Il “Lago” dei “Laghi” al San Carlo di Napoli

Napoli, Teatro di San Carlo, stagione di balletto 2012-2013
“IL LAGO DEI CIGNI”
Coreografia M.Petipa/L. Ivanov
Musica Pëtr Il’ič Čajkovskij
Odette/Odile  OKSANA SKORIK
Il principe Siegfrid  VLADIMIR SHKLYAROV
La regina madre EKATERINA MIHAJLOVCEVA
Il precettore del Principe SOSLAN KULAEV
Rothbart  IVAN SITNIKOV
Il giullare GRIGORIJ POPOV
Orchestra del Teatro di San Carlo
Compagnia di Balletto del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo
Direttore d’orchestra Mikhail Agrest
Scene Igor’ Ivanov
Costumi Galina Solov’eva
Napoli, 17 settembre 2013
Il Lago dei cigni diventa il “Lago dei Laghi” al Teatro San Carlo di Napoli. Il grande colosso del repertorio classico ottocentesco, banco di prova temutissimo dalle grandi interpreti di tutti i tempi è affidato, per l’evento straordinario che chiude la stagione 2012-2013 e apre “Autunno Danza”, alla sapienza della più pura tradizione russa, quella della Compagnia del Teatro Marijnskj di San Pietroburgo.
Inutile sottolineare il fermento per l’attesa che ha preceduto l’evento: l’ultimo ricordo di un “Lago” degno di attenzione per le guest star risale al 2006, con Roberto Bolle e Polina Semionova nei ruoli principali. Ma questa volta è tutto l’ensemble a contendersi l’attenzione del pubblico in estasi, che non sa davvero dove dirigere le pupille.
Balletto emblema della metamorfosi per eccellenza, quella della donna-cigno (con tutte le ascendenze filosofiche del caso) Il Lago dei cigni di Ĉjajkoskj -Petipa –Ivanov nasce dal libretto di Vladimir Petrovic Begicev, direttore dei teatri imperiali di Mosca, basato su un’antica fiaba tedesca, Der geraubte Schleier (Il velo rubato), e sul racconto di Johann Karl August Musäus. Primo dei tre balletti di Čajkovskij, fu composto tra il 1875 e il 1876. Com’è noto, con il grande compositore russo anche la musica scritta espressamente per la danza cambiava finalmente volto, grazie al suo «respiro sinfonico», alla costruzione di strutture più ampie, nonché alla sua bravura nel creare musica necessaria a momenti emotivi specifici e parimenti adatta ai movimenti dei danzatori.
Travagliata la storia del balletto: l’evoluzione di un successo postumo, la questione della interpolazione dei numeri musicali e coreutici dovuti ai non pochi rimaneggiamenti della partitura dopo gli insuccessi iniziali – in vero per colpa delle pessime coreografie e delle cattive scelte scenografiche -, prima che il grande Marius Petipa, nel 1895, dopo la morte di Čajkovskij, si occupasse della coreografia insieme a Lev Ivanov (al quale lasciò la realizzazione degli atti “bianchi”). L’imperituro successo fu così  decretato il 17 gennaio del 1895, proprio nella città degli Zar.
Grande concentrato di tensione drammatica nella lotta perenne tra Bene e Male,  Altruismo ed Egoismo, Innocenza e Seduzione, il connubio tra musica e danza sviluppa la drammaturgia del racconto in maniera perfetta.
Il Preludio è già ampiamente descrittivo, lasciando  presagire le situazioni del secondo atto. In questa introduzione musicale le tinte lugubri si evincono immediatamente nella tonalità di morte, il si minore, che in Čajkovskij segnerà le parti salienti del dramma ballettistico, presentandosi finanche nei momenti gioiosi (si pensi al Passo a due finale de Lo Schiaccianoci), quale spettro perenne del dolore che affligge l’anima dall’artista, anche nei momenti d’amore. Come scrive Renato Bossa in un suo saggio sulle grandi musiche per la danza, il fatto che il secondo atto venga spesso eseguito da solo dimostra quanto la vicenda della fanciulla-cigno Odette abbia una sua «autonoma tenuta drammatica. Qui la musica raggiunge i punti più alti del balletto e l’adozione di stilemi fin troppo usati (gli accordi di settima diminuita che introducono il cattivo Rothbart) riescono ad avere ancora un’efficacia. Anche il famosissimo Pas de deux dei protagonisti è introdotto da accordi di legni e da una cadenza dell’arpa, dunque in maniera assolutamente tipica: ciononostante risulta uno dei pezzi più affascinanti del balletto per la sua toccante melodia».
Le più grandi compagnie di balletto del mondo hanno fatto del Lago dei Cigni il proprio cavallo di battaglia, ma la tradizione più pura si svela con la Compagnia del Teatro Marijnskj di San Pietroburgo, ospite al Massimo napoletano fino a domenica. Oltre due secoli e mezzo di vita, dal 1738, anno in cui la zarina Anna, continuando l’opera di Pietro il Grande, fondò la prima Scuola di Ballo, essa è ai vertici del balletto mondiale, scrigno prezioso di tradizione e innovazione.
La sera della prima è stata segnata dal trionfale debutto di uno spettacolo in stile perfettamente russo. Contrariamente alla prassi, in cui si parte dei protagonisti, grande plauso va subito al corpo di ballo, la cui raffinata perfezione non solo tecnica ma anche  scenica e gestuale ha sorretto il lungo spettacolo brillando di luce propria in costante irradiazione, finanche nei momenti più delicati dei virtuosismi solistici, che in genere offuscano qualsivoglia sfondo. Dalle nobildonne degli atti di palazzo ai longilinei e delicati cigni, gli inconfondibili port de bras delle “zarine” hanno impartito una vera lezione di stile agli spettatori (specie a quelli più smaliziati). D’altra parte, se lo “stampo” di provenienza determina la grandezza degli insiemi, spesso rischia di intaccare i solisti, che faticano ad andare al di là del perfezionismo e del virtuosismo più estremi, prigionieri della gabbia d’oro di una tecnica che deve essere forte  e perfetta ad ogni costo.
Tra i protagonisti, la prima recita è stata affidata a Oksana Skorik, che ufficialmente fa parte dei “Primi solisti” della Compagnia. Ucraina formatasi nella durissima scuola di Perm è nota al pubblico di ballettofili per essere stata la protagonista, con la sua storia di sudore e sacrificio fino ai limiti dell’anoressia del documentario di David Kinsella, A beautiful tragedy. Entrata a far parte del tempio mondiale del balletto, Oksana non manca di raccontare, in un’intervista a «Il Mattino» di Napoli, quanto la danza sia totalizzante nella sua vita, fino a compensare qualsiasi altro tipo di mancanza. Odette/Odile tecnicamente impeccabile, bellissima nelle linee lunghe e sostenute, è ancor più meritevole di lode per aver danzato con delicatezza consona al lirismo del ruolo, specie nel Passo a due “bianco”, alla fine del quale si è scatenata una vera e propria ovazione, sostenuta persino dai componenti dell’orchestra! I passaggi più difficili sono stati eseguiti in maniera fluida e con poetica disinvoltura, grazie soprattutto all’uso sapiente delle braccia, vere ali di cigno. Raffinata e sobria, è apparsa perfetta nelle vesti di Odette, forse un po’ meno convincente in quelle di Odile, la cui forza seduttiva è sembrata meno vigorosa di quella che siamo abituati a vedere con i nostri interpreti in Italia. Ciononostante, una lettura del personaggio meno aggressiva e più vicina a quella del cigno bianco si potrebbe felicemente intendere come “tattica” di conquista, ovvero una riproduzione artificiosa dell’innocenza della principessa-cigno. Un Siegfried non stordito da una seduzione esplicita, insomma, bensì ammaliato  e ingannato da una Odette che ha solo cambiato il colore dell’abito.
Vladimir Sklyarov [già noto ai lettori di GBopera per l’intervista rilasciata in occasione delle celebrazioni in onore di Nureyev  a Ravello], Primo ballerino della Compagnia, ha dato bella prova di sé sfoggiando il suo straordinario aplomb in salti di un’elevazione eccezionale, sicuro e forte di una grande esperienza di palcoscenico. Ma Il Lago dei cigni, si sa, appartiene alla donna (se facciamo eccezione per la versione Nureyev) e al nostro bel principe va il merito di aver accompagnato molto bene la Prima ballerina e di aver cesellato il cammeo della variazione del secondo atto in maniera esemplare.
Un plauso particolare va ai solisti del Pas de trois del primo atto, Marija Ŝirinkina [altra protagonista nota per il Gala Nureyev del mese di luglio], Valerija Martyniuk e Xander Parish, nonché  al giullare  Grigorij Popov, vero alter-ego del malinconico Siegfried.
I quattro piccoli cigni (Anastasija Sogrina, Elena Ĉmil’, Anastasia Asaben, Ol’ga Marĉuk) hanno eseguito la propria danza con sincronismo perfetto, fresca grazia e grande musicalità.
La versione portata in scena è quella di Konstantin Sergeev, che debuttò al Mariinsikj l’8 marzo del 1950 con l’introduzione del nuovo personaggio del Buffone (come in quella moscovita di Gorskij), con le bellissime scene di Igor’ Ivanov i costumi, splendidi, di Galina Solov’eva.
Alcuni momenti dedicati agli applausi hanno in verità spezzato il filo che teneva legato lo spettatore allo sviluppo drammaturgico;  questo infrange quella sorta di magia che si fa tanta fatica a creare durante uno spettacolo, dal momento che la danza rischia di essere, così,  assimilata sempre più a una sorta di esibizione prettamente fisica, dimenticando che essa fa parte delle arti ed è uno dei linguaggi teatrali più difficili da portare in scena.
Il terzo atto, più nutrito e diverso (anche dal punto di vista della partitura) rispetto a quanto siamo abituati a vedere in occidente, è apparso molto impegnativo sia per il corpo di ballo – qui composto da cigni bianchi e neri – sia per i protagonisti, che hanno donato il meglio della propria arte al calorosissimo pubblico partenopeo che, al calar del sipario sul lieto fine scelto per l’epilogo, ha ringraziato con il calore di dieci minuti di applausi.
L’orchestra del Teatro di San Carlo, diretta dal Maestro Mikhail Agrest, ha eseguito con il consueto trasporto la partitura, partecipando con grande slancio emotivo all’evento.
Uno spettacolo così Napoli l’attendeva da tanto e di questo ringraziamo chi ha avuto il merito di organizzarlo. Se però a San Pietroburgo il Teatro Marijnskj ha potuto gioire della nascita di un fratello gemello, il Mariinsky II, con conseguente raddoppiamento di artisti e maestranze, per cui la Danza continua a ricevere il giusto compenso e i giusti riconoscimenti, noi ci accontentiamo di una lenta risalita (si spera) da un baratro dove starnazzano solo timidi anatroccoli, qualcuno dei quali attende di poter diventare, un giorno, splendido cigno. Ph. Gene Schiavone