La “Coppélia” di Petit al Teatro dell’Opera di Roma

Roma, Teatro dell’Opera di Roma, Stagione di Opere e Balletti 2012-2013
“COPPELIA”
Balletto in due atti
Musica di Léo Delibes
Coreografia Roland Petit
Supervisione coreografica Luigi Bonino
Coppelius LUIGI BONINO
Swanilda ALESSIA GAY
Franz  ALESSIO REZZA
Sei amiche: Anna Chiara Amirante, Claudia Bailetti, Rebecca Bianchi, Silvia Fanfani, Giovanna Pisani, Sara Loro
Dodici coppie:Alessia Barberini, Francesca Bertaccini, Michela Fontanini, Anjella Kouznetsova, Claudia Marzano, Cristina Saso, Catia Passeri, Marianna Suriano, Martina Sciotto, Cristina Mirigliano, Daniela Lombardo, Micaela Grasso, Giovanni Bella, Paolo Gentile, Fabio Longobardi, Paolo Mongelli, Michael Morrone, Emanuele Mulè, Alessandro Rende, Andrea Stasio, Damiano Mongelli, Gerardo Porcelluzzi, Antonello Mastrangelo, Claudio Cocino.
Orchestra e Corpo di Ballo del Teatro dell’Opera di Roma
Direttore Koen Kessels
Scene e costumi Ezio Frigerio
Luci Jean-Michel Desiré
Roma, 29 settembre 2013
Tra i balletti più amati del repertorio, Coppélia torna – dopo quasi un anno – a calcare le scene del Teatro dell’Opera di Roma: eppure in pochi penseranno di aver avuto un déjà-vu. Poco o nulla ha infatti in comune (eccetto, certamente, la musica) questa produzione con quella del 2012. Dov’era la classicità, ora v’è la profonda e originale reinterpretazione del più grande coreografo del ‘900, Roland Petit, creata nel 1975 a Parigi assieme a Les Ballets de Marseille (Petit stesso rivestì più volte i panni di Coppelius). Il libretto viene tutto riscritto, anche se la sostanza rimane ovviamente quella originale. Coppelius è innamorato di Swanilda, a sua volta innamorata di Franz, che s’invaghisce, scorgendola dalla finestra, di Coppelia, null’altro se non un automa-bambola creato da Coppelius a immagine e somiglianza dell’amata Swanilda. Franz, audace, penetra nella casa di Coppelius; per fortuna anche Swanilda e le sue amiche vi riescono a entrare, grazie alla chiave inavvertitamente persa dal solitario dandy, ma vengono cacciate da Coppelius, adirato. La sola Swanilda, nascostasi, si sostituisce a un certo punto a Coppelia, salvando Franz, la cui essenza vitale Coppelius voleva infondere alla sua creazione, per darle vita. Una volta scappati e celebrato il loro matrimonio in tripudio, Swanilda e Franz osservano quasi divertiti Coppelius mentre si vede distruggere fra le mani quel manichino senza vita. Questa la versione di Petit. In realtà la Coppélia originale è leggermente diversa: il balletto, considerato il canto del cigno dell’era propriamente romantica della storia della danza (da La Sylphide del 1832, fino appunto a Coppélia), venne messo in scena sulla musica di Léo Delibes − allievo di Adolphe Adam e autore affermato − all’Opéra di Parigi il 25 maggio del 1870, alla presenza di Napoleone III, nell’«ultimo anno dorato e un po’ incosciente del Secondo Impero» (Vittoria Ottolenghi). Giuseppina Bozzacchi fu la sfortunata ballerina per cui venne creato il ruolo − sarebbe morta di lì a poco durante l’assedio di Parigi. Il libretto del balletto fu composto da Charles Nuitter e la coreografia affidata a Arthur Saint-Léon; il Nuitter trasse ispirazione da un racconto di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann, Der Sandmann (1817), che parlava proprio dell’amore di Nathanael per Olimpia, presunta figlia − in realtà creazione meccanica − dello scienziato Spalanzani: il medesimo racconto ispirerà Jacques Offenbach per il primo atto de Les Contes d’Hoffmann (1881). Il tema antropologico dell’automa-robot che prende vita (le cui radici si scorgono, ben prima del Rinascimento, nell’antichità classica), nel pattern in cui l’ha declinato Hoffmann, avrà una notevole fortuna: citerei, in ambito cinematografico, le riprese di Ernst Lubitsch (Die Puppe, 1919) e il futuristico Blade Runner (1982)di Ridley Scott, tratto da un romanzo di Dick.
La rielaborazione della trama operata da Petit prevede anche tutto uno spostamento dell’ambientazione: dalla Galizia si arriva a un’indefinita città del Sud, descritta dallo scenografo e costumista Ezio Frigerio come meglio non si poteva. Petit volle una scena disadorna e Frigerio costruisce un’enorme parete che simula il cemento, con un ingresso che richiama vagamente rielaborazioni lineari di stilemi neoclassici: si tratta di una caserma, da dove si affacciano assieme alle loro donne e poi escono i soldati che costituiscono il corpo di ballo maschile (la drammaturgia originale prevede invece – com’è noto − dei contadini). Franz, che non è un soldato, si staglia cromaticamente sugli altri ballerini grazie a un semplice costume da paesano con calzamaglia, sulle tonalità del celeste, unica pennellata che possa ricordare la trama originale: dell’idillio campestre rimangono solo le note di Delibes. Le ballerine indossano costumi classici, tipicamente borghesi, con larghe gonne e una cuffietta in pizzo, sulle tonalità del rosa, che contrastano cromaticamente con le giubbe dei soldati: solamente Swanilda e le amiche hanno un classico tutù bianco. Il II atto, l’interno della casa di Coppelius, è un po’ naïf: un velluto da pareti rosa antico, poca mobilia, un tavolo riccamente adorno sulla destra, un sperarè sulla sinistra. Un’alta credenza al centro mostra pezzi di bambole che si muovono da soli, assieme ai vari cassettoni: spettacolo a un tempo macabro e comico. Coppelius, sempre in elegante smoking («malizioso dandy rubacuori», come lo ha definito Concetta Lo Iacono), scopre una bambola di pezza con un costume e un tutù neri, la fa accomodare al tavolo al lume di candela, poi vi balla amabilmente, poco prima che, senza farsene accorgere, a quella si sostituisca Swanilda, abbigliata al medesimo modo. Il ballo di Coppelius con la bambola – la assicura alle sue caviglie, così che segua ogni suo movimento − è forse tra i colpi di genio più eclatanti della rielaborazione di Petit: una sorta di danza necrofila che vuole sottrarre qualcosa di inanimato alla sua condizione, per pathos pari solo al finale, dove domina (a dispetto della drammaturgia originale) la figura di un tragico Coppelius che si vede distruggere fra le mani il manichino di Coppelia, per sempre smembrato, mentre la reale Swanilda si allontana in festa.
Buona la performance dei ballerini. Alessio Rezza è un energico Franz: sciorina un notevole campionario di salti, atletici e robusti, agili entrechats, nonché le serie di pirouettes e fouettes. Alessia Gay danza una convincente Swanilda, anche se leggermente sottotono rispetto a Rezza; ci regala momenti piacevolissimi, come l’esecuzione del valse lente (atto I. 2), con eleganti petit développés; nel théme slave varié (atto I. 7) centra una bella sequenza di quattro ballonnés seguiti da un piquet soutenus e da una pirouette andedan; molto convincente nel ruolo dell’automa («l’automa, quindi, legittima combinazioni e figure coreografiche marionettistiche e a scatti» Concetta Lo Iacono), dove ben esegue sia il bolèro che la gigue. Rezza e Gay eseguono con notevole perizia e professionalità i passi a due (buonissima la coordinazione sull’assieme dei grand jetés, in quello del I atto). Luigi Bonino interpreta alla perfezione il Coppelius inventato da Petit; la sua nuova supervisione coreografica ha, però, forse il difetto di accentuare troppo, con gesti e lazzi, talune comicità intrinseche della drammaturgia, già peraltro ben individuate da Petit. Ottimo tutto il corpo di ballo, che si fa apprezzare nelle numerose danze d’assieme presenti nel balletto: molto particolare la resa coreografica dell’ungherese czárdás (I atto).
Buona la direzione orchestrale – certamente migliore di quella dello scorso anno − di Koen Kessels, che ben guida i complessi dell’opera di Roma. Uno spettacolo affatto godibile e di qualità. Concluderei con le considerazioni dello stesso Petit sulla ‘sua’ Coppélia: «ogni interpretazione è nel contempo sacrilegio e omaggio. Ho sempre visto, oserei dire, “vissuto” un’altra Coppélia. E di anno in anno, quest’ “altra” Coppélia mi ha accompagnato per divenire un’impressione, poi una convinzione: la mia Coppélia, la mia visione di questo balletto non tradisce nessuno. È solo e semplicemente il mio modo di partecipare a questa danza». Foto Luciano Romano