Conversando con Nathalie Manfrino

Incontro Nathalie Manfrino all’indomani della prima di una recente rappresentazione de La Traviata al teatro “Verdi” di Padova. Si mostra subito con la simpatia che le è consueta, sempre incantevole, nel suo apparire, diafana, quasi lunare. Non sembra di certo reduce da una serata che, dal suo racconto, è stata decisamente  difficile: iniziata con un fastidioso raffreddore e proseguita con una brutta caduta in scena che l’ha ulteriormente messa in tensione e obbligata a portare avanti una recita dolorante e in continua tensione per non perdere il controllo della situazione.
Parliamo del tuo inizio di carriera: sei mesi dopo aver vinto un concorso debutti come Mélisande nell’opera di  Debussy. Un ruolo decisamente complesso, per una esordiente fresca di studio. Pensi  che i conservatori francesi diano una preparazione adeguata ai giovani cantanti e li portino con sicurezza al debutto?
Non credo. Questo concorso che mi ha dato l’occasione di debuttare non riguardava il conservatorio, daltronde io non ho frequentato il Conservatorio Nazionale di Parigi, assai prestigioso. Ho fatto molte masterclass, lezioni private e concerti che mi hanno permesso di acquisire una tecnica vocale adeguata.
A cosa hai rinunciato quando ti sei avviata alla  carriera di cantante lirico?
A molto della mia vita privata,  alla famiglia e soprattutto ad avere figli. Penso che una  carriera nel canto mal si concilia con il crescere e l’educazione dei bambini. A questo aggiungi il fatto che, se ti trovi con un marito o un compagno che  ha un lavoro  in un altro ambito, ti ritrovi ad essere spesso soli.
Quali sono gli errori da evitare quando ci si accinge ad iniziare una carriera nell’opera?
Cercare di non accettare offerte di lavoro che ti possono compromettere, come i ruoli inadeguati. Io ho affrontato il ruolo di Mélisande conscia che le dfficoltà del ruolo sono principalmente musicali e non di natura vocale. Avendo un innato isitinto del canto ho capito da sola cosa dovevo fare. Ritengo sia molto importante avere fiducia in se stessi.
In questo momento di particolare difficoltà, crisi generale per l’economia e quindi anche della cultura,  cosa dovrebbero o potrebbero fare, secondo te, le istituzioni per tutelare gli artisti?
Io ti posso dire come si vive questa situazione in Francia.  Qui la sensazione non è particolarmente positiva. Il governo francese non aiuta molto i musicisti, collocati in una posizione inferiore rispetto alle arti visive, ossia i  musei o l’arte contemporanea. Altri Paesi tutelano gli artisti residenti, che pagano le tasse dove vivono, distribuendo il lavoro in modo più equilibrato. In Francia  questo non avviene anche per convenienza: i teatri pagano meno tasse a far lavorare artisti stranieri. Si è tentato far nascere un sindacato che si occupasse dei cantanti d’opera, ma è stato un fallimento. Sono invece tutelati  gli artisti pop o rock che hanno ottenuto una priorità rispetto ai musicisti stranieri, sulla messa in onda in radio o televisione.

Torniamo a parlare di musica, ma anche di te stessa. Tu hai frequentemente legato il tuo nome a opere di Jules Massenet. Hai anche registrato un cd interamente dedicato a questo autore che hai anche definito come “intriso di misticismo”.  Parlamene un po’ e anche dimmi quale è il tuo rapporto con la spiritualità?
Credo che ogni artista lirico sia sensibile a questi temi, alla spiritualità. Nelle varie tipologie dei personaggi del melodramma troviamo l’occasione, attraverso la personale interpretazione, di rivivere diversi stati d’animo, anche con sofferenza. Questo lo ritrovo in Massenet, autore che ho amato molto dalla mia giovinezza, quando instancabilmente ascoltavo il brano “Meditation” della Thaïs. Ho poi affrontato in scena personaggi femminili come Manon e la stessa Thais. Massenet mava i soggetti che vedevano personaggi femminili complessi: prostitute o cortigiane che attraverso la sofferenza trovano la redenzione. È molto interessante immergersi in questi ruoli che hanno molte sfaccettature psicologiche e riuscire a trasmettere i diversi stati d’animo con il canto.
Personalmente ho un rapporto conflittuale con la religione. Certo ho avuto una educazione religiosa, ma purtroppo traumi famigliari legati alla morte improvvisa e drammatica di mia sorella e poi l’altrettanto dolorosa perdita di mio padre mi hanno purtroppo allontanato dalla fede e cambiato profondamente. Nei miei vari viaggi,  entro sempre nelle chiese  ma, confesso, di non riuscire a pregare.
Madre francese e padre italiano. Quanto c’è in te di queste due culture?
La mia famiglia è in realtà intrisa di varie culture e di questo, devo dire, mi sento orgogliosa. I nonni paterni erano piemontesi e parlavano in italiano,  da parte materna il nonno era svizzero e la nonna spagnola. Mio padre, emigrato  in Francia, purtroppo non mi ha mai parlato in italiano, anche se  ho sempre avvertito e assimiltato le diversità culturali della mia famiglia e credo mi abbia aperto la mente  e questo mi divertiva. Frequentare diverse culture apre la mente e, personalmente,  la considero una grande eredità.
La tua famiglia ti ha aiutato nell’assecondare i tuoi desideri, oggi ti segue ancora?
I miei genitori mi hanno capita e mi hanno aiutato, soprattutto hanno sostenuto le spese per gli studi che sappiamo essere piuttosto onerosi. La mamma da quando è vedova mi segue, anche in occasione di questa Traviata è al mio fianco e questo per me è stato ed è molto importante.  Averla qui mi è stata di conforto, visto che sono un po’ delusa per non essere riuscita a dare il meglio di me.
Sei sposata da diversi anni con David Alagna, compositore. Come riuscite a conciliare due carriere artistiche?
Mio marito David mi ha aiutato molto,  essendo il fratello di Roberto,  conosceva bene l’ambiente dell’opera. Quando l’ho incontrato ero sola ed  era difficile  per  me capire quali fossero le scelte migliori. Lui non è mai stato tenero nei miei confronti, anzi mi ha anche criticato duramente! Mi sono però sempre fidata ciecamente del suo giudizio, anche perchè non c’è mai stata competizione tra noi. Ovvie invece le difficoltà di vivere insieme.  Assai spesso siamo  separati a causa dei rispettivi  impegni di lavoro.
Hai mai avuto una cantante di riferimento?
Sarò banale e ovvia, ma non posso che non fare riferimento a Maria  Callas. Se mi trovo ad affrontare qualche ruolo o anche solo delle arie che ha cantato anche lei,   ascolto con attenzione la sua interpretazione, sempre veritiera, ricca di emozioni e di grande intelligenza. Ascolto anche altri soprani,  mi piace curiosare su YouTube dove hai una infinita possibilità di visionare e sentire molti cantanti.  C’è sempre da imparare qualcosa! La curiosità è un aspetto fondamentale per chi vuole iniziare questa carriera, ma anche ogni attività artistica.
In questa Traviata di mostri abbastanza in desabillée…come ti senti? Hai dei consigli da dare ai costumisti?
Dio mio, sì! Ne avrei molti. Il costume è importante, ti aiuta ad entrare nel ruolo, ma se non ti senti a proprio agio diventa un danno. A volte i costumisti non comprendono il tuo disagio. Giusto in questa  Traviata ho chiesto delle modifche. Il  costume   era troppo succinto e mi creava un certo imbarazzo. Era la prima volta che mi trovavo ad affrontare una Violetta  in guêpière e proprio non me la sono sentita ad esibirmi così. Per fortuna mi hanno capita e sono stata messa nelle condizioni di mettermi psicologicamente  a mio agio.
Le richieste dei registi a volte sono imbarazzanti e mettono il cantante in difficoltà. Hai qualche episodio da raccontare?
Nel Pelléas et Mélisande all’Opera di Roma con la regia di Pierre Audi. Mélisande è un personaggio che  ruota simbolicamente attorno alla sua  lunga capigliatura. Qui  il regista mi voleva calva.  Parlare della propria capigliatura e avere in testa una calotta che, per altro  provocava allergia è stato un dramma. Ho dovuto portare gli esiti di un test  allergico per potere far modificare la situazione, altrimenti non ero creduta e considerata come capricciosa.  Se la concezione di un regista è valida, motivata,  io cerco di dare tutta me stessa,  ma quando ti trovi ad affrontare, magari con poche prove,  regie astruse, incomprensibili, è una sofferenza!

A questo ci devi aggiungere che l’aspetto fisico ha quasi preso il sopravvento sulla parte musicale

La prestanza fisica oggi è quanto mai importante.  A volte i registi o i costumisti ti chiedono di dimagrire e si rimane attoniti verso certe richieste. Capisco la ricerca nel voler rendere credibile un ruolo, però siamo cantanti d’opera e abbiamo bisogno di energia come uno sportivo. Non si può arrivare in scena deboli solo perchè si deve entrare in un abito della taglia decisa dal regista.
Il tuo rapporto  con il cibo?
Ahi!- Adoro mangiare…ma  cerco di controllarmi. La tendenza è quella di ingrassare con una certa facilità!
Come sarebbe la tua vita senza l’opera? Cosa avresti fatto di diverso dalla cantante lirica?
Amo la mia professione. Come alternative avrei puntato all’archeologia o anche come produttrice di vino. Adoro la campagna!
Un fiore in cui ti identifichi?
L’orchidea.
E un colore?
Il blu.
Segno zodiacale?
Ariete.
Oggi ti manca qualcosa?
Non mi accontento. Voglio sempre di più!

Foto di Robin François e Fabien Bardelli. Altre notizie su Nathalie Manfrino le trovate nel suo sito personale.