“Le nozze di Figaro” a Catania

Catania, Teatro Massimo Bellini, Stagione Lirica 2012
“LE NOZZE DI FIGARO”
Commedia per musica in quattro atti di Lorenzo Da Ponte
dalla commedia La folle journée ou le mariage de Figaro
di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Il conte d’Almaviva PAUL ARMIN EDELMANN
La contessa Rosina STEFANIA BONFADELLI
Figaro UGO GUAGLIARDO
Susanna EKATERINA SADOVNIKOVA
Cherubino NIDIA PALACIOS
Bartolo FRANCESCO PALMIERI
Marcellina MONICA MINARELLI
Don Basilio MICHELE MAURO
Antonio MAURIZIO MUSCOLINO
Don Curzio ALFIO MARLETTA
Barbarina LAURA MACRÌ
Orchestra, coro e tecnici dell’E.A.R. Teatro Massimo Bellini
Direttore Sergio Alapont
Regista Luca Verdone
Maestro del coro Tiziana Carlini
Maestro al cembalo Leonardo Catalanotto
Scene Giacomo Andrico
Costumi Alberto Spiazzi
Catania, 13 maggio 2012

Sul palcoscenico del Teatro Massimo di Catania è andata in scena la celeberrima opera mozartiana Le nozze di Figaro in un nuovo allestimento la cui regia è stata firmata da Luca Verdone. Figlio del critico cinematografico Mario Verdone e fratello del noto attore Carlo e della produttrice cinematografica Silvia, il regista ha al suo attivo diverse esperienze legate all’attività di documentarista, sebbene tra il 1978 e il 2010 abbia anche diretto alcune opere in importanti stagioni liriche.
La sua attitudine a cogliere la ‘verità’ di situazioni e affetti avrà sicuramente giocato un ruolo nella scelta di rispettare i richiami al rapporto “vita-teatro” di cui è ricco il libretto di Da Ponte e che vengono sublimati dalla musica di Mozart. «Io credo – ha scritto Verdone – che il manovratore del gioco scenico debba semplicemente far brillare l’estro lirico riposto in ciascuno dei personaggi del libretto […], tanta è la poesia dei dialoghi e la effervescenza dell’intreccio […], e gettarsi a capofitto su una soluzione puramente teatrale».
Non è riscontrabile infatti una lettura registica che evidenzi significati illuministici, anarchici, premonitori della Rivoluzione francese, ma ampio spazio è lasciato all’aspetto strettamente teatrale della messinscena. Ruolo importante è assegnato quindi all’elemento visivo e molto interessanti risultano le soluzioni sceniche realizzate da Giacomo Andrico: durante i primi due atti i personaggi mozartiani si muovono all’interno di quinte oblique – valorizzate da un attento impiego delle luci – che, da una parte restituiscono una prospettiva d’osservazione che simula il grand’angolo, dall’altra si rivelano un involucro «che si smonta come una scatola aperta sul fondale nero del palcoscenico». Di tutt’altra costituzione è lo spazio scenico creato per il terzo atto dell’opera, invaso da enormi drappeggi rossi che lasciano intravedere sensuali corpi femminili, in linea con l’intreccio di desideri e passioni che conduce la vicenda; e ancora nuova risulta l’ambientazione del gran finale, in un giardino fiabesco ispirato all’Alhambra di Granada.
La direzione orchestrale del maestro Sergio Alapont è apparsa molto attenta e puntuale e particolarmente rispettosa del respiro vocale, sebbene in alcuni momenti si siano verificate alcune sfasature ritmiche tra il canto e la parte strumentale. Poco in sintonia con il palpitare d’amore di Cherubino è risultato, tuttavia, lo stacco di un tempo troppo allentato per la celebre :“Non so più, cosa son, cosa faccio..” . Il cast degli interpreti si è dimostrato nel complesso di qualità, ma senz’altro eccellente è stata la performance di Ugo Guagliardo nel ruolo di “Figaro”: al timbro rotondo e al grande controllo vocale – sia nel registro acuto che grave – il basso ha accoppiato una versatile presenza scenica che ha conferito smalto al personaggio. La voce di Ekaterina Sadovnikova, nonostante la morbidezza e la precisione espressiva, è risultata poco incisiva e, alquanto fragile nel registro basso, a tratti schiacciato dalle sonorità  dell’orchestra. Paul Armin Edelmann (Il Conte) ha condotto il ruolo  con grande disinvoltura anche se il suo profilo vocale si è rivelato poco duttile, sempre troppo sopra le righe e enfatico. Stefania Bonfandelli – la cui esperienza artistica è legata al “belcanto” ottocentesco,  ha interpretato una “Contessa” un po’ influenzata dalla formazione stilistica della cantante: nelle sue due arie la Bonfadelli ha lasciato emergere un senso di grande malinconia, che è sicuramente riconoscibile come chiave romantica. Eccellente l’interpretazione dell’aria del terzo atto che riscatta del tutto alcune imprecisioni nell’intonazione e l’andamento ritmico eccessivamente rallentato rispetto all’accompagnamento orchestrale che, in «Porgi, amor, qualche ristoro», avevano un po’ deluso le aspettative. Nidia Palacios ha portato sulla scena un “Cherubino” sognante e sospinto dalla freschezza dell’amore giovanile, non così sul piano vocale caratterizzato da un canto  forse un po’ spigoloso, un’intonazione qua e la incerta,  specialmente nel registro acuto. Brillante l’interpretazione di Monica Minarelli (Marcellina) e Francesco Palmieri (Bartolo), sebbene resa un po’ in chiave macchiettistica, e pregevoli le voci di Michele Mauro, nel ruolo di “Don Basilio”, di Alfio Marletta e Maurizio Muscolino. Degna di nota, infine, la presenza nelle vesti di “Barbarina” di Laura Macrì, la cui voce dolce e ben modulata ha dato rilievo a questo personaggio secondario. Sempre garbati e accurati sono stati nel corso dell’opera i brevi interventi del coro. Grande suggestione ha creato l’effetto di chiarore che invade l’ultima scena nella quale il sorgere del sole coincide con la ‘redenzione’ del Conte e la distensiva ricostituzione dell’ordine sociale dopo La folle journée.
Foto Giacomo Orlando, Teatro Bellini di Catania.