“Don Pasquale” al Teatro Olimpico di Vicenza

"Don Pasquale" - Atto secondo

Vicenza,  “Settimane Musicali al Teatro Olimpico” – edizione nr.19 – “Ambasciatori di note”. Musicisti Italiani nelle Capitali d’Europa. Prima tappa: Parigi.
“DON PASQUALE”
Dramma buffo di Giovanni Ruffini
Musica di Gaetano Donizetti
Ricostruzione della versione con mezzosoprano, nel centenario della morte di Pauline Viardot.
Don Pasquale LORENZO REGAZZO
Malatesta GABRIELE NANI
Ernesto EMANUELE D’AGUANNO
Norina FEDERICA CARNEVALE
Un notaro YANNIS VASSILAKIS
Orchestra di Padova e del Veneto
Direttore Giovanni Battista Rigon
Coro “Dodecantus”, diretto da Marina Malavasi
Regia Francesco Bellotto
Scene Massimo Checchetto, Serena Rocco
Costumi Carlos Tieppo
Vicenza, 9 giugno 2010
La splendida cornice del Teatro Olimpico di Vicenza, si apre all’opera lirica con uno dei titoli più celebri del repertorio buffo, il Don Pasquale di Donizetti, proposto in una “ipotetica” versione Pauline Viardot. Abbiamo detto “ipotetica” perchè in realtà non è stato ritrovato nessun  autografo donizettiano  a testimonianza di quello che cantò la celebre “Diva” dell’800′ a San Pietroburgo nel 1845 e a Berlino nel 1849.  Oltre a un ovvio adattamento della tessitura, visto che la Viardot era un mezzosoprano anche se dotata di  una ragguardevole ‘estensione vocale (cantò anche Donna Anna del Don Giovanni mozartiano) si suppone che, essendo sorella della non meno celebre Maria Malibran,  inserisse secondo un gusto comune a quel tempo, arie di altri autori, in questo caso l’inglese, ma di gusto decisamente italiano, Michael Balfe. Di questo musicista la Malibran aveva interpretato nel 1836 Tha Maid of Artois che si chiudeva con un mirabolante “rondò” in tempo di valzer, “il piacer che inonda questo cor”. Brano scelto a chiusura dell’opera, al posto della  cabaletta donizettiana con “La morale in tutto questo”.  Credo sia abbastanza inutile dilungarsi sulla validità o meno di questa operazione che avrebbe avuto valore musicale o  di semplice curiosità musicale se ci fosse stata  a una cantante che potesse in qualche modo avvicinarsi alle caratteristiche della Viardot.
La pur volonterosa Federica Carnevale non ha il colore mezzosopranile, avvicinandosi più al soprano ma senza esserlo realmente. Non può quindi sfoggiare un centro corposo e nemmeno acuti svettanti e men che meno un bagaglio virtuosistico particolarmente ricco. Detto ciò questa versione Viardot si può dire conclusa in modo piuttosto deludente,  visto che, Norina a parte,  tutto il resto è  fedele all’originale, compresi gli ingiustificabili tagli di “tradizione” .  Nel cast primeggia la presenza   di Lorenzo Regazzo. Un nome che è  garanzia qualità. Anche in questa occasione il basso veneziano ha dato a Don Pasquale  recitativi argutissimi, coloriti, un canto morbido, una sagacia istrionica controllata sempre da un gusto severo. Va anche detto che l’interpretazione di  Regazzo è stata un po’ offuscata da un’orchestra intemperante,  chiassosa e pesante. Giovanni Battista Rigon, generalmente un ottimo concertatore, qui è parso povero di finezze, poco attento alle ragioni del canto, ignorando sfumature (vedi  la serenata “Com’è gentil” o il successivo duetto “Tornami a dir che m’ami”  prive di poesia, languore e abbandono amoroso).  Il  rispettato di un organico strumentale  originale in un contesto come quello del Teatro Olimpico, con l’orchestra appena sotto il palcoscenico, è improponibile (chi scrive  si trovava posizionato all’altezza dei 4 corni che  creavano  un’ottima barriera anti-canto!).
Per  tornare agli interpreti abbiamo ascoltato  l’interessante  vocalità di Emanuele D’Aguanno pur con delle difficoltà nello  sfumare e  modulare, salvo che non ripari nei falsetti (come nel duetto con Norina) e  Il baritono Gabriele Nani: voce di bel colore, morbida e ben modulata ma, almeno in questa occasione, disomogenea nello squillo.  In quanto al Coro  non si copre  affatto di gloria. Sulla messa in scena va subito detto che tutta la  compagnia, coro compreso, mostrano disinvoltura e brillantezza interpretativa, anche se lo spettacolo in se non è  esaltante. Dando per scontato il concetto che, in un teatro come questo, non è possibile intervenire scenograficamente se non con pochi elementi, la visione registica di Francesco Bellotto, che ha attualizzare la vicenda, è di quelle che vogliono sempre e comunque vedere un gran movimento sul palcoscenico,  con la convinzione di dare maggiore brillantezza alla partitura.   E allora ecco un anderivieni di  figuranti che ronzano attorno ai cantanti con inutili e poco divertenti gag .  Il  numeroso e anche piuttosto accaldato pubblico  presnete all’Olimpico ha gradito e ha salutato lo spettacolo con applausi convinti e prolungati. Foto  Paolo Tures