Teatro dell’Opera di Roma:”Moise et Pharaon”

Teatro dell’Opera di Roma, Stagione Lirica e di Balletto 2010 / 2011
“MOISE ET PHARAON”ou Le Passage de la Mer Rouge
Opera in quattro atti su libretto Luigi Balocchi e Etienne Jouy
Musica di Gioachino Rossini
Moise ILDAR ABDRAZAKOV
Pharaon NICOLA ALAIMO
Aménophis ERIC CUTLER
Eliézer JUAN FRANCISCO GATELL
Osiride / Una voce misteriosa RICCARDO ZANELLATO
Aufide SAVERIO FIORE
Sinaide SONIA GANASSI
Anai ANNA KASYAN
Marie BARBARA DI CASTRI
Etoile ospite FANG-YI SHEU
Orchestra, coro e corpo di ballo del teatro dell’Opera di Roma
Direttore Riccardo Muti
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Regia scene costumi e video Pier’Alli
Coreografia Shen Wei
Luci Guido Levi
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera
Spettacolo in lingua originale con sopratitoli in italiano
a cura di Giovanni Sbaffoni
Roma, 9 dicembre 2010
Spettacolo inaugurale per la stagione 2010-2011 del teatro dell’Opera di Roma con Riccardo Muti assoluto protagonista dell’evento. Ottima la scelta del titolo, trattandosi di un’opera di non facile esecuzione e, nonostante la lunghezza e la sostanziale staticità, tutta di piacevolissimo ascolto. E’ molto interessante anche l’idea di riproporla nella versione francese che senza dubbio aiuta a rivisitare questa partitura in modo diverso,  evidenziandone altri aspetti interpretativi rispetto a precedenti letture che in alcuni casi ci avevano abituato a considerarla una sorta di antecedente musicale del Nabucco senza collocarla nella sua giusta prospettiva.
La messa in scena affidata per l’occasione al regista Pier’Alli è in gran parte giocata sull’uso del video con risultati molto alterni, ora francamente disturbanti la percezione della musica come nella scena delle tenebre, ora invece di particolare efficacia come nella scena del passaggio del Mar Rosso. L’Egitto raffigurato da Pier’Alli si colloca infatti in uno strano tempo sospeso, nel quale pare di scorgere un po’ di rimembranze cinematografiche, da Guerre Stellari a Indiana Jones,  ed anche alcuni richiami all’attualità, come la tragedia dell’11 settembre nel finale primo, con un effetto complessivo che, se non si può affermare che entri in aperto contrasto con la musica, certo aiuta poco a ritrovare il clima di ieratica grandiosità o il dramma della lacerazione per un amore impossibile della coppia di protagonisti che la partitura ci narra. Anche le scelte cromatiche di scene e costumi, sebbene sostenute da un valido gioco di luci, sono apparse francamente monocordi e certamente non adatte a vivacizzare la lunga vicenda ed a valorizzare la raffinatissima grandiosità di quest’opera.
Analogo risultato quello ottenuto dal coreografo Shen Wei pur partendo però, ed è doveroso sottolinearlo, da premesse di ben altro spessore. Il suo sincretismo tra mondo orientale ed occidentale ha infatti un sicuro fascino  e, in assoluto, diversi motivi di interesse, ma, inserito del contesto di un’opera con le caratteristiche del Moise, ha purtroppo avuto il principale risultato di appesantire inutilmente la narrazione della vicenda, impressione ricavata e condivisa anche da diversi giudizi raccolti in modo estemporaneo tra il pubblico durante lo spettacolo, vanificando un po’ quello che dovrebbe essere il ruolo del balletto. Protagonista assoluto della serata Riccardo Muti, accolto con grande favore dal pubblico fin dall’inizio della recita. La sua lettura dell’opera è risultata impostata ad una compostezza quasi oratoriale di grande efficacia nei momenti in cui era richiesta e di ineccepibile rigore stilistico  che però, forse, ha lasciato un po’ in secondo piano i palpiti ed il dramma della vicenda amorosa nel conflitto tra amore e dovere.
Molto buona la prova dell’orchestra e soprattutto del coro diretto da Roberto Gabbiani, che si è distinto non solo nella celeberrima preghiera finale, ma nel corso di tutta la lunga ed impegnativa parte. E veniamo alla compagnia di canto, nel complesso tutta collocabile su un livello di ottima professionalità sia pure con delle differenze.
Nel ruolo eponimo Ildar Abdrazakov ha rappresentato con autorevolezza il proprio personaggio con voce bella, ampia ed omogenea in sintonia con la linea interpretativa scelta da direttore. Nicola Alaimo nella parte di Pharaon ha cantato anche lui con appropriatezza e rigore esecutivo anche se mancante un po’ di regalità, crediamo però più per una scelta del regista che non per impostazione musicale. Con qualche difficoltà nel registro acuto ed alcune durezze, il tenore Eric Cutler è venuto a capo della bella e difficile parte di Aménophis, in qualche momento forse poco aiutato dai tempi del direttore e sicuramente nel complesso penalizzato dal continuo movimento impostogli dalla regia. Molto buona la prova di Juan Francisco Gatell nella parte di Eliézer cantata con bel timbro morbido ed omogeneo. Grande protagonista femminile Sonia Ganassi nel ruolo di Sinaide, accolta con meritato affetto dal pubblico. Regale nel portamento come nella resa musicale della sua parte, ha cantato con gusto raffinato, generosità e partecipazione, infondendo con grande efficacia alla narrazione della vicenda l’unico momento di autentica, intima, umana commozione.
Nota dolente del cast il soprano Anna Kalyan nel ruolo di Anai. Pur risolvendo la parte, probabilmente non del tutto adatta ai propri mezzi vocali, con grande e metronomica esattezza musicale, riuscendo sempre nell’insieme a seguire i tempi del direttore, ha tuttavia mostrato alcune disuguaglianze di registro e diverse durezze nel forte e negli acuti che alla fine le sono costate qualche isolata, anche se un po’ troppo severa, contestazione da parte del pubblico. Quello che secondo noi mancava alla realizzazione del suo bel personaggio, oltre alla necessaria statura vocale niente affatto aiutata dalla postura e dai movimenti di scena della regia, è stata proprio la capacità di renderne la grandiosità dolente, il trapasso dalla passione amorosa alla rassegnata ma sofferta rinuncia per la fede ed il dovere. Al soprano è affidata infatti nel finale la terza ed ultima riesposizione del tema della preghiera con l’evidente intento di fondere, nel progressivo innalzarsi a Dio, un timbro quasi metafisico e più vicino al trascendente con la tragica profondità del dramma umano personale. Tutto questo decisamente è mancato.
Nel complesso buone le altre parti minori con una menzione particolare per la Marie di Barbara Di Castri. Grande successo decretato dal pubblico che al termine ha lungamente applaudito, con un filo di palpabile autocompiacimento per aver assistito all’evento. Ultima piccola nota, abbiamo trovato di gusto un po’ troppo commerciale ed in scarsa sintonia con l’occasione ed il luogo, la vendita dell’autobiografia di un direttore d’orchestra nell’ingresso del teatro e la relativa pubblicità inserita in bella evidenza nella seconda pagina del programma di sala.
Foto Falsini