“Giovanna D’Arco” al Festival della Valle d’Itria di Martina Franca 2013

Martina Franca, Palazzo Ducale, XXXIX Festival della Valle d’Itria
“GIOVANNA  D’ARCO”
Dramma lirico in un prologo e tre atti, libretto di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Giovanna JESSICA PRATT
Carlo VII  JEAN-FRANÇOIS BORRAS
Giacomo JULIAN KIM
Delil ROBERTO CERVELLERA
Talbot  EMANUELE CORDARO
Orchestra Internazionale d’Italia
Coro del Teatro Petruzzelli di Bari
Direttore Riccardo Frizza
Maestro del Coro Franco Sebastiani
Regia e progetto scenico Fabio Ceresa
Costumi Massimo Carlotto
Disegno luci Giuseppe Calabrò
Movimenti coreografici Luciana Fumarola
Martina Franca, 31 luglio 2013
L’allestimento di Giovanna d’Arco al Festival della Valle d’Itria è stato l’unico che nel bicentenario della nascita di Verdi, ha omaggiato quel titolo, uno dei più significativi tra quelli degli ‘anni di galera’ ancora poco frequentati dai teatri nonostante le recenti riscoperte e riabilitazioni in sede musicologica. Cifra di questo evento – che per la ristrettezza del budget avrebbe dovuto essere eseguito in forma di concerto – è stata una messinscena talmente ridotta alla sua ‘essenza’ da risolversi in pura fascinazione visiva, in pura luce, in puro gesto. La forza icastica di quattro colori (azzurro: Francia, rosso: sangue inglese, nero: potenze infernali, bianco: potenze celesti) ha mirabilmente definito i nuclei diegetici del libretto di Solera; un semplice parallelepipedo con tre porte (dal loro interno, allusione alle ianuae del teatro classico, sortivano le voci delle entità sovrumane accompagnate da opportuni lampi), e con una scala che conduceva a un piano ‘altro’ rispetto a quello del palcoscenico, ha saputo simboleggiare l’articolazione drammaturgica della Giovanna tra interni ed esterni, tra spazio pubblico e privato, tra mondo reale e soprannaturale. Le ragioni del testo poetico e della partitura sono state soddisfatte in ogni dettaglio gestuale grazie alla sensibilità e alla lucidità di pensiero esibita dal giovane regista – curatore anche del progetto scenico – Fabio Ceresa (le splendide note di regia ne danno immediata contezza), supportato dal costumista Massimo Carlotto, dai movimenti coreografici ideati da Luciana Fumarola e dal virtuosismo luminotecnico dell’ottimo Giuseppe Calabrò. Un semplice drappo nero ha assolto diverse funzioni: mosso da quattro danzatori (gli spiriti malvagi del libretto) avvinghiati con voluttà al corpo dell’aspirante guerriera ha emblematizzato l’assopimento di Giovanna nel Prologo; lasciato cadere in tutta la sua lunghezza (tre metri) dall’alto della struttura scenica ha ben simboleggiato il momento in cui il tarlo paterno si trasmette alla folla come un morbo, diventando fobia collettiva; indossato da Giacomo a mo’ di mantello da inquisitore ha compendiato l’orrore insito nell’accusa infamante che un padre muove alla figlia (scena II.3). Una benda rossa posta sugli occhi di Giovanna ha invece sintetizzato in sé il rogo, la croce, le catene, l’espiazione e ha legato senza soluzione di continuità l’atto secondo al terzo: quando Giacomo la leva (sul libretto III.1 libera la figlia dalle catene) comunica al pubblico che anche la sua ossessione si è sciolta, seppur troppo tardi. Bianche sono invece le bende che, nel finale dell’opera, legate ai rami di una quercia goffamente stilizzata – secondo Ceresa tale artificiosità con cui si alludeva alla sacralità della foresta voleva essere «segno di una cecità d’ispirazione demoniaca» – scandiscono con la delicatezza delle Khada tibetane una redenzione che (è ancora il regista a dircelo) ha il senso di una dormitio Virginis. Una regia, dunque, imperniata su oggetti minimi e, soprattutto, sulla luce che segue passo passo il percorso mistico della protagonista con tale intensità da far credere che questa oggi sia l’unica possibile realizzazione di un’opera visionaria come la Giovanna, sfrondata dal kitsch neogotico caro al (mancato) romanticismo nostrano. L’Orchestra internazionale d’Italia ha assunto i toni bandistici richiestigli da Riccardo Frizza che ha dato un colore rétro a questa Giovanna, recuperando atteggiamenti direttoriali precipui della fine dell’Ottocento, a onor del vero non troppo consoni alla raffinatezza della regia. Frizza ha inoltre impostato la sua direzione (dalla tecnica perfettibile) interamente sui desiderata di Jessica Pratt, che oggi sta affermandosi come la più autorevole erede dell’estrema stagione belcantistica, quella compendiata da Erminia Frezzolini, prima Giovanna nel carnevale 1845 alla Scala, e voce che traghettò il nostro melodramma dal ‘rossinismo’ al romanticismo maturo. La Pratt nella replica è parsa meno lucida rispetto alla ‘prima’ e, forse complice il fastidioso vento (congeniale però al movimento dei tessuti che parevano usciti da un film di Kurosawa), ha cantato tendenzialmente ‘piano’ e un poco ‘al risparmio’, non esente da distrazioni insidiose, quale, ad esempio, un’entrata anticipata ch’è stata subito abilmente sanata ma che ha fatto sudare freddo direttore e primo violino. Se i tempi stretti scelti da Frizza, in particolare nelle cabalette, funzionano per la vocalità della Pratt (che affronta il belcantismo della sua parte lanciandosi sempre come in corsa su una lastra di ghiaccio sottile), non altrettanto può dirsi nel caso del bravissimo tenore Jean-François Borras, capace di un fraseggiare ricco di appoggi e più disteso. Borras ha una voce potente e al tempo stesso raffinata, timbricamente ricca in ogni gamma e notevole è la sua maturità sul fronte attoriale. Altrettanto squisita l’interpretazione del baritono coreano Julian Kim che ha incarnato senza la minima sbavatura un Giacomo intenso e corrusco. Buone le due parti di fianco. Quarto personaggio principale della Giovanna d’Arco è il coro, mai come in questo caso cangiante nel carattere espressivo: Franco Sebastiani ha preparato in tempi rapidissimi i coristi del Teatro Petruzzelli donando alla compagine vocale una omogeneità che negli spettacoli precedenti talora latitava. Foto Lab.Fotografia © Fondazione Paolo Grassi