Opera di Roma:”Die Entführung aus dem Serail”

Roma, Teatro dell’Opera, stagione lirica 2010 / 2011
“DIE ENTFUHRUNG AUS DEM SERAIL” (Il ratto dal serraglio)
Deutsches Singspiel in tre atti K384 su libretto Christoph Friedrich Bretzner
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Selim RODNEY CLARKE
Konstanze MARIA GRAZIA SCHIAVO
Blonde BEATE RITTER
Belmonte CHARLES CASTRONOVO
Pedrillo COSMIN IFRIM
Osmin JACO HUJIPEN
Coro e orchestra del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Gabriele Ferro
Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Regia Graham Vick
Scene e costumi Richard Hudson
Luci Giuseppe Di Iorio
Nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma
Roma, 16 aprile 2011

Delizioso nuovo allestimento di “Die Entführung aus dem Serail” (“Il ratto dal serraglio”) di Wolfgang Amadeus Mozart al Teatro dell’Opera di Roma. L’incantevole Singspiel è stato messo in scena, dopo quasi quaranta anni di assenza dal teatro capitolino, con la regia del grande Graham Vick. Come in altre occasioni, il regista inglese ci ha regalato una sua visione particolare dello spettacolo, proponendoci anche con questa nuova produzione una fantasiosa ma semplice idea della recitazione in musica. Una regia non moderna, come si usa spesso oggigiorno, con stravolgimenti spazio temporali, ma tradizionale, pur in un impianto minimalista. D’altronde lo stesso regista dichiara in una sua intervista che non c’è bisogno di attualizzare Mozart perché i sentimenti espressi nelle sue opere sono di per sé “moderni”. Tuttavia, pur mantenendo un’ambientazione d’epoca, Vick non ci fa sentire i personaggi come ingessati nella “cipria” settecentesca, ma li fa muovere con una gestualità molto più vicina all’attuale.
E così, grazie alla scena realizzata da Richard Hudson che ha creato anche i bellissimi costumi, Vick ci propone nei primi due atti un semplice cubo messo di traverso con un cielo azzurro carico di nuvole da un lato e un’apparente volta stellata dall’altro (somigliante all’altro cubo realizzato dal regista per il “Macbeth” scaligero di qualche anno fa, ma sicuramente più rassicurante): il cubo racchiude al suo interno il serraglio con le sue prede più preziose, vale a dire le donne, in particolare la donna che il pascià Selim ama, ma rispetta: Konstanze. Sulla scena, inoltre, sono presenti due giganteschi fili che pendono dall’alto, a indicare forse il legame di Konstanze, prigioniera, ma anche affascinata da Selim, forse il legame del sultano potente ma illuminato, anche lui innamorato che non vuole prevaricare con la forza la virtù della giovane. Bellissimo in proposito il lungo silenzio della musica sulle immagini di Konstanze e Selim seduti ai due capi di un tavolo enorme, vero simbolo dell’ incomunicabilità. Molto suggestivo anche il terzo atto con una posizione diversa del cubo, che ora si apre dall’alto e da cui fuoriescono i prigionieri nel tentativo di evasione. Anche in questo atto molti i momenti suggestivi in scena, come il gioco di apertura e chiusura delle porte sullo sfondo o come nel bellissimo finale dell’opera l’arrivo del coro, in abiti moderni (con le donne che hanno tolto il burqa ed indossano un più semplice velo), dalla platea ad acclamare il loro illuminato sovrano. Le luci, curate da Giuseppe Di Iorio, sono molto efficaci e donano un’immensa poeticità allo spettacolo rendendolo ancora più affascinante.
Per quanto riguarda la parte musicale dello spettacolo, anche qui delle note felici: anzitutto la direzione di Gabriele Ferro, che nell’aderenza alla partitura ha saputo cavare dall’orchestra una duttilità di suono raramente ascoltata, creando un effetto di spazialità adeguato anche alla grandezza del teatro. Buona la prestazione del Coro diretto da Roberto Gabbiani.
Maria Grazia Schiavo, nei panni della protagonista Konstanze, sfoggia un bel  timbro vocale, luminoso, con una salda emissione e un bel legato; nelle parti più liriche è molto convincente ma è in grado di affrontare anche gli ostici virtuosismi del suo personaggio, pur con qualche difficoltà nelle zone più acute, dove si avvertiva qualche stridore, in particolare nella grande aria “Martern aller Arten”. Il personaggio per il resto viene comunque centrato molto bene dal giovane soprano napoletano che unisce alle sue doti vocali anche una figura molto affascinante sulla scena .
Il tenore statunitense Charles Castronovo ha una vocalità  forse più adatta a ruoli prettamente lirici: nel ruolo di Belmonte si trova più a suo agio nelle parti più squisitamente estatiche del personaggio che non negli acrobatici virtuosismi, mostrando qualche difficoltà nella celebre aria “Ich baue ganz”. Tuttavia, nel resto dell’opera, si fa apprezzare per il colore, il timbro caldo e l’interpretazione del personaggio. Molto bravo anche il basso Jaco Hujipen nel ruolo di Osmin, con una voce di profonda autorevolezza,  anche nelle note più gravi e inoltre molto simpatico sulla scena. Graziosa e brava la Blonde di Beate Ritter, molto spigliata sulla scena e con una voce leggera, ma molto preparata tecnicamente. Discreto il Pedrillo di Cosmin Ifrim, con qualche forzatura nelle note più acute. Un cenno a parte per il pascià Selim, recitato perfettamente dal basso-baritono Rodney Clarke, il quale, oltre ad un magnifico physique du rôle, ha prestato la sua voce ad un personaggio che non canta in scena, ma con i suoi interventi è praticamente il coprotagonista dell’opera: veramente bravo. Nel complesso uno spettacolo molto bello in tutte le sue componenti, forse il migliore visto quest’anno al Teatro dell’Opera di Roma fino ad oggi.