Regio di Torino:”L’Italiana in Algeri”

Torino, Teatro Regio, Stagione Lirica 2012/2013
“L’ITALIANA IN ALGERI
Dramma giocoso in due atti su libretto di Angelo Anelli
Musica di Gioachino Rossini
Isabella
DANIELA PINI
Lindoro ANTONINO SIRAGUSA
Mustafà CARLO LEPORE
Elvira LINDA CAMPANELLA
Taddeo ROBERTO DE CANDIA
Haly FEDERICO LONGHI
Zulma ALESSIA NADIN
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Daniele Rustioni
Maestro al cembalo Giannandrea Agnoletto
Maestro del coro Claudio Fenoglio
Regia Vittorio Borrelli
Scene Claudia Boasso
Costumi Santuzza Calì
Luci Andrea Anfossi
Allestimento del Teatro Regio
Torino, 19 giugno 2013
Oltre ai plurigettonati bicentenari di Verdi e di Wagner, nel 2013 cade una quantità d’anniversari da far impallidire chi li volesse contemplare tutti in un cartellone; anniversari che, a dire il vero, avrebbero meritato di essere celebrati ben più di quelli dei massimi operisti, perché sarebbero stati l’occasione per rivalutare figure e composizioni oggi pressoché dimenticate. Nel 1813, ad esempio, nacque anche Errico Petrella, che, negli anni ’50-’60 dell’Ottocento, era considerato il secondo operista italiano in attività: quanti, oggi, al di fuori degli addetti ai lavori, conoscono il suo nome? ma nessun teatro ha pensato d’allestire una sua opera in occasione del bicentenario. Il Regio, che pure, recentemente, non pare molto incline alla memoria storica – nel 2014 non celebrerà il centenario di Francesca da Rimini di Zandonai, ultima grande opera data in prima assoluta sul palcoscenico di piazza Castello – ha pensato bene di inserire, nel programma di quest’anno, un titolo rossiniano che ha appena compiuto duecento anni: L’italiana in Algeri, frutto di quel 1813 che per il ventunenne Rossini fu certamente più significativo che per i neonati Verdi e Wagner, dato che lo vide passare dalle farse per il teatro di San Moisé alla conquista delle piazze liriche italiane.
L’esecuzione torinese si inscrive nel progetto del Regio di affiancare, al cartellone stagionale tipico dei teatri della Penisola, una forma di teatro di repertorio che riproponga di frequente, con allestimenti di proprietà del teatro, alcuni titoli popolari in grado di fare il tutto esaurito al di fuori dei turni d’abbonamento. Viene però il dubbio che, per il pubblico italiano, L’italiana non sia abbastanza popolare da riempire per cinque serate la sala quando manchino gli abbonati; e questo la dice lunga sugli effetti che producono la mancanza di istruzione musicale nel nostro percorso scolastico e la trascuratezza riservata dai media al teatro d’opera e alla musica classica in genere.
L’allestimento in questione, a cura di Vittorio Borrelli, è un vero esempio di regia “made in Regio”, nata alcuni anni fa dalle maestranze interne del teatro. Il risultato, di impianto tradizionale (pur con alcuni elementi fuori epoca, come il carrello con moccio per lavare i pavimenti), è assai più gradevole di tante stranezze pagate a caro prezzo a registi esterni. Il difetto, se lo si vuole trovare, sta nell’aver voluto esagerare con la comicità, spingendola a livello farsesco: Rossini è già comico e divertente di suo, senza che sia necessario fisicizzare le colorature con gag sceniche che scatenano le risate (anche nella cavatina di Lindoro, che buffa non dovrebbe affatto essere) e fanno perdere la concentrazione. Oppure, che bisogno c’è di far vedere un gruppo di nuotatori inseguiti da uno squalo sullo sfondo del finale I? Gli spettatori, però, paiono davvero soddisfatti.
Il lato più comico della partitura ha trovato riscontro negli ottimi interpreti che ricoprivano i ruoli buffi, i bassi Carlo Lepore (Mustafà) e Roberto de Candia (Taddeo): il primo specialista del registro più grave, corposo e ricco di sfumature; il secondo particolarmente espressivo e coinvolgente, in particolare nell’aria «Ho un gran peso sulla testa», dalla quale ha saputo far emergere, al di là del carattere macchiettistico, la fragilità dell’uomo impaurito; entrambi, poi, si sono distinti per non esagerare nella caricatura dei propri personaggi, temperando alcuni eccessi dell’impostazione registica. Per restare alle voci gravi, molto soddisfacente è stato anche l’Haly di Federico Longhi, messosi in luce, ancor più che per «Le femmine d’Italia» (della quale, più la si ascolta, più si riconosce la mano non rossiniana), per l’accento con cui ha sottolineato la frase «sta qui fuori la bella italiana», nell’introduzione del finale I: dettaglio che rivela la sua propensione alle cesellature del canto da camera. Il tenore Antonino Siragusa (Lindoro) tende invece ad accentuare l’elemento caricaturale conferito dalla regia al suo personaggio, rischiando di lasciar sfuggire la delicatezza dell’amoroso, in conformità con un’interpretazione vocale che, pur corretta quanto all’intonazione, ha convinto meno di passate prove rossiniane del tenore: è parsa mancare un po’ di grazia a vantaggio di un canto troppo incisivo e spinto. Situazione inversa è quella del contralto Daniela Pini, che sfoggia grande classe nell’emissione e scaltrezza nell’espressività, come rivelano i recitativi soppesati parola per parola e la capacità di far comprendere la molteplicità delle direzioni comunicative dell’aria «Per lui che adoro» (cantata fra sé, ma in realtà diretta a Lindoro, Taddeo e Mustafà, che la ascoltano di nascosto e la intendono ciascuno a proprio modo); tuttavia, al momento attuale le mancano un po’ di volume e di temperamento per ritrarre a tutto tondo l’audace Isabella. Eterna questione quella della figura di Elvira: il ruolo che ha nell’introduzione e nel finale I fanno di lei un personaggio di rilievo, ma spesso viene considerata alla stregua di un comprimario, e di rado viene affidata ad una solista che sappia darle il giusto risalto; il soprano Linda Campanella lo avrebbe saputo fare in uno dei suoi momenti di grazia, che purtroppo non era la sera in cui la si è ascoltata. Di tutto rispetto la Zulma del mezzosoprano Alessia Nadin. La direzione di Daniele Rustioni (il quale, a differenza di quanto accaduto nell’ultima edizione torinese, ha proposto l’orchestrazione con la “banda turca”) si è distinta per l’attenta cura delle dinamiche e per un ottimo accompagnamento delle voci.