Opéra di Marsiglia: “Otello”

Marsiglia, Opéra Municipal, Stagione Lirica 2012/2013
“OTELLO”
Opera in quattro atti, libretto di Arrigo Boito, basato sulla tragedia di William Shakespeare.
Musica di Giuseppe Verdi
Desdemona INVA MULA
Emilia DORIS LAMPRECHT
Otello VLADIMIR GALOUZINE
Iago SENG-HYOUN KO
Cassio SÉBASTIEN DROY
Lodovico JEAN-MARIE DELPAS
Roderigo ALAIN GABRIEL
Montano YANN TOUSSAINT
Araldo FRÉDÉRIC LEROY
Orchestre et Chœur de l’Opéra de Marseille
Direttore Friedrich Pleyer
Maestro del Coro Pierre Iodice
Regia Nadine Duffaut
Scene Emmanuelle Favre
Costumi Katia Duflot
Luci Philippe Grosperrin
Coproduzione Chorégies d’Orange / Opéra de Marseille
Marsiglia, 2 aprile 2013

L’Opera di Marsiglia nell’ambito del progetto “Marsiglia Mediterranea” rende omaggio a Giuseppe Verdi in occasione del bicentenario della nascita, mettendo in scena “Otello”.  L’allestimento  di Nadine Duffaut dà una visione personale, mettendo l’accento sul dramma psicologico dei vari personaggi. Troviamo attraente questa regia, che predilige una recitazione interiore, ove ogni personalità è rinchiusa nel proprio mondo, incapace di uscirne e di comunicare. Meno sontuoso di altre celebrate produzioni,  questo “Otello” risulta più attinente ai personaggi, mostrandoci il “moro di Venezia” in preda al dubbio. Dubbio, non solo quello instillato da Jago, ma anche quello di un uomo intrappolato nel suo incubo. Per sottolinearne la solitudine, la regia di Nadine Duffaut, pone Otello in alto su una passerella, in uno spazio che lo separa dagli altri. Egli è solo nella lotta contro gli oscuri sentimenti e l’amore per Desdemona, schiavo del cattivo pensiero di Jago. Malgrado i momenti di lucidità, i dubbi personali lo renderanno debole e lo porteranno ad un gesto irragionevole verso la donna che lo ama in maniera incondizionata. Questa regia potrebbe disorientare chi ha l’abitudine di vedere un Otello sicuro di sé, che come un uomo forte quando si sente tradito, cede alla gelosia in modo brutale. Nadine Duffaut sceglie sempre di mostrare la fragilità interiore fino all’ultima scena con una fedeltà di pensiero che si esprime nella scenografia e nei costumi. La  scenografia di Emmanuelle Favre è cupa, nella quale i giochi di luci e ombre si insinuano tra le colonne mobili fino a farle sparire, creando  il luogo ideale per ordire  infelici intrighi. Splendido è l’effetto scenico nel quadro dell’ultimo atto. Desdemona, donna di una bontà naturale, spontanea, in candide vesti riflette la propria immagine su uno specchio dal fondo scuro. Come nel ricordo di un quadro del Rinascimento italiano, questa immagine ci descrive la purezza dell’anima di Desdemona sullo sfondo nero del dramma.
I costumi di Katia Duflot realizzati, come le scene, nei laboratori di Marsiglia sono sobri, di bell’effetto e rispettosi dell’epoca. Gli abiti delle dame di corte sono confezionati con bei tessuti monocromi e acquistano movimento sotto i riflessi delle luci. Sono tutti nei toni del grigio, tranne quello di Otello che è rosso. Questa scelta di un colore acceso, diabolico, sembrerebbe più adatta alla figura di Jago, ma qui si vuole sottolineare con un colore ambiguo, il carattere di Otello fatto di coraggio, ardore e collera. E’ il colore del suo inferno interiore. Le luci ben impiegate animano le scene come nel primo atto dove nel festeggiare la vittoria di Otello, i costumi aranciati suggeriscono i riflessi delle fiamme degli esterni, o nel finale dove colori più freddi corrispondono alla paura che raggela  Desdemona.
Non ha bisogno di presentazioni il tenore Vladimir Galouzine,  da molto tempo interprete del ruolo del Moro. Ancora oggi ci presenta  un Otello perfettamente credibile e fedele alla lettura registica. Il suo “Esultate” può sembrare un po’ debole (la posizione in proscenio non aiuta di certo).  A partire dal duetto con Desdemona,  un grande momento di abbandono e di tenerezza, la voce di Galouzine ha ripreso la sicurezza naturale, calda nel timbro e varia negli accenti,  che affascina per le sfumature dei piano e si fa vibrante e sempre omogenea negli acuti e nei “forte”. Mai si dissocia il suo gioco scenico dal carattere vocale, fino alla fine. La linea interpretativa di Galouzine si è perfettamente accordata con quella di  Inva Mula,  una Desdemona tutta fervore e delicatezza. Pur non possedendo una voce “immensa” è perfetta per il ruolo. Gli acuti puliti, delicati, perfettamente intonati si uniscono ad un gioco scenico di grande sobrietà. La “canzone del salice” come “l’Ave Maria” sono stati carichi di intensa emotività e  fragilità. Fragilità che non avvertiamo mai nella sua linea vocale, priva di artifici e di asperità, con acuti sicuri, pianissimi e crescendo morbidi e musicali.
Il baritono coreano Seng-Hyoun Ko (Jago), possiede certamente una voce dal timbro e colore scuro, ma la linea di canto è banale e il fraseggio incolore. Ha comunque ottenuto  un grande successo, malgrado una recitazione ed un’idea del personaggio di Jago personale e discutibile,  carente nello scavo psicologico, nella ricerca delle sottigliezze inerenti ad un personaggio machiavellico. Il resto della distribuzione è alterna e non va oltre alla correttezza:  Sébastien Droy (Cassio) è piuttosto insignificante e  vocalmente debole. Apprezzabili Doris Lamprecht (Emilia),  Jean-Marie Delpas (Lodovico), Alain Gabriel (Roderigo), Yann Toussaint (Montano). Il coro ben preparato da Pierre Iodice offre una rimarchevole prestazione sia scenica che vocale (ottima la qualità del suono e la  precisione ritmica nel “fuoco di gioia”). Infine la concertazione di Friedrich Pleyer ha saputo bene armonizzare orchestra e palcoscenico, sapendo anche ben controllare le sonorità.  Ha diretto con scioltezza, sempre attento alla scena e ottenendo dall’orchestra sempre suoni morbidi. Ha saputo mettere in risalto il corno inglese nel quarto atto (“Canzone del salice”).  Una produzione complessivamente di alto livello, salutata calorosamente dal pubblico. Foto Christian Dresse.