“Falstaff” diverte La Scala (cast alternativo)

Milano, Teatro alla Scala – Stagione d’Opera e Balletto 2012/2013
“FALSTAFF”
Commedia lirica in tre atti di Arrigo Boito, dalla commedia “The merry Wives of Windsor” e dal dramma “The History of Henry the Fourth” di William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Sir John Falstaff BRYN TERFEL
Ford MASSIMO CAVALLETTI
Fenton ANTONIO POLI
Dott. Cajus CARLO BOSI
Bardolfo RICCARDO BOTTA
Pistola ALESSANDRO GUERZONI
Mrs. Alice Ford CARMEN GIANNATTASIO
Nannetta EKATERINA SADOVNIKOVA
Mrs. Quickly MARIE-NICOLE LEMIEUX
Mrs. Meg Page MANUELA CUSTER
Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
Direttore Daniel Harding
Maestro del Coro Bruno Casoni
Regia Robert Carsen
Scene Paul Steinberg
Costumi Brigitte Reiffenstuel
Luci Robert Carsen e Peter Van Praet
Nuova produzione Teatro alla Scala
In coproduzione con Royal Opera House, Covent Garden, Londra;
Canadian Opera Company, Toronto
Milano, 6 febbraio 2013

Prosegue al Teatro alla Scala il grande successo di Falstaff, dovuto a un allestimento molto intelligente e divertente, e a una compagnia vocale molto affiatata e ben coesa. Ai primi interpreti (per cui si veda la recensione di Andrea Dellabianca del 23 gennaio scorso), sono subentrati i secondi, a cominciare dal protagonista Bryn Terfel, che ha dovuto sostituire l’indisposto Ambrogio Maestri in anticipo (sin dal 31 gennaio) rispetto ai tempi previsti dalla locandina. La protagonista femminile, invece, continua a essere in tutte le recite Carmen Giannattasio, dal momento che Barbara Frittoli non ha potuto prendere parte alla produzione.
Terfel è un ottimo personaggio, spigliato, convincente, molto preciso nell’affrontare le tante difficoltà della partitura; canta con bel timbro baritonale – anche se la voce non risulta del tutto uniforme – e con una pronuncia più che buona, per essere artista di origini non italiane. In confronto alla recita del 31 gennaio (quella del debutto) appare ora un po’ affaticato, e talora ricorre ai portamenti, specie per emettere gli acuti. Una leggera opacità della voce si percepisce in particolare in «L’onore! Ladri», in contrasto con la precisione degli accenti e del fraseggio; ma poi tale opacità si dissolve nel prosieguo della recita, e in ogni scena il cantante raggiunge un effetto di piena efficacia musicale. A fianco di Falstaff, tra gli interpreti maschili, spicca il Ford di Massimo Cavalletti (anch’egli ha anticipato la sua comparsa nella locandina, sostituendo nella recita del 20 gennaio Fabio Capitanucci), dalla voce rotonda e omogenea, capace di rappresentare un personaggio a mezza via tra l’indignato, lo sbalordito e il presuntuoso del neo-arricchito. Riccardo Botta e Alessandro Guerzoni sono affidabilissimi Bardolfo e Pistola, mentre il Dottor Cajus di Carlo Bosi pare un po’ malfermo nell’intonazione, ancorché renda molto bene il carattere pedante del personaggio. Bella sorpresa la voce di tenore di Antonio Poli, un Fenton aggraziato sin dal suo primo comparire (in veste di cameriere che serve al tavolo delle allegre comari di Windsor), fino al momento di magia musicale contenuto nel III atto, allorché ha il difficilissimo compito di intonare il sonetto «Dal labbro il canto estasïato vola»; Poli lo porge a fior di labbra, con la giusta delicatezza, rivelandosi così buon tenore lirico, di bell’avvenire.
Sul fronte vocale femminile Carmen Giannattasio ha voce piuttosto brunita nel timbro, e supera ogni difficoltà dei suoi numerosi interventi con abilità e correttezza; quanto a doti attoriali, il ruolo di Alice le è particolarmente congeniale, considerata la spigliatezza con cui si adatta alle variegate situazioni sceniche. La Quickly di Marie-Nicole Lemieux, comicamente autorevole nella sua parte di «Mercurio-femina», è magnifica sia nella recitazione sia nella voce; forse l’emissione non ha sempre il volume ampio che si vorrebbe, ma l’effetto complessivo funziona molto bene. Molto buona anche la Nannetta di Ekaterina Sadovnikova, dalla voce fresca e gentile, perfettamente adeguata a duettare con Poli (e anch’ella brilla nel III atto, con le strofe di «Sul fil d’un soffio etesio», pendant sopranile del sonetto di Fenton). Ottima, per concludere, la Meg di Manuela Custer, che con la sua usuale intelligenza interpretativa e con i solidi mezzi vocali che la caratterizzano riscatta una parte un po’ sacrificata, e la rende perfettamente coesa con le altre tre del quartetto femminile.
La direzione di Daniel Harding si conferma davvero pregevole, soprattutto perché il direttore accompagna i cantanti, senza forzare mai dinamiche o sonorità, ma al contrario esaltando la leggerezza di una partitura propriamente unica (leggera anche quando Verdi, con scelte armoniche o strumentali, “fa il verso” al melodramma serio tradizionale, ossia a se stesso).
Della felice regia di Robert Carsen e dei suoi collaboratori sulla scena si è già letto molto; sia ora consentita una sola nota, in merito all’originalità d’impostazione. Ci sono due quadri rivelatori dell’impostazione registica, e sono il secondo del I atto, e il primo del II (non a caso rappresentati senza intervallo); negli altri la regia rispetta sostanzialmente la tradizione dei Falstaff del passato, con le loro più o meno farsesche realizzazioni. La salle à manger e la sala di lettura del grande albergo dove Falstaff alloggia rappresentano invece la novità di ambito sociale e comportamentale su cui la regia fa perno; rispettivamente il luogo dove i due quartetti (femminile e maschile) ordiscono le loro trame parallele (I ii), e dove Sir John riceve prima Quickly e poi Ford nei panni di Fontana (II i), questi due spazi di aggregazione confrontano i caratteri della commedia con altri avventori, clienti, frequentatori dell’albergo e del ristorante, ossia con il resto del mondo. E tale rapporto esalta l’invadenza della commedia negli ambienti così compassati di un’Inghilterra Anni Cinquanta, il cui atteggiamento unico sembra essere il sussiego. Se Falstaff è nel corso degli atti II e III il bersaglio d’ogni tipo di insulto, con questi due quadri Carsen rappresenta la non irreprensibilità di tutti gli altri: di Bardolfo e Pistola (ovviamente), che importunano il resto della clientela oppure sottraggono l’argenteria; ma anche di Quickly, che con la sua debordante persona dà fastidio di continuo senza neppure accorgersene: è, nel gruppo femminile, il prototipo della donna scaltra ma cafona, colei che per essere civettuola sconfina subito nella volgarità; o ancora di Ford-Fontana, modello di ostentazione della ricchezza (abbigliato, tra la boiserie e gli sparati del personale d’albergo, come il proprietario di un ranch texano). Si staglia così un’opposizione tra gli iperbolici caratteri della commedia e un mondo ingessato nella consuetudine e nell’ipocrisia (o nella pedanteria del Dottor Cajus); ed è modo per provocare la società e criticarne le inerzie, secondo le funzioni più collaudate della letteratura teatrale, ma con tono giocoso, ammiccante, sempre nella dimensione conviviale di servizi impeccabili e di portate succulente. Del resto, la serietà completa di una critica del genere sarebbe inopportuna, dato che «Tutto nel mondo è burla».