Maggio Musicale Fiorentino: Dittico Bartók

Firenze, Teatro Comunale, 75° Maggio Musicale Fiorentino
“IL MANDARINO MERAVIGLIOSO” / “IL CASTELLO DEL DUCA BARBABLU'”
Musica di Béla Bartók
Il Duca Barbablù MATTHIAS GOERNE
Judit DAVEDA KARANAS
Il bardo ANDRAS PALERDI
Orchestra e Coro del  Maggio Musicale Fiorentino
Noism Dance Company
MaggioDanza
Direttore Zsolt Hamar
Regia e coreografia Jo Kanamori
Scene Tsuyoshi Tane, Lina Ghotmek, Dan Dorell
Costumi Yuichi Nakajima
Luci Masakazu Ito, Jo Kanamori
riprese da Gianni Paolo Mirenda
Nuovo allestimento in coproduzione con il Saito Kinen Festival
Firenze, 5 giugno 2012
Ultimo appuntamento operistico del 75° Maggio Musicale Fiorentino è un dittico Bartók, coprodotto con il Saito Kinen Festival, che all’insegna del binomio Eros – Thanatos affianca la versione scenica de Il Mandarino Meraviglioso a Il Castello del Duca Barbablu, unica opera lirica del compositore magiaro, che proprio a Firenze ebbe la sua prima rappresentazione italiana nel 1938. La regia dello spettacolo, ricca di suggestioni del lontano oriente, è affidata a Jo Kanamori regista, coreografo e ballerino giapponese di formazione europea (Rudra Béjart School di Losanna), fondatore della “Noism” la prima compagnia di danza stabile pubblica del Giappone. Kanamori si lascia condurre da una stessa matrice di ispirazione in entrambi gli atti unici con palesi richiami al teatro tradizionale giapponese ma anche alle cupe atmosfere postmoderne del Butoh, la danza priva di gioia e speranza nata come risposta alle atrocità di Hiroshima.
L’azione scenica del Mandarino si svolge all’interno di una gigantesca ed angosciante crisalide grigia, ideata dal team DGT (alias Dan Dorell, Lina Gothmet, Tsuyoshi Tane un triade di architetti rispettivamente di origine israeliana, palestinese e giapponese), che discende aprendosi verso il proscenio ad accogliere il covo dei 3 malviventi, sapientemente illuminato dalle luci di Masakazu Ito.
I movimenti, fusion tra danza, pantomima e il già citato butoh, ruotano attorno ad un tavolo-letto-specchio rosso, che assieme ai variopinti costumi in bilico fra il patchwork e l’origami del giovane Yuichi Nakashima, costituiscono l’unica nota di colore in un mondo oscuro e sotterraneo abitato da caliginosi kuroko (tradizionali figuranti-macchinisti in nero che agiscono a vista nel teatro giapponese). Nel cast di grande perfezione tecnica e drammatica composto dai membri della “Noism” e dai ballerini di MaggioDanza, spiccano la seducente e magnetica Mimi di Sawako Iseki, una sorta di Quinto Elemento capace di effondere un erotismo quasi pornografico e Satoshi Nakagawa, un Mandarino tutt’altro che ripugnante e terribile, azionato come una marionetta bunraku – altro omaggio alla tradizione teatrale nipponica – da un kuroko/ombra del mandarino, interpretato da Yoshimitsu Kushida.
L’entusiasmo del pubblico, annacquato dai 60 minuti di intervallo, necessari per sciogliere l’antro del Mandarino dalle centinaia di cavi che lo tengono sospeso, non ha certo giovato al successo della seconda parte dello spettacolo il cui allestimento risultava nell’immediato confronto, modesto ed affetto da un complessivo calo d’ispirazione per ripetitività dei temi, staticità dei protagonisti e povertà scenica. Un semicerchio di pannelli scuri che si prestano a trasparenze e giochi di luci ed ombre non sempre spettacolari, raffigurano il tetro e in qualche modo pericolante castello di Barbablù ove nuovamente vediamo aggirarsi i kuroko, stavolta muniti di lanternini rossi. L’evocativo bardo di Andreas Palerdi introduce la leggenda dalla fossa, supportato dai movimenti di un mimo sulla scena. Judit è una Daveda Karanas che illumina la scena con il suo abito bianco. Nonostante l’artista abbia in repertorio ruoli quali Marfa e Azucena, la sua vocalità risulta decisamente sopranile, a tratti stridula e lontana, stentando per un po’ a trovare il giusto equilibrio con l’orchestra e riemergendo solo in acuto. La bella voce di Matthias Goerne, calda e ben proiettata finisce alla lunga per perdersi nella noia di un’interpretazione monocorde e statica del personaggio. In entrambi i casi, seppur a fronte di una prestazione sostanzialmente corretta, si sente la mancanza di un certo pathos. Lo spettacolo riprende vita nel finale con l’apparizione delle precedenti mogli di Barbablù in sgargianti costumi di un folclore rivisitato, interpretate da danzatrici ridotte a marionette nelle mani di kuroko.
Protagonista assoluta della serata è l’Orchestra del Maggio Musicale in splendida forma, affidata alla direzione di Zsolt Hamar, ungherese formatosi al Conservatorio Bartók. Il  gesto del direttore è secco, quadrato, a tratti rigido e metronomico ma riesce comunque ad imprimere il giusto vigore alla partitura. In particolar modo nel Mandarino Meraviglioso, affrontato di recente con Zubin Mehta nella versione da concerto, l’orchestra regala al pubblico una ricchissima palette di colori e dinamiche, delineando in maniera mirabile il caos della metropoli senza mai degenerare nel chiasso e lasciando risaltare la lucentezza degli ottoni, gli assoli sinuosi del clarinetto e i ricami del pianoforte. Ricordiamo in conclusione il breve ma significativo intervento del Coro del Maggio, sempre preciso e ben preparato da Piero Monti, sul finale del Mandarino Meraviglioso.
Foto Gianluca Moggi © New Press Photo