Intervista a Linda Roark-Strummer

Linda Roark- Strummer è un soprano statunitense. A Tulsa ha iniziato gli studi musicali, per poi perfezionarsi alla Southern Methodist University di Dallas. Nella metà degli anni ’70 grazie ad una compagnia itinerante dell’Opera di San Francisco esordisce con “Le nozze di Figaro” e “Les Contes d’Hoffmann”. Nel 1978 si trasferisce in Europa e fa parte delle compagnie stabili di Heilderburg e Linz dove si specializza nel repertorio italiano.  Nel 1985 trionfa come Odabella nell’ “Attila” di Verdi alla New York Opera, ruolo che la porta a  cantare alla Fenice di Venezia, dove  nel 1987 interpreterà Lina nello “Stiffelio” di Verdi. Trionfa alla Scala di Milano come Abigaille nel “Nabucco”e nel medesimo teatro 1988 con Gianandrea Gavazzeni canta “I due Foscari”. Grazie alla sua interpretazione di Abigaille in Arena di Verona  vince il “Premio Zenatello”. Continua la sua folgorante carriera in teatri di fama mondiale come il Teatro San Carlo di Napoli, Colon di Buenos Aires e la Staatsoper di Vienna. Il suo repertorio comprende anche Norma, Tosca, Macbeth, Jenufa, opere nelle quali ha fatto notare la sua musicalità  e il grande temperamento teatrale. Altre notizie su Linda Roark-Strummer le trovate nel suo sito personale.
Lei ha cantato con i più grandi direttori d’orchestra del calibro di Gavazzeni, Bohm, Muti e molti altri. Con chi si è trovata meglio?
Gianandrea Gavazzeni era un uomo estremamente gentile, una cara persona e lavorare con lui è stato veramente molto gratificante. Ricordo che trascorsi tre giorni a Bergamo per studiare solamente con lui  il personaggio di Lucrezia Contarini dell’opera “I due Foscari”. Andavo nella sua abitazione due volte al giorno. Al mattino quando arrivavo lo aspettavo fuori dal suo studio e lo ascoltavo mentre suonava il pianoforte. Che meraviglia, che dolce ricordo. Con Karl Bohm ho lavorato una sola volta a San Francisco e non ho interagito molto con lui.  Ricordo che prima di un’esecuzione, ci siamo incontrati in un corridoio e lui era molto divertito perché aveva un grande buco sul suo vecchio maglione grigio! Devo molto ringraziare il Dr. Roman Zeilinger, il direttore principale dell’orchestra di Linz, in Austria. Ho avuto l’occasione di lavorare con lui non solo in teatro ma anche per alcune Cantate di Bach che ho interpretato Austria. Con lui ho affrontato il mio primo Mozart: il Requiem. Zeilinger mi ha insegnato molto sulla comprensione testuale in lingua tedesca e con lui ne ho affinato la dizione. Abbiamo avuto un bel rapporto e siamo tuttora in contatto. Ho sempre sentito un particolare feeling musicale con Riccardo Muti ed è stato un vero onore collaborare con lui. Gli devo molto per la mia formazione artistica. Uno dei ricordi più belli che lo riguarda è accaduto al Teatro alla Scala in una prova d’orchestra. Ghena Dimitrova non si sentiva bene e l’ho dovuta sostituire all’ultimo momento. In quel faticoso periodo ero immersa nello studio di molti ruoli nuovi e non avevo avuto il tempo di ripassare bene i movimenti registici inoltre era la mia prima prova con l’orchestra e con il Maestro sul podio. Muti mi disse di dimenticare la regia e di venire in proscenio a cantare. Era come se all’improvviso fossi completamente sola – senza coro, senza solisti, nessun maestro collaboratore, nessun macchinista – solo io, l’orchestra e Muti. Seguivo le sue mani mentre mi dirigevano e le sue dita riuscivano a portarmi dove pure io volevo andare. Era come se avessimo fatto musica insieme da sempre. Peccato che il resto del mondo abbia perso questo momento magico! Al termine della prova sono scesa dal palco ed ho  pensato “Beh, adesso posso morire. Ho appena fatto la migliore musica della mia vita”.
Ricorda un evento simpatico da raccontare?
Mi trovavo a Trieste e stavo facendo le recite di “Nabucco”. Dietro le quinte è venuta a trovarmi una mia fan, amica di un mio caro amico. All’improvviso mi chiese di darle mille lire, all’epoca non c’era l’euro. Io, un po’ sorpresa, le ho dato la somma  che mi stava chiedendo e lei in cambio mi ha regalò una splendida spilla con diamanti (quelli più grandi!). Ancora adesso è uno dei miei gioielli preferiti.
Cosa ricorda del suo debutto italiano?
Ho debuttato a Venezia –quale città sarebbe stata più ideale? IO AMO Venezia! E in quella produzione uno dei miei colleghi era Samuel Ramey! L’intera esperienza è stata incredibile e ho avuto la fortuna di fare diverse recite. In quel periodo, stavo imparando “Nabucco” e mi ricordo che per memorizzare il testo camminavo vagando per Venezia. Mi sedevo in una panchina di un campo e memorizzavo una parte poi mi spostavo, mi sedevo su un pozzo e imparavo altre sezioni dell’opera. La cosa divertente era che quando cantavo Abigaille tornavo con la mente in quelle parti della città dove avevo imparato il libretto.
Renata Tebaldi aveva un sogno ricorrente, quello di entrare in scena impreparata. Lei ha mai avuto una simile paura?
Ho fatto questo sogno alcune volte, oppure quello in cui avrei dovuto fare  un concerto di pianoforte ed io ero una pessima pianista! Un altro incubo ricorrente era quello di entrare in scena e rendersi conto solo all’ultimo momento che ero senza il mio costume di scena , di fronte al pubblico.
Il personaggio con vocalità più leggera che ha interpretato?
Adina del”Elisir” e Anne Truelove de” The Rake’s Progress “.
Durante i suoi studi del canto aveva un interprete al quale s’ispirava? Non so dare una risposta a questa domanda, in quel periodo non ascoltavo molto gli altri cantanti, è stata la musica che mi ha sempre ispirato. Più tardi ho scoperto l’arte di Elisabeth Schwartzkopf.
E dalla Schwartzkopf  cosa ha “rubato”?
Non ho mai messo in atto modelli emulativi: ho sempre ricercato in me la mia arte.
Tra Verdi e Puccini chi predilige?
Puccini.
Marschallin o Arabella?
Arabella.
Cosa ricorda dell’Italia?
Tantissime cose. Gli Gnocchi al Gorgonzola, la Caprese, la gelateria Giolitti a Roma, la città di Erice, Venezia, Verona e i tanti amici!
Quale personaggio è simile al suo carattere?
Minnie de “La fanciulla del West”. 
Come ci si sentiva  davanti al pubblico dell’Arena di Verona?
Molto piccola.
Le sarebbe piaciuto cantare Medea di Cherubini?
No, non credo.
Lei è credente?
A modo mio sì, molto.
Le manca cantare?
Si, ogni tanto. Ora invece mi piace insegnare ai giovani come affrontare il palcoscenico, affinare la loro interpretazione vocale, curarne la dizione. Mi piacerebbe molto anche fare la regista o recitare io stessa.
Come ha conosciuto suo marito, Peter Strummer, fra pochi mesi in Italia all’Opera di Roma per il “Midsummer’s night dream” di Britten?
E’ una lunga storia. Eravamo entrambi a San Francisco impegnati in una produzione di “Flauto magico”: lui interpretava Papageno ed io Erste Dame. Abbiamo avuto modo di conoscerci profondamente durante le prove ed è sbocciato l’amore.
Avete cantato ancora insieme ?
Diverse volte io come Adina e lui Dulcamara a Heidelberg e a Linz,. poi lui si è specializzato nel genere buffo e la mia vocalità invece si è indirizzata sul repertorio verdiano e pucciniano.
Vuole dare un consiglio ai giovani cantanti che iniziano la carriera?
Bisogna conoscere bene la propria arte! Uno studio approfondito avvicina maggiormente a ciò che il compositore ha voluto comunicare con la sua musica. E’ necessario inoltre imparare a recitare il testo che si sta cantando per  far emergere la psicologia del personaggio e non adagiarsi a uno studio superficiale. I giovani possono essere aiutati nell’ascolto dei grandi interpreti del passato: la “Golden Age” dell’opera.

Non sono molti i cantanti che comprendono appieno ciò che cantano o quello che il personaggio sente.
C’è sempre una complessità psicologica  nel personaggio che si affronta. Interpretare  un ruolo per me è  come partire per un viaggio che inizia da quando si alza il sipario e termina  quando cala. Durante una prova o una recita si percorre un cammino che ci porta sempre da qualche parte.. e noi cantanti che interpretiamo un personaggio, dobbiamo accompagnare il pubblico in questo magico viaggio. Non ci sono nell’opera  personaggi senza un’identità precisa e poi se il librettista e il compositore li hanno creati vuol dire che la loro esistenza drammaturgica ha un motivo preciso! Solo i migliori registi però ti sanno aiutare a far emergere tutte le sfumature di un ruolo.