Venezia, Teatro La Fenice:”Il Trovatore”

Venezia,  Teatro La Fenice, Stagione Lirica 2011
“IL TROVATORE”
Dramma in quattro atti e otto quadri, su libretto di Salvatore Cammarano, tratto dalla tragedia El Trovador di Antonio García Gutiérrez
Musica di Giuseppe Verdi
Il conte di Luna FRANCO VASSALLO
Leonora MARIA JOSE’ SIRI
Azucena VERONICA SIMEONI
Manrico FRANCESCO MELI
Ferrando GIORGIO GIUSEPPINI
Ines  ANTONELLA MERIDDA
Ruiz CARLO MATTIAZZO
Un vecchio zingaro SALVATORE GIACALONE
Un messo DOMENICO ALTOBELLI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice di Venezia
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del Coro  Claudio Marino Moretti
Regia Lorenzo Mariani
Scene e costumi William Orlandi
Luci Christian Pinaud
Nuovo allestimento in  coproduzione col Teatro Regio di Parma
Venezia, 7 dicembre
2011
La cifra distintiva di questo allestimento, largamente ossequioso della tradizione, è la luna: un’astro smisurato, che incombe, si direbbe, minaccioso nella maggior parte delle scene, spandendo la sua luce ora lattiginosa, ora sanguigna su una terra da day after. Sparuti elementi architettonici e paesaggistici, dal sapore vagamente metafisico, rendono la staticità di una vicenda che per la maggior parte rimane fissata nella torbida rievocazione del passato. Valenze simboliche assumono anche i colori dei costumi, soprattutto quel rosso sangue che domina nella scena gitana, reso ancor più sinistro dai bagliori del fuoco. Il medioevo, poi, viene evocato da un siparietto consistente in due arazzi con scene cavalleresche, siparietto che cade rovinosamente prima dell’ultima scena, estremo presagio di sventura.
Riguardo al cast, composto da artisti di prim’ordine, la prestazione più attesa era quella del giovane tenore Francesco Meli, esordiente nel ruolo eponimo. Si può dire che l’attesa non è stata disillusa. Ragguardevole voce di tenore lirico verdiano, caratterizzata dalla purezza del timbro virilmente brunito, Meli ha offerto un’interpretazione appassionata, ma nel contempo capace di toni delicati, in sintesi romantica nella più piena accezione del termine. Come dev’essere. Intensamente espressivo in «Deserto sulla terra», si è dimostrato a dir poco superbo in «Di quella pira» per la duttilità di mezzi vocali e lo slancio interpretativo. Peccato (veniale) che in entrambe le pagine l’acuto finale sia risultato traballante, in particolare quello (peraltro non previsto da Verdi), che chiude la tumultuiosa cabaletta, giustamente eseguita da Frizza col Da capo.
Alterna la prestazione di Maria José Siri, soprano lirico spinto in possesso di una sicura tecnica, ma con un eccesso di vibrato che non giova ad esprimere l’intenso lirismo delle sublimi pagine di cui è protagonista. Nella seconda scena del primo atto la sua interpretazione di «Tacea la notte placida »è risultata piuttosto piatta, senza le necessarie sfumature; analogamente nella cabaletta si è avvertita una certa pesantezza nell’accento, oltre a qualche approssimazione nei passaggi di coloratura. Ma in «D’amor sull’ali rosee» il soprano uruguaiano si è dimostrato capace anche di mezze voci e acuti assolutamente centrati per quanto un po’ troppo sonori. Positiva anche l’interpretazione della successiva cabaletta (anche questa eseguita senza tagli) morbidamente appassionata.
Quanto a Franco Vassallo, baritono dalla voce potente, forse un po’ troppo metallica e con un’impostazione che la fa risuonare a volte troppo ‘avanti’, la sua interpretazione è stata complessivamente dignitosa, anche se talora fredda come nel caso de «Il balen del suo sorriso». Altrove («Di geloso amor sprezzato», «Ah, dell’indegno rendere») è apparsa, invece, più autorevole e coinvolgente.
Ancora per certi versi acerba risuona la voce di Veronica Simeoni, non sempre timbricamente uniforme nei passaggi di registro. Tuttavia la cantante ha il merito di rendere il carattere tragico ed allucinato del personaggio con inusitata sobrietà stilistica, senza i soliti effetti caricaturali di maniera, come si è potuto cogliere in «Stride la vampa» e in altre pagine famose. Metallica con qualche affanno nei brani di agilità, la voce di Giorgio Giuseppini in «Abbietta zingara» si è sentita perdere di smalto nelle zone acute, pur delineando un Ferrando credibile.
Accettabile la direzione di Riccardo Frizza, che riesce ad instaurare un buon affiatamento tra l’orchestra e il palcoscenico, anche se non sempre  la concertazione è adeguata alla raffinatezza di una partitura, tra le più riuscite del Verdi successivo ai cosiddetti ‘anni di galera’. Ad esempio nella cabaletta «Ora per me fatale» l’orchestra indulge in sonorità bandistiche che, tra l’altro, rendono con troppa esteriorità lo stato d’animo del conte. Ma altrove (un esempio per tutti, «D’amor sull’ali rosee») il direttore sa esprimere il delicato lirismo che pervade la scena, affidato, nell’aria citata, soprattutto alla morbide sonorità dei clarinetti. Sottolineato con straordinaria partecipazione dall’orchestra anche il climax emotivo che anima il sublime finale dell’opera, nel quale sia Meli che la Siri hanno dato il meglio di loro stessi, modulando sapientemente la voce ad esprimere risentimento, amore, disperazione. Scroscianti applausi alla chiusura del sipario. Foto Michele Crosera – Teatro La Fenice di Venezia