice di Giampaolo Testoni al Teatro Massimo di Palermo (1993), Oedipe sur la route di Pierre Bartholomée alla Monnaie di Bruxelles (2003); nel 2006, con la De Filharmonie, ha inciso i due libri dei Préludes di Debussy nella versione orchestrale curata da Luc Brewaeys. Nella sua attività con la De Filharmonie ha dedicato particolare interesse ad autori quali Bartók, Mahler, Prokofiev, Stravinskij, Shostakovich e Richard Strauss. Con questa orchestra ha effettuato tournées nelle principali capitali europee ed è stato ospite regolarmente al Concertgebouw di Amsterdam ed al Palais de Beaux Arts di Bruxelles. Daniele Callegari ha diretto in alcune fra le maggiori istituzioni concertistiche e teatrali del mondo.  Fra i suoi prossimi impegni, Aida e Bohéme alla Bayerische Staatsoper di Monaco, Nabucco a Wiesbaden con i complessi del Teatro “Regio” di Parma, La Traviata alla Staatsoper Unter den Linden di Berlino, Rigoletto all’Opéra Bastille di Parigi,  Il trovatore a Las Palmas e al Metropolitan, Carmen e Falstaff al Théâtre du Capitole di Toulouse, L’elisir d’amore alla Wiener Staatsoper, Madama Butterfly allo Sferisterio di Macerata, La traviata al Maggio Musicale Fiorentino, Simon Boccanegra all’Opera di Oviedo, Tosca al Teatro San Carlo di Napoli, Un ballo in maschera alla Washington Opera e all’Opéra de Montecarlo, Cavalleria rusticana, Pagliacci e Madama Butterfly al Liceu di Barcelona. A questi importanti appuntamenti sinfonici, aggiungiamo concerti sinfonici alla Radio Danese. La sua fama di direttore verdiano poggia anche su alcune importanti incisione discografiche, fra le quali La traviata, Il trovatore e Oberto, conte di San Bonifacio (Fonè).  Ha inciso inoltre titoli quali La Gioconda, I quatro rusteghi, Messa di gloria di Mascagni, Alice di Testoni, Stabat Mater di Pergolesi, Alessandro Stradella di Flotow. Con la De Filharmonie ha inciso musiche di Ravel, Debussy, Brewaeys e Joris. Recentemente ha inciso un Cd Deutsche Grammophon con Rolando Villazón e l’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano