Fortuna Opera Festival 2013:L’Archetipo di Don Giovanni

Fano, Teatro della Fortuna, Fortuna Opera Festival 2013
“DON GIOVANNI ossia IL DISSOLUTO PUNITO”
Dramma giocoso in due atti, libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni ANDREA CONCETTI
Donna Anna LAURA GIORDANO
Il Commendatore CHRISTIAN FARAVELLI
Don Ottavio PABLO KARAMAN
Donna Elvira AGATA BIENKOWSKA
Leporello GIOVANNI GUAGLIARDO
Zerlina CAROLINA LIPPO
Masetto GIACOMO MEDICI
Orchestra Sinfonica G.Rossini
Coro del Teatro della Fortuna M.Agostini
Direttore Roberto Parmeggiani
Maestro del Coro Lorenzo Bizzarri
Coro del Teatro della Fortuna M.Agostini
Regia e costumi Francesco Esposito
Scene Mauro Tinti
Sculture Franco Armieri
Luci Fabio Rossi
Coreografie Domenico Iannone
Nuova produzione Teatro della Fortuna
Fano, 18 Gennaio 2013
Il Fortuna Opera Festival rappresenta la nuova sfida operistica e musicale della Fondazione  Teatro della Fortuna di Fano. Competenza e passione sono stimolo  e certo non un deterrente in questo periodo di grandi difficoltà finanziarie per poter comunque proporre  spettacoli credibili e di spessore. Il Teatro di Fano ha sempre creduto  in queste sfide ed in quest’ottica ha inaugurato la sua stagione con il capolavoro mozartiano “Don Giovanni”. Questo spettacolo in verità fa parte di un progetto più complesso e tentacolare che ha coinvolto professionisti di ogni genere artistico e non solo, il teatro e tutti i suoi spazi e la città di Fano intera partecipe  e divertita. Mostre, presentazioni nelle scuole, prove aperte alla cittadinanza incontri ed approfondimenti hanno fatto sì che questo progetto è stato avvertito non solo come uno spettacolo operistico, ma “in toto” come un vero e proprio evento culturale. Teatro, Arte, Filosofia e le nostre umane debolezze portate sulla scena.
Mauro Tinti ha presentato  uno spazio scenico ellittico inclinato. Una grande pedana lignea che giace come la carena di una nave alla deriva  su di uno sfondo incolore come un  abisso profondo ed oscuro. Squarci, botole e gradini spezzati sono gli unici elementi che visivamente gridano in  questo silente mondo inconscio. Don Giovanni è dunque “nudo” in questo spazio e rimane dunque inutile  il suo tentativo di mascherarsi, lo spazio scenico ricorda la sua solitudine, il suo “mercificarsi, facendo della propria vita ormai un ‘inutile estranea” parafrasando K. Kavafis. Un medaglione a specchio che reca l’effige del protagonista domina questo paesaggio, talvolta conficcato nella pedana, altre volte sospeso sopra di essa, è un oggetto feticcio dalle molteplici sfaccettature: pegno di amore fatale, simbolo di sfrenato narcisismo, surreale emblema funebre. Un allestimento elegante ed assolutamente coerente con l’idea registica.
Francesco Esposito ha dunque costruito con grandissima professionalità ed attenta introspezione i movimenti scenici dei protagonisti in questo spazio sospeso, onirico. E se nei sogni tutto è confuso o sin troppo nitido, è anche vero che i simboli del nostro quotidiano e dei nostri desideri più nascosti ondeggiano e si ripetono. Per Francesco Esposito i simboli dell’immaginario del protagonista sono appunto lo specchio, la maschera e la rosa. Lo specchio si collega al tema del doppio, dell’universo alternativo, della bellezza carnale e rimanda al senso della vista. Don Giovanni è dunque non tanto ciò che è ma quanto di se vede riflesso. Bellissima la  scena finale nella quale  il medaglione-specchio chiude e sigilla agli inferi il dissoluto punito. La morte più profonda del protagonista non deriva infatti dalle sue nefandezze impudiche, quanto dall’ idea di se stesso che lo opprime sino ad annientarlo. La maschera è un simbolo complesso. Non è solo un mezzo di inganno, ma anche per il protagonista un disperato anelito verso la tranquillità di un’entità rassicurante dietro la quale celarsi. Ma la maschera è anche la morte. In quest’ottica maschera e specchio si fondono nel mito classico della Gorgone. Don Giovanni è il “mostro”, il cui volto è simile ad uno specchio per chi, pur disprezzandolo, lo cerca ed osa fissarlo. Simbolo del possesso finale è dunque la rosa. Don Giovanni dona una rosa a conclusione di ogni sua azione, dopo il duello con il Commendatore, al termine di un incontro erotico. E’ il suo marchio. Segretezza e sensualità decadente. Una regia coinvolgente e sempre attenta e credibile contornata dalle corrette luci di Fabio Rossi e dalle bellissime sculture di Franco Armieri che ieratiche ma luminose compaiono non  solo in scena ma anche in platea e tra i palchi interagendo coi protagonisti in uno spazio senza confini. Interessanti gli interventi del corpo di ballo  sotto la direzione del  bravo Domenico Iannone. Bellissimi anche i costumi dello stesso Francesco Esposito.
Il maestro Roberto Parmeggiani, direttore musicale del Teatro della Fortuna di Fano ,ha diretto con competenza l’Orchestra Sinfonica G. Rossini. Le  pochissime prove musicali forse non hanno permesso quell’introspezione che un capolavoro come questo richiederebbe, ma la sua professionalità e quella dell’orchestra hanno comunque regalato uno spettacolo musicale assolutamente di buon livello.
La capacità più evidente di Andrea Concetti (Don Giovanni) è senza dubbio quello di aver compreso  sempre ed in ogni passaggio l’idea registica del personaggio e, con indubbia classe,  averla saputa  fondere con la parte musicale. Il suo è un canto sempre intenso che si esprime attraverso un vocalità luminosa e magniloquente. Ha interpretato la  serenata “Deh vieni alla finestra” con un bel legato e sapienti dinamiche e colori. A lui il pubblico ha tributato gli applausi più convinti.
Laura Giordano debuttava nel ruolo di Donna Anna. Il soprano possiede un voce limpida e molto ferma, sempre assai corretta e molto musicale. L’unico dubbio deriva dal ruolo che non sembra essere ancora nelle corde della cantante: è piuttosto leggera, certe emissioni suonano “fisse” e il fraseggio  non particolarmente vario.  Anche  Agata Bienkowska si accostava per la prima volta al personaggio di Donna Elvira. In scena ha  mostrato tutto il temperamento passionale  e la frustrazione di una  donna che affoga i suoi dolori navigando nell’alcool con grande credibilità. Vocalmente ha uno strumento importante che ha saputo piegare al meglio nell’aria “Mi tradì quell’alma ingrata”. Non si può non notare qualche limite nel controllo del registro acuto.
Il tenore Pablo Karaman è stato un Don Ottavio piuttosto sbiadito. Il timbro è garbato, lo strumento in se non è eccelso,  sia nel volume che nell’ estensione. Talvolta  il suono dava l’impressione di essere schiacciato, poco rotondo. La dizione poi, risultava poco chiara. Peccato! All’elenco dei debuttanti nel ruolo, aggiungiamo anche il  Leporello di  Giovanni Guagliardo. Alla sua visione del personaggio è mancato quel disincanto, perennemente in bilico tra ironia e sottomissione. Il baritono siciliano è spesso caduto in una platealità stereotipata. La sua vocalità è complessivamente di buon livello ma linea di canto alquanto impersonale. Per questa ragione il suo grande momento, ossia l’aria del “Catalogo” così è scivolato via nell’ indifferenza. Brava  la Zerlina di Carolina Lippo. La cantante pugliese chiamata a sostituire l’indisposta Valeria Sepe, ha saputo trovare la giusta intensità comunicativa, vocale e teatrale, adatta al suo personaggio. Non si può dire lo stesso per il Masetto di Giacomo Medici. Vocalmente poco attraente, ha offerto una interpretazione giusta nel limite della correttezza. Christian Faravelli nei panni del Commendatore, ha messo in luce una ragguardevole personalità interpretativa. Vanno anche sottolineate le qualità di vigore e omogenità d’emissione della sua bella voce di basso. Di buon livello gli interventi del Coro del Teatro della Fortuna M.Agostini diretto da un giovane ed entusiasta Lorenzo Bizzarri. Pubblico delle grandi occasioni che ha apprezzato le incursioni di ballerini in maschera e protagonisti all’ inizio dello spettacolo tra il “foyer “e la platea e che ha saputo premiare tutti con applausi generosi e sinceri. Sul palco ,a fine spettacolo, non è mancato nessuno: cantanti, regista ,direttore d’orchestra, tecnici, macchinisti, sarte e tutto l’ufficio stampa ed amministrativo. Perché il teatro è di tutti ed i meriti vanno sempre condivisi.Foto Amati Bacciardi.