Il flauto è sempre magico grazie al cast alternativo

Torino, Teatro Regio, stagione d’opera 2013-2014
“DIE ZAUBERFLÖTE”
Singspiel in due atti di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Sarastro IN-SUNG SIM
Königin der Nacht CHRISTINA POULITSI
Tamino GIORGIO BERRUGI
Pamina EKATERINA BAKANOVA
Papageno THOMAS TATZL
Papagena LAURA CATRANI
Erste Dame TALIA OR
Zweite Dame ALESSIA NADIN
Dritte Dame EVA VOGEL
Monostatos ALEXANDER KAIMBACHER
Sprecher RYAN MILSTEAD
Erster Knabe MARTINA PELUSI
Zweiter Knabe EMMA BRUNO
Dritte Knabe LUCA CORETTI
Erster Priester / Zweiter Geharnischter KLAUS KUTTLER
Zweiter Priester / Erster Geharnischter DARIO PROLA
Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino
Direttore Christian Arming
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Roberto Andò
Scene e luci Giovanni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Allestimento Teatro Regio [produzione originale Teatro Massimo di Parlermo]
Torino, 18 gennaio 2014       

Funziona sempre tutto (o quasi tutto) molto bene, quando si propone un Flauto magico che insista sugli aspetti fiabeschi del viaggio iniziatico e dei personaggi, così come su quelli comici della coppia Papageno / Papagena. Se poi, come nell’allestimento torinese, il pubblico si sente coinvolto dall’avvicinarsi dei cantanti, che attraversano la sala, si accostano agli spettatori, quasi interloquiscono direttamente con loro, allora il successo pieno è garantito, quale esito della perfetta simpatia tra palcoscenico e platea. Per capire meglio il successo della Zauberflöte del Regio, però, occorrerebbe partire dalla sintonia stilistica di orchestra e cantanti, e dunque dall’aspetto propriamente musicale. Quanto al dettaglio dell’allestimento, delle scene, dei costumi e della regia, si rimanda all’esaustiva recensione di Marco Leo, inerente alla prima compagnia vocale.
Christian Arming, che dirige senza bacchetta, lavora soprattutto sulla pulizia delle sonorità, com’è suo tipico anche nel repertorio sinfonico: l’esito di tale insistenza permette all’orchestra del Teatro Regio di raggiungere un ottimo livello. Sin dall’ouverture l’obbiettivo stilistico del direttore appare infatti non il fuoco energico del sole venerato da Sarastro, né il mistero dei valori simbolici e allegorici di cui il libretto e la partitura pullulano, bensì la trasparenza dell’ensemble strumentale (che poi si ridurrà alla trasparenza sonora del flauto magico di Tamino o del Glockenspiel di Papageno). Grande pregio del direttore è l’attenzione alle esigenze dei cantanti, in particolare nei momenti virtuosistici, allorché rilassa tempo e ritmo per facilitare la loro respirazione; è vero, d’altra parte, che questo accorgimento sottrae vitalità al fluire drammatico della vicenda, almeno fino al coro finale del I atto, quando Arming provvede a una piccola iniezione di vivacità ritmica. E un abbrivio del genere contraddistingue anche il finale dell’opera, con tutti gli interpreti principali schierati in sala, davanti alla prima fila di poltrone, per suggellare la partitura a contatto diretto con l’uditorio. La lettura naturalistica e incantata di Arming da un lato si affianca alla semplicità descrittiva delle scene e della regia, dall’altro predispone i solisti a un canto spontaneo, quasi privo di sottolineature drammatiche.
Giorgio Berrugi sostituisce il tenore designato per la seconda compagnia vocale (Tony Bardon), e così canta per due giorni consecutivi, e per la quinta volta all’interno della produzione; ma non appare affatto stanco vocalmente: anzi, fa sfoggio di una bella voce lirica italiana (un po’ penalizzata dal dover cantare in tedesco), dal timbro chiaro, dal fraseggio capace di eleganze. Se il pubblico non applaude al termine della prima aria non è colpa del cantante, ma del clima ancora un po’ imbarazzato che il procedere del Singspiel tedesco ingenera nei teatri italiani. Il tenore diventa più espressivo a partire dal duetto con Sarastro e poi nella celebre aria del flauto (anche se la voce non risponde in modo impeccabile proprio in tutti i momenti), porgendo così un Tamino molto convincente, apprezzabile sul piano vocale come su quello scenico.
A proposito del repertorio dei cantanti in questione, è interessante notare che Giorgio Berrugi ed Ekaterina Bakanova cantassero insieme al Teatro Regio di Torino anche un anno fa, impegnati nella Bohème di Puccini quali Rodolfo e Musetta. La voce della Bakanova si adatta perfettamente alle richieste mozartiane, restituendo una Pamina dalla voce corposa, dagli armonici variegati (per esempio nella supplica a Sarastro del I atto) e dal timbro molto omogeneo. La regina della Notte è interpretata da Christina Poulitsi, un soprano dalla voce molto chiara e di volume tutt’altro che grande. Le celebri due arie del personaggio sortiscono un esito alquanto diverso: nel corso della prima l’artista è innalzata sopra una colonna, ma un po’ arretrata rispetto alla scena; evidentemente spaventata dalla cadenza, affronta l’aria con un tempo molto compiacente da parte del direttore, ma con un volume vocale inadeguato alla pagina. La seconda aria – più difficile rispetto alla precedente nella trama di colorature – riesce assai meglio; forse in alcune note acute si percepisce qualche inflessione un po’ acerba, ma il complesso della tessitura è controllato molto bene.
Thomas Tatzl è un Papageno dalla voce chiara e dall’emissione molto facile: canta con notevole musicalità, il suo fraseggio ispira immediata simpatia, ed è anche ottimo attore. In più, possiede un bel vibrato nella voce, che si apprezza soprattutto nella scena del Glockenspiel. Tatzl è comunque un Papageno che, a differenza di molti altri interpreti del ruolo, non antepone mai al canto l’ambizione del caratterista o del comico; anche nei momenti più farseschi, linea vocale e intonazione restano perfettamente rispettate.  Dopo un avvio in cui spinge eccessivamente la voce, il Sarastro di In-Sung Sim si rivela corretto e autorevole, e pratica un’emissione ben timbrata e sicura: la sua invocazione «Isis und Osiris» è uno dei momenti migliori dell’intera esecuzione (al punto che riceve la maggior quantità di applausi del pubblico, ovviamente dopo quelli per la seconda aria di Astrifiammante). Che le voci principali siano tutte “nella parte” è dimostrato, del resto, anche dai pezzi d’insieme, pochi ma molto significativi: nel II atto è bellissimo il terzetto della separazione di Pamino da Tamina insieme a Sarastro, perché le tre voci si integrano molto bene (avendo modo di cantare con agio, grazie alla concertazione moderata di Arming). Parimenti molto ben riuscito è il duetto tra tenore e soprano, sempre all’interno del II atto. Soddisfacente anche lo stuolo di comprimari: le tre dame hanno voce piccola ma corretta; e anche in questo caso Arming provvede a equilibrare i volumi orchestrali rispetto alla portata delle loro voci. Quelle bianche hanno invece qualcosa di un po’ troppo acerbo, e di leggermente fastidioso. Corretti ed espressivi la Papagena di Laura Catrani, il Monostato di Alexander Kaimbacher, il Primo sacerdote di Klaus Kuttler (basso, certamente il migliore del gruppo per mezzi e tecnica vocali), l’Oratore degli Iniziati di Ryan Milstead e il Secondo sacerdote di Dario Prola. Molto convincente il coro del Teatro Regio, abile soprattutto nel differenziare i toni, dalla mezza voce al forte, sempre in quel clima di olimpica compostezza che il direttore d’orchestra spande su ogni pagina: a partire da (e per concludersi con) un flauto magico che davvero rasserena gli animi, e suscita i lunghissimi applausi finali per tutti. Foto Ramella e Giannese