Bari, Teatro Petruzzelli: “Rigoletto”

Bari, Teatro Petruzzelli, Stagione Lirica 2013
“RIGOLETTO”
Melodramma in tre atti, libretto di Francesco Maria Piave
dal dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo
Musica di Giuseppe Verdi
Il Duca di Mantova FABRIZIO PAESANO
Rigoletto STEFANO ANTONUCCI
Gilda MARIANGELA SICILIA
Sparafucile EMANUELE CORDARO
Maddalena MARIANNA VINCI
Giovanna OLGA PODGORNAYA
Conte di Monterone GIANFRANCO CAPPELLUTI
Marullo ANTONIO MUSERRA
Matteo Borsa RAFFAELE PASTORE
Conte di Ceprano ROCCO CAVALLUZZI
Contessa di Ceprano TERESA CARICOLA
Usciere CARLO PROVENZANO
Paggio CATERINA DANIELE
Orchestra e Coro del Teatro Petruzzelli
Direttore Carlo Rizzari
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Regia, scene, costumi e disegno luci Denis Krief
Assistente regia Pia di Bitonto
Assistente scene e costumi Angela Vasta
Produzione Fondazione Petruzzelli
Nuovo allestimento
Bari, 31 maggio 2013
La nuova produzione di Rigoletto a Bari rappresenta il primo frutto del progetto OperaNuova ideato dalla Fondazione Petruzzelli per la valorizzazione di cantanti under 30 selezionati tramite opportune audizioni. Tra i 170 candidati sono stati scelti otto per dar voce ai personaggi dell’opera (Rigoletto escluso). La disponibilità di un giovanissimo doppio cast ha permesso che al pubblico barese venissero offerte ben otto recite. L’eccellente risultato della première fa ben sperare nella continuità di questa splendida iniziativa. In questa sede si darà conto del primo dei due cast. Fabrizio Paesano/Duca di Mantova è un tenore che presto acquisirà un suo peculiare colore vocale, qualitativamente più alto; per ora sfoggia una buona tecnica d’emissione, sicurezza nei passaggi di registro, padronanza degli acuti e un’ottima presenza scenica che gli ha permesso di mantenere grande equilibrio in una parte che si presta ad eccessi vocal-gestuali e di assicurare al tempo stesso a quel personaggio l’aura libertina che gli pertiene. Vocalmente matura Mariangela Sicilia i cui recenti trascorsi nel mondo del melodramma settecentesco e rossiniano (Viaggio a Reims) hanno garantito alla sua Gilda una cristallinità purissima e finanche astratta. Mirabile la gestione delle nuances dinamiche (in particolare i pianissimo nella zona acuta) che compensa una certa mancanza di potenza. Buona la prova di Marianna Vinci/Maddalena che dovrà affinare dizione e controllo dell’emissione; lievi asprezze e nasalità si possono tuttavia ben tollerare in un giovane mezzosoprano che palesa una generosità attoriale e una precisione negli attacchi inconsueta se riferita alla sua età (la peraltro solida preparazione è emersa a chiare lettere nel quartetto). Ottima la qualità del basso Emanuele Cordaro che affronta con sicurezza gli abissi della parte di Sparafucile donando al personaggio un’immobilità lugubre e demoniaca. L’autorevolezza di Stefano Antonucci, un Rigoletto superbo per intensità espressiva e assoluta padronanza della parte, ha funzionato da guida e collante per l’intero cast. Impreciso nel primo atto (entrate in ritardo e mancata sincronia tra le parti) e soltanto buono nel resto dell’opera, il coro della Fondazione Petruzzelli diretto da Franco Sebastiani. Attenta ai dettagli timbrici, sicura negli stacchi di tempo, compatta e omogenea l’orchestra diretta da Carlo Rizzari che del maestro Pappano ha assimilato la gestualità eloquente e vibrante.
Alla freschezza di questi bravi interpreti ventenni ha corrisposto una regia che è stata in grado di attualizzare, senza travisarli, i nuclei tematici di uno dei melodrammi più celebri (e per questo più ‘ingombranti’) della storia dell’opera. Denis Krief, ideatore anche di scene, costumi e luci, ha infatti lavorato per sottrazione sfrondando ogni elemento d’ambientazione (termine da lui aborrito) e concentrandosi su un unico tema: il rapporto padre-figlia. Ne è sortita una specie di dramma ibseniano incasellato in spazi claustrofobici e monocromi. Krief ha rinnovato infatti le scelte registiche che il pubblico di Bari aveva conosciuto lo scorso anno con l’edizione del Barbiere rossiniano: i tre atti sono stati inquadrati in una cornice architettonica ammiccante all’arte di Alvaro Siza e le scene si sono articolate grazie alla rotazione di contenitori cubici funzionale al passaggio tra interni ed esterni. Se si considera quanto Rigoletto fosse debitore verso i mélodrames dei boulevards e verso il loro concetto di scena multipla, le ‘scatole stranianti’ di Krief risultano allora particolarmente congrue con la drammaturgia sottesa al libretto di Piave. In questa lettura ‘esistenzialista’ di Rigoletto il protagonista eponimo è stato privato di ogni ‘difformità’; a sembrare orrendi buffoni sono piuttosto i cortigiani (picciotti ingiacchettati) o il duca (un rampollo mafioso) ma non Rigoletto, qui misurato raisonneur in elegante abito scuro. La sua pecca è semmai un certo bigottismo e, di sicuro, la mancata sintonia con le aspirazioni della figlia. Krief legge infatti Gilda come un’adolescente inquieta ma non ne fa una caricatura; nella sua visione vige un realismo che porta a prescrivere una prossemica innovativa e drammaticamente calzante: nel duetto tra Rigoletto e Gilda intonato a ridosso dell’amplesso consumato tra la fanciulla e il duca, Krief chiede ai cantanti di riprodurre l’imbarazzo intrinseco a quella situazione. Padre e figlia contraggono i loro gesti, incapaci di scambiarsi effusioni, e vivono il contatto fisico con evidente disagio. Abituati a vedere, durante Tutte le feste al tempio, baritono e soprano avvinghiati in sdilinquimenti vari, impressiona davvero osservarli qui in un tragico impaccio comunicativo, analogo a quello tra Wakefield (Micheal Douglas) e la figlia in Traffic di Soderbergh (2000). Meno riuscita risulta la scena iniziale della festa, a causa di un’eccessiva scarnificazione scenica: le danze restano sullo sfondo mentre sul proscenio i personaggi cantano dentro due squallide toilettes che permettono giochi voyeuristici. Gli spogli parallelepipedi di Krief funzionano però assai bene durante il rapimento di Gilda e, come già detto, nella stamberga di Sparafucile; di fatto hanno lasciato a digiuno di suggestioni visive il pubblico del politeama barese che alla fine ha contestato il regista, colpevole di un minimalismo compiaciuto. Per Verdi il ripugnante aspetto fisico di Rigoletto era necessario al fine di innescare lo stridore con il sublime dei suoi sentimenti; per Krief no. Altra scelta opinabile è stata quella di sovrapporre Don Giovanni a Rigoletto e rendere quindi Monterone un alter ego del Commendatore. Il conte viene infatti ucciso nella sesta scena del primo atto e nella settima del secondo ritorna solo la sua voce, come quella di un fantasma che Rigoletto si propone di vendicare, nonostante sia da lui stato maledetto. Tali ricodificazioni del dettato librettistico hanno comunque funzionato sulla scena, corroborando l’idea di un Rigoletto asciutto e algido, allineato con la nostra contemporaneità. Foto Carlo Cofano