Verona, Teatro Ristori:”Dido and Aeneas”

Verona, Teatro Ristori, Stagione Lirica della Fondazione Arena di Verona 2012/2013
“DIDO AND AENEAS”
Opera in tre atti, libretto di Nahum Tate.
Testi recitati tratti da Epistulae Heroidum di Publio Ovidio Nasone.
Musica di Henry Purcell
Didone, regina di Cartagine ROBERTA INVERNIZZI
Enea, principe troiano LEONARDO CORTELLAZZI
Belinda, confidente MARIA HINOJOSA MONTENEGRO
Seconda Donna IRENE FAVRO
Maga MARINA DE LISO
Prima strega ALESSIA NADIN
Seconda strega ELISA FORTUNATI
Spirito TEONA DVALI
Primo marinaio PAOLO ANTOGNETTI
Attrice ERMELINDA PANSINI
Coro, Orchestra e Corpo di Ballo dell’Arena di Verona
Direttore Stefano Montanari
Maestro del Coro Armando Tasso
Regia Marina Bianchi
Scene e costumi Leila Fteita
Coreografia Maria Grazia Garofoli
Luci Paolo Mazzon
Nuovo allestimento della Fondazione Arena
Verona, 19 febbraio 2013

La stagione della Fondazione Arena di Verona, lascia momentaneamente la abituale sede del Teatro Filarmonico, per entrare nella dimensione più intima del Ristori, più adatto al carattere cameristico della seicentesca Dido and Aeneas di Purcell. Partitura affascinante e per molti aspetti misteriosa (nel libretto è previsto un Prologo, ma non ha mai visto la luce della pubblicazione e non si sa se Purcell lo abbia mai effettivamente musicato e a ciò si aggiunge che ci sono giunte più di una versione della partitura), sola opera nel senso italiano del termine, scritta da Purcell. E’ certamente un capolavoro, ma non scevro di difetti: composta per delle risorse teatrali assai modeste (un collegio femminile di Chelsea), della durata di poco più di un’ora, Dido and Aeneas presenta i limiti imposti dai ritmi  stretti dell’azione. Situata a metà strada fra le “Masquesinglesi e le produzioni musicali italiane, la cui influenza è innegabile, il valore primario di Dido and Aeneas risiede nella maestria con cui il compositore inglese, prima di qualsiasi altro, soddisfa le complesse esigenze di un’opera seria, vincendo i limiti imposti dal soggetto, ridotto, come durata e come azione, a non più di un atto d’opera.
Ora, dopo tempo, la musica barocca si riaffaccia nella programmazione della Fondazione Arena che, ovviamente utilizza i propri complessi strumentali e corali per interpretare questo lavoro, per loro desueto.  Di conseguenza non si può fare della vera e propria filologia interpretativa, ma arrivare a una sorta di compromesso, partendo dall’affidare la concertazione a un musicista principalmente impegnato nella Musica Antica, Stefano Montanari, e mettere insieme un cast che genericamente possiamo definire “misto” (specialisti del Barocco e non). Indubbiamente la presenza di Montanari si sente. La sua è una direzione ricca di vigore, di contrasti, incisiva, vitale, ritmica. Peccato che i pur ridotti strumentisti areniani (all’inizio anche piuttosto in lotta con l’intonazione) ogni tanto sfuggano al controllo e debordino in sonorità fuori luogo. Compagnia di canto complessivamente omogenea e di buon livello. Bisogna però dire che l’aver talvolta teatralizzato il canto ha nuociuto alla purezza alla già di per sé intensa espressività della melodia e, soprattutto, del fraseggio, spesso poco incisivo. Aggiungere languori o caricare troppo certe espressività, in particolare nel caso della Maga, non rappresenta un valore aggiunto dell’opera, in particolare di questa, che ha proprio il pregio di essere così concentrata.  Roberta Invernizzi è una Didone più dolente che regale, canta con sensibilità ma non è propriamente una tessitura che le si confà e i vuoti timbrici si sentono. Timbricamente un po’ troppo simile a Didone, la Belinda di Maria Hinojosa Montenegro. A un pelo dal cadere nel caricaturale la Maga, comunque timbricamente ricca, di Marina De Liso. Corrette Irene Favro (seconda donna), Alessia Nadin (prima strega), Elisa Fortunati (seconda strega), Teona Dvali (Spirito). Sul versante maschile, Leonardo Cortellazzi, in un ruolo, quello di Enea, dal quale non si può tirare fuori molto, è stato vocalmente gradevole, ma piuttosto compassato sul piano interpretativo. Brillante, nel suo breve intervento, Paolo Antognetti (secondo marinaio). Lodevole nell’impegno di creare precisione e omogeneità la prova offerta dal Coro areniano. La facciata di un palazzo con grandi  colonne neoclassiche fa da sfondo alla regia lineare, classico-moderna di Marina Bianchi. Non mancano le suggestioni visive, soprattutto grazie a un uso intelligente delle proiezioni che creano una certa atmosfera, così come ci sono parsi abbastanza efficaci gli interventi in prosa dell’attrice Emelinda Pansini che ha in qualche modo colmato quei limiti di cui abbiamo fatto cenno. La scelta di modernizzare visivamente i personaggi non è stato però un valore aggiunto alla partitura. Di fatto appare una inutile forzatura la caratterizzazione sexy sadomaso della Maga con il suo seguito. Abbiamo già fatto cenno alla bella scena di Leila Fteita. Non convincono però i costumi, che passano da forzature legate all’iconografia del bondage, come si è detto nel caso della Maga, ad un certo gusto per lo stile da picnic alto borghese al parco. Valido l’apporto del Corpo di Ballo areniano, anche se le coreografie non sono andate oltre a un certo decorativismo di maniera.Teatro gremito, successo caloroso.  Foto Ennevi per Fondazione Arena