Verona, 89° Festival 2011:”Aida”

Verona, Arena, 89° Festival 2011
“AIDA”

Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re
CARLO STRIULI
Amneris TICHINA VAUGHN
Aida HUI HE
Radames CARLO VENTRE
Amonasro LEONARDO LOPEZ LINARES
Ramfis MARCO SPOTTI
Messaggero FRANCESCO PITTARI
Sacerdotessa ANTONELLA TREVISAN
Prima ballerina ospite MYRNA KAMARA
Prima ballerina ELISABETTA CANDIDO
Primi ballerini GIOVANNI PATTI, ANTONIO RUSSO
Orchestra e Coro dell’Arena di Verona
Direttore Daniel Oren
Maestro del Coro Giovanni Andreoli
Regia  Gianfranco De Bosio
Coreografia  Susanna Egri
Rievocazione dell’Aida del 1913
Verona, 24 luglio 2011
In anticipo su quella che sarà la stagione nr.90, quella che, il prossimo anno sarà dedicata ai cento anni di spettacoli areniani, viene riproposto quello che è l’allestimento “simbolo” della lirica areniana, ossia l’Aida nella visione scenica che ne diede l’architetto-scenografo Ettore Fagiuoli creò nel 1913.  Inutile dire che, per quei tempi, il Fagiuoli fu geniale, coniungando la spettacolarità teatrale dello scenografo, al razionalismo funzionale dell’architetto. Un aspetto questo che raramente si è successivamente riscontrato in Arena, se non nel caso di un altro importante artista che ha dato tanto alle stagioni dell’anfiteatro veronese, il purtroppo ingiustamente dimenticato scenografo romano, Vittorio Rossi.  Tornando a  questa rievocazione dell’Aida del 1913, si può semplicemente dire che si ammira un bell’esempio di “archeologia teatrale”, in cui questo allestimento è stato rimesso a nuovo in tutta la sua carica visiva: colori rinfrescati e anche arricchimento di nuovi importanti dettagli, uno su tutti il grande velo che copre la scena nel quarto atto. Ovvio che ogni medaglia ha il suo rovescio: così a tanta magnificenza faraonica si contrappone una staticità teatrale e una visione dei personaggi che non va aldilà della convenzione. Ancor più di Nabucco, l’estetica visiva pesa sulla riecerca drammaturgica. Al regista Gianfranco De Bosio si può quindi riconoscere di aver saputo “dirigere il traffico” di comparse, coro, cantanti, con grande abilità. A onor del vero il regista veronese ha più volte dichiarato di essersi trovato a rimettere in piedi questa Aida con un numero di prove ridotto all’osso. Ci sia concessa un’ultima nota: i continui cambi di scena, non sono tra un atto e l’altro, ma tra i vari quadri, pesano non poco sullo spettatore, in particolare in serate non propriamente estive come quella del 24 luglio, con una temperatura che si aggirava attorno ai 14°.
A questa visione, che è proprio il caso di definire “faraonica”, di Aida si è fortunatamente contrapposta una lettura asciutta, nervosa, incalzante da parte di Daniel Oren. Il maestro israeliano ha impresso un suo marchio che oseremmo dire di stampo “toscaniniano”, con una concezione di Verdi stringato e incisivo. Gli accordi sono nitidi e pressanti. Forse i cantanti avranno trovato da ridire ma, questa Aida è musicalmente efficace e viva. Ottima, in tal senso, la resa di coro e orchestra. Gli interpreti vocali sono dominati dall’Aida del soprano cinese Hui He, che fa sfoggio di una linea di canto accurata, un bell’uso di piani e pianissimi, un timbro pieno e, in alto, molto squillante. Non dovrebbe però trascurare il fraseggio che appare troppo sacrificato al suono. Prova assolutamente negativa per il mezzosoprano Tichina Vaughn. Voce praticamente scissa in due tronconi. Uno rappresentato dalle note basse, ingolate e sgangherate. L’altro troncone abbraccia il resto della gamma, con qualche acuto ancora buono. Il fraseggio poi è inesistente, visto che canta in un italiano che rasenta le comiche di Stan Laurel & Oliver Hardy. Carlo Ventre non mostra vistosi limiti vocali. Il suo strumento è solido, sicuro, omogeneo, scattante e timbratissimo  negli acuti. Ne scaturisce un Radamés “fiero guerriero” e poco “innamorato”. Anche da lui emerge il sangue siculo… altro cugino di secondo grado di Turiddu! Buono l’Amonasro di Leonardo Lopez Linares che dovrebbe però stare attento a non scivolare in effetti poco verdiani. Marco Spotti è stato semplicemente Ramfis. Da autentico manovratore delle vicende, il basso emiliano è apparso imponente e ieratico. Ottimo! Incerto, forse non in serata, il re di Carlo Striuli. Appropriato e sicuro il messaggero di Francesco Pittari. La sacerdotessa di Antonella Trevisan, non si sa se per la posizione da dove cantava, è parsa alquanto sbiadita. Apprezzabili gli interventi del corpo di ballo e dei primi ballerini Myrna Kamara, Giovanni Patti e Antonio Russo. Successo caloroso, nonostante la bassa temperatura, da parte di un pubblico che stoicamente ha resistito fino alla fine quasi compatto.
Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona