Venezia, Teatro La Fenice:”Rigoletto”

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Lirica 2012
“RIGOLETTO”

Melodramma in tre atti
Libretto di Francesco Maria Piave dal dramma “Le roi s’amuse” di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Il duca di Mantova CELSO ALBELO
Rigoletto DIMITRI PLATANIAS
Gilda DESIREE RANCATORE
Sparafucile GIANLUCA BURATTO
Maddalena ANNA MALAVASI
Giovanna ANNIKA KASCHENZ
Il conte di Monterone LUCIANO BATINIC
Marullo ARMANDO GABBA
Matteo Borsa IORIO ZENNARO
Il conte di Ceprano LUCA DALL’AMICO
La contessa di Ceprano
ELENA TRAVERSI
Un usciere di corte
ANTONIO CASAGRANDE
Un paggio della duchessa
EMANUELA CONTI
Orchestra e Coro del Teatro La Fenice
Direttore Diego Matheuz
Maestro del coro Claudio Marino Moretti
Regia Daniele Abbado
Scene e costumi Alison Chitty
Luci Valerio Alfieri
Coreografia Simona Bucci
Coproduzione tra Fondazione Teatro La Fenice di Venezia e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Venezia, 14 settembre 2012

Καλός καί αγαθός, “bello e buono”: per la concezione etica ed estetica della Grecia classica era questo  un binomio inscindibile. La bellezza del corpo come manifestazione visibile della bellezza interiore. Un assunto che durerà per secoli e che solo a partire dal romanticismo sarà messo in discussione, in particolare proprio da Victor Hugo, l’autore de Le Roi s’amuse (1832), un dramma, il cui protagonista è il gobbo buffone di corte Triboulet – Rigoletto nel libretto che ne trasse Piave –, ma anche del romanzo Notre-Dame de Paris (pubblicato l’anno prima), che annovera tra i personaggi principali il deforme Quasimodo, campanaro della cattedrale che sorge sulla riva della Senna. Quasimodo al pari di Triboulet cela sotto il suo aspetto ripugnante, grottesco sentimenti insospettati d’amore e tenerezza per una donna …
Verdi fu letteralmente sedotto dal lavoro teatrale di Hugo: “Io trovo appunto bellissimo rappresentare questo personaggio esternamente deforme e ridicolo, e internamente appassionato e pieno d’amore”, scriverà in una lettera al Marzari, presidente della Fenice. E in  effetti il dramma nell’opera nasce da questo esasperato contrasto tra il dentro e il  fuori, che non riguarda solo la figura del protagonista o dei protagonisti, ma anche – per volontà del compositore – la stessa strutturazione della scena, che in ben due quadri viene concretamente divisa tra interno ed esterno: la casa di Rigoletto su una via cieca di Mantova nell’atto primo  e l’osteria sul Mincio di Sparafucile nel terzo. Un dramma immane, truce, romanticamente a tinte fosche, seppur inframezzato da episodi farseschi o di mezzo carattere, che impose al compositore di rivedere i propri mezzi espressivi, di superare le convenzioni tradizionali. Così la partitura fu concepita come una serie di ampi blocchi, nati dalla fusione di più numeri musicali e commisurati al tempo interiore dei personaggi; una partitura in cui le scene d’azione si integrano con quelle meditative, queste ultime espresse soprattutto attraverso l’emancipazione del declamato drammatico affidato al protagonista.
A questo proposito il baritono greco Dimitri Platanias, uno specialista del ruolo, che ha ormai portato con successo nei teatri di tutto il mondo, ha reso un’interpretazione straordinaria. Dotato di una voce possente, di pasta omogenea e dal timbro non privo di brillantezza, si è rivelato assoluto dominatore sulla scena – costituita prevalentemente da plumbei parallelepipedi fiocamente illuminati – grazie all’intelligenza nell’uso dei propri mezzi vocali, ad esprimere le più diverse situazioni psicologiche che caratterizzano di volta in volta uno tra i più complessi eroi creati da Verdi: cinico e beffardo, ossessionato dalla maledizione, teneramente paterno, umile e servile, smodatamente superbo. Ragguardevole in “Pari siamo”, dove è riuscito a rendere magnificamente – come tanto stava a cuore a Verdi – la trasformazione psicologica che da gobbo invelenito e reietto lo rende “altr’uomo”, e poi in “Cortigiani”, modulando la voce e il gesto a sottolineare, anche qui, le diverse dimensioni psicologiche che si succedono nella celebre pagina. Gli ha corrisposto una Gilda, piena di candore anche nella voce: Desirée Rancatore, che ha confermato una tessitura estesa fino ai sovracuti, nonché agilità nei passaggi “virtuosistici”, brillando nei duetti col protettivo genitore, così come nella celebre aria “Caro nome”, dov’era a proprio agio fra trilli, ardite colorature e acuti emessi a mezza voce.
Un altro mattatore della serata si è dimostrato Celso Albelo, originario di Tenerife, ritenuto uno dei migliori tenori del momento, in grado di continuare la tradizione dei suoi grandi predecessori spagnoli, che può ricordare per estensione, timbro e facilità di emissione un maestro come Alfredo Kraus. L’artista ha interpretato con nonchalance e scanzonata spavalderia da libertino “Questa o quella” e “La donna è mobile”, con il giusto accento patetico, ma sempre in voce  “Parmi veder le lagrime” e in tono appassionato il duetto del secondo atto “È il sol dell’anima”, insieme a Gilda, concluso da entrambi con uno sfavillante re bemolle sovracuto, innalzando di un’ottava – come da prassi consolidata – la nota scritta da Verdi, che notoriamente non amava queste performance meramente d’effetto. Tra gli altre parti, si è segnalato lo Sparafucile di  Gianluca Buratto, un basso profondo dal bel timbro cavernoso in grado di aderire alla tessitura abbastanza impervia del proprio ruolo come si è sentito nel caratteristico duetto del primo atto, insieme a Rigoletto, “Signor …/Va, non ho niente”, oltre alla seducente Maddalena proposta da  Anna Malavasi con voce ferma e perlacea. Ma anche coloro che non abbiamo nominato hanno contribuito con professionalità a determinare l’ottimo livello interpretativo di questa rappresentazione. Precisa come sempre la direzione di Diego Matheuz, che ha cercato un suono cristallino e corposo senza indugiare in troppe sdolcinature, imprimendo all’esecuzione un piglio diffusamente energico, del resto tipico del giovane direttore venezuelano: un interprete autorevole, traboccante di musicalità e dotato di una solida preparazione, che imparerà presto certe raffinatezze, un certo modo di assecondare le voci, che possono nascere solo da una lunga esperienza nel campo del melodramma.  Che dire degli aspetti visivi dello spettacolo? I seriosi abiti novecenteschi ideati da  Alison Chitty come le scene squadrate e caratterizzate, al pari dei costumi, da colori piuttosto cupi sottolineavano il carattere sordidamente tragico della vicenda. Su tutto si è stagliato il completo rosso vivo che Rigoletto, assetato di vendetta, sfoggia nel secondo atto, dove preparandosi alla conclusiva terribile imprecazione si toglie dalle labbra il rossetto che prima gli dava un’espressione clownesca. Nel complesso la messinscena ideata da Daniele Abbado – volutamente scarna, essenziale, allo scopo di focalizzare l’attenzione sulla complessa, cangiante  psicologia del protagonista – ci consegna un Rigoletto virile, dotato di grande forza interiore, per nulla macchiettistico; un eroe shakespeariano – nella visione dello stesso Verdi – presente alla propria ambiguità, e per ciò stesso concreto, attuale, profondamente umano. Caloroso successo di pubblico.