Jules Massenet nel ricordo dei contemporanei (prima parte)

La morte di Jules Massenet, avvenuta il 13 agosto 1912, colpì, come un fulmine a ciel sereno, il mondo musicale francese producendo sentimenti di profonda commozione, la cui vasta eco è giunta fino a noi grazie ai giornali dell’epoca, quelli stessi che si erano occupati delle premières delle sue opere e che in questa occasione  diedero grande risalto al tragico evento. A distanza di 100 anni queste pagine rappresentano ancora oggi una testimonianza della stima di cui Massenet godette presso i contemporanei.
Il ricordo di Arthur Pougin e del suo editore Henri Heugel 
“È a sessanta leghe da Parigi, in riva al mare, in piena vacanza, che ricevo la terrificante notizia della morte improvvisa e fulminante di Massenet, che sapevo ancora pieno di salute al momento della mia partenza; ed è, lo posso ben dire, con il cuore straziato e gli occhi pieni di lacrime che prendo la penna per cercare di tracciare rapidamente i dettagli della carriera così attiva, così brillante, così prodigiosamente laboriosa di questo amico, di questo compagno dei miei anni giovanili, del quale credo di poter dire  di aver predetto il successo e previsto la gloria. Che non ci si aspetti di trovare dunque in queste righe improvvisate il sunto anche in forma di studio e come un’apparenza di biografia di quello che fu un maestro tra tutti e il cui nome lascerà una traccia luminosa in mezzo a tutti coloro che hanno diritto all’omaggio e al ricordo del nostro caro paese. Sono queste soltanto delle note commosse e frementi, tracciate in fretta dopo la sola notizia di un avvenimento che colpisce con un lutto irrimediabile la Francia musicale e l’arte universale. Lontano da Parigi, privato da ogni specie di carte, di libri, di note intime, io ho solo la mia memoria per aiutarmi a ricordare i principali fatti di un’esistenza artistica che fu così bella nel passato e che resterà così gloriosa nell’avvenire”. (A. Pougin, J. Massenet, in «Le Ménestrel», n. 33, ann. 78, 17 agosto 1912, p. 257).
Con queste commosse quanto affettuose parole il musicologo Arthur Pougin iniziò il suo ricordo di Jules Massenet, redatto per la rivista musicale «Le Ménestrel» a poche ore dalla morte del compositore francese. Di 8 anni più anziano di Massenet – era nato, infatti, il 6 agosto del 1834 –, Arthur Pougin fu un suo amico personale e, insieme a Louis Schneider, uno dei suoi primi biografi; dalle colonne di «Le Ménestrel», la rivista edita da Heugel, l’editore che, dopo il fallimento di Hartmann, aveva pubblicato le opere di Massenet, Pougin, che aveva più volte recensito le premières delle sue opere esprimendosi in termini elogiativi, in quest’articolo, ripercorse in sintesi la vita, sin dalla nascita a Montaud nel 1842, e la carriera di Massenet muovendosi sul filo del ricordo e, riferendo, secondo una caratteristica tipica della sua scrittura, alcuni aneddoti di cui fu protagonista il compositore francese. Il gusto per l’aneddoto, del quale Pougin ha dato prova anche nella sua Histoire anedoctique della vita e dell’opera di Verdi, è evidente nella narrazione di un evento di cui Massenet fu protagonista quando era ancora studente al Conservatorio.
Nell’articolo si legge, infatti:“Poiché lavorava sodo e prendeva già l’abitudine di non perdere tempo. Nella classe di pianoforte di Laurent, dove ottenne successivamente la menzione, il secondo e il primo premio (poiché fu un pianista meraviglioso), era entrato nella classe di armonia di Bazin, ed è là che avvenne il fatto più sorprendente della sua carriera. Bazin, professore acido e classicissimo, senza dubbio spaventato e sdegnato per certe velleità del suo allievo, che egli non poteva comprendere, andò un giorno su tutte le furie contro di lui, al punto da prenderlo per le spalle e di metterlo alla porta della classe dicendogli brutalmente:    Andatevene. Non combinerete mai mulla!!!
Massenet, in seguito a questo incidente, ebbe un istante abbastanza naturale di scoraggiamento, ma che durò poco. Andò a trovare il mio vecchio maestro Henri Reber, che lo prese volentieri nella sua classe, e sotto la cui guida egli lavorò con accanimento. Pertanto, giunto il momento del concorso, non fu fortunato nella prova come avrebbe dovuto esserlo. Reber, più accorto di Bazin e senza dubbio comprendendolo meglio, gli disse, con la flemma che noi tutti gli conoscevamo: –  Ascoltate: meritavate il primo premio; non l’avete avuto. Credetemi, non avete più niente da fare nella mia classe, dove perdereste il vostro tempo. Andate subito in una classe di composizione.
È allora che Massenet entrò nella classe di Ambroise Thomas del quale divenne subito uno degli allievi preferiti” (ivi, p. 258).
Nella classe di Thomas,  Massenet fu preso, come ricordato sempre da Pougin, da una vera propria fièvre de production, che fu una delle caratteristiche del suo temperamento di artista. Il musicologo aggiunse, inoltre:
“Egli non si recava nella classe senza portare sia un valzer, sia un’ouverture, sia un movimento di sinfonia o un pezzo d’opera e qualunque altra cosa. E dal momento che i suoi condiscepoli, forse un po’ invidiosi, un po’ gelosi, schernivano questa precoce fecondità: – Lasciate, lasciate fare, diceva tranquillamente Thomas; fa dei peccati di gioventù. Ma se tutto ciò non è uguale, c’è anche del buono, e quando avrà acquisito la sicurezza, e sarà padrone di sé vedrete cosa farà. E si sa bene se Thomas aveva ragione! E si conoscono bene i grandi successi a scuola, il primo premio di fuga, il concorso dell’Istituto e il primo grand prix de Rome… Questa volta, l’allievo aveva fatto posto all’artista” . 
Non mancano nemmeno esagerazioni da parte di Pougin che, nella foga di celebrare il musicista scomparso, non esita ad enfatizzare il periodo trascorso a Roma a Villa Medici, dopo la vittoria del Prix; in particolare non ci sembra del tutto esatto quanto Pougin scrisse a proposito di Marie-Magdeleine che, secondo il musicologo, sarebbe stata composta durante il soggiorno romano: è là che fu scritta in parte quella deliziosa Marie-Magdeleine che doveva costituire una rivelazione per il pubblico parigino. In realtà, se bisogna dare credito a quanto affermato dallo stesso compositore in Mes souvenirs, soltanto la prima ispirazione dell’oratorio risalirebbe al soggiorno italiano e alla sua visita alla Cappella degli Scrovegni, dove Massenet ebbe l’intuizione che Maria Maddalena avrebbe occupato un giorno la mia vita (Mes souvenirs, Éditions du Sandre, Parigi 2009, p. 31). A proposito della prima idea musicale, invece, lo stesso compositore ricordò:
Attraversando i boschi di Subiaco, la zampogna (una specie di cornamusa rustica) di un pastore lanciò un soffio melodico che annotai subito su un pezzo di carta prestatomi da un benedettino di un convento vicino. Queste battute diventarono le prime note di “Marie-Magdeleine”, dramma sacro al quale pensavo già per un invio”. (Ivi, p. 39).
Nella ricostruzione di Pougin una data importante è costituita dalla prima rappresentazione di Manon il 19 gennaio 1884, giorno in cui  “l’Opéra-Comique offriva al pubblico quella deliziosa Manon che segna una data importante nella sua carriera, e che, rappresentata inizialmente da Marie Heilbron, Talazac, Taskin, Cobalet e Grivot […] s’incammina oggi verso la millesima rappresentazione, alla quale, meno fortunato del suo maestro Ambroise Thomas con “Mignon”, l’autore non avrà la gioia di assistere” (A. Pougin, Op. cit., p. 259). 
E se a partire da questo momento, si può dire che la biografia di Massenet si riassume con il titolo delle sue opere, il rapporto del compositore con la critica non fu sempre idilliaco come ricordato dallo stesso Pougin che concluse il suo articolo:
“Come tutti coloro il cui successo, un successo continuo, suscita la gelosia degli invidiosi e degli incapaci, Massenet è stato fatto bersaglio delle critiche più violente e amare, e nello stesso tempo più ingiuste. […] Che quelli vogliano ben concordare con noi che la Francia ha perduto in Massenet un grande artista, un artista di talento e di ordine superiore, che aveva i suoi difetti forse – chi non ne ha? – ma che era proprio di razza francese, un artista dal genio chiaro, limpido, accessibile a tutti, e che ha portato valorosamente il nome del suo paese ai quattro angoli del mondo, facendolo acclamare con frenesia da ogni pubblico”. 
Nello stesso numero di «Le Ménestrel» si può leggere anche il ricordo delle ultime ore del compositore scritto da Henri Heugel. Nell’articolo, intitolato Les dernières heures, la puntuale ricostruzione delle ultime ore del compositore francese appare, sin dalla parte iniziale di questo  breve ricordo, animata dall’affetto e dall’amicizia che li legava l’editore:
“Al riassunto brillante che ci ha appena dato il nostro collaboratore Arthur Pougin della carriera artistica del grande maestro Massenet, crediamo interessante aggiungere il racconto succinto delle ultime ore che ci è stato concesso di vivere accanto a lui.
Si sa già dal resoconto dei giornali che, ritirato a Égreville da una settimana appena, egli aveva avuto di colpo qualche preoccupazione riguardo alla sua salute a seguito di piccoli accessi di febbre che gli sopravvenivano di sera; da ciò la risoluzione improvvisa di ritornare a Parigi per consultare i suoi medici abituali. Non appena egli fu di ritorno, un colpo di telefono mi avvisò del suo arrivo e immediatamente mi recai da lui. Lo trovai disteso su una sedia a sdraio, ma con il viso calmo e sorridente come di consueto. Volle subito rassicurarmi. Già aveva visto i medici. Non sarà nulla, un semplice allarme, come ne aveva già avuti tanti, una crisi che avrebbe superato come le altre, dopo un trattamento energico di breve durata. Tra qualche giorno, sperava di potere riprendere a Égreville la sua vita di lavoro: «No, non era proprio niente, e lo vedevo bene dal momento che era venuto tutto solo a Parigi, senza nessuno che lo accompagnasse. Nessuna preoccupazione» (H. Heugel, Les dernières heures, ivi, p. 259)
In realtà la morte non sarebbe tardata nonostante la fibra morale di Massenet che, come ricordato da Heugel, era sempre un infaticabile lavoratore:
“Ne conoscevo pertanto, poiché da due anni lo seguivo, con angoscia, i progressi dell’implacabile male al quale egli resisteva solo con la forza dell’energia morale. Era la lotta implacabile contro la morte. E, cosa meravigliosa, nella misura in cui il suo corpo si indeboliva, il suo cervello sempre lucido e meraviglioso sembrava alzarsi ancor di più verso tutte le cose dell’arte. Durante le pause concesse dalla sofferenza, sempre al tavolo di lavoro dalle quattro del mattino, componeva le sue ultime opere drammatiche: “Panurge”, “Amadis” e “Cléopâtre”, che non accusano alcuna decadimento”.
La forza dell’uomo traspare anche da questo ricordo dell’ultima visita fatta da Heugel a Massenet, a proposito della quale si legge nell’articolo:
“In quest’ultima visita, ritrovai il suo spirito chiaro e luminoso; lo stesso suo aspetto non era molto più preoccupato di quanto non lo fosse prima della sua partenza per Égreville, ma mi sembrava che una stanchezza, una debolezza generale, lo avevano invaso al punto che non poté sollevare da solo una bottiglia di acqua minerale […]. Poi egli si mise a parlare amabilmente dei suoi progetti futuri. “Panurge”, ebbene; il suo destino era fissato per la prossima primavera al Théâtre de la Gaïté-Lyrique, “Amadis” sembrava riservata a Monte-Carlo nel 1914. Ma “Cléopâtre”, l’ultima nata e di conseguenza la più cara, dove si troverà ad «ospedalizzarla»? Egli la vedrebbe molto ben collocata all’Opéra-Comique, ma ecco, Carré lo vorrebbe? Carré aveva ben altro da fare che occuparsi di un «vecchio musicista come lui».
Tutto questo detto senza amarezza, ma scherzando: «E voi credete di aver finito con me, povero amico. Io non vi ho detto tutto. Ho ancora finito interamente due suites per orchestra frammischiate, qua e là, di canto e di declamazione, sì, due! Una “Suite théâtrale” in quattro numeri, e una “Suite parnassienne in cinque, tutte e due composte su soggetti forniti da Maurice Léna? Chi è che rischierà in questo “straripamento sinfonico”? E, caro amico, se si volesse frugare in questo armadio che vedete, vi si troverebbero ancora di piccole cose».
Poi il suo viso s’incupì: «Le quatto e mezza!» è l’ora dei medici. Un piccolo trattamento di niente, oh! quasi niente. Soprattutto tornate a vedermi domani. Ho ancora tante cose da dirvi, tante da confessarvi».
E l’indomani, quasi all’aurora, un nuovo colpo di telefono, lugubre quello: «Non sta bene, venite presto». Accorro e lo trovo disteso morto sul suo letto. La notte era stata un po’ agitata e si era fatto venire in tutta fretta un suo nipote fortunatamente a Parigi. Massenet non aveva tardato a perdere conoscenza e si era in seguito spento dolcemente e senza alcuna sofferenza, intorno alle quattro del mattino. Era là, con il suo povero viso interamente dimagrito e che portava come un residuo del tormento e dell’inquietudine che avevano agitato tutta la sua vita d’artista”.
Heugel conclude l’articolo con un’amara e triste considerazione:
“… E io immaginavo nei miei sogni di giovane editore, quando intravedevo nell’avvenire quella cosa che sembrava impossibile da realizzare di riunire in questa vecchia casa del Ménestrel presto centenaria i tre grandi maestri del momento: Ambroise Thomas, Léo Delibes, Massenet! E la cosa impossibile si era pertanto realizzata… e fu una gioia e un onore. Poi li ho visti scomparire l’uno dopo l’altro, loro tre che furono per me amici così cari; ho visto i loro corpi inerti e pallidi sul letto funebre… dolorosa fine di un sogno radioso”. ( Fine prima parte)