“Il flauto magico” al Teatro Regio

Torino, Teatro Regio, stagione lirica 2013/2014
“DIE ZAUBERFLÖTE”
Singspiel in due atti di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Sarastro ALEKSANDR VINOGRADOV
Königin der Nacht OLGA PUDOVA
Tamino GIORGIO BERRUGI
Pamina MARIA GRAZIA SCHIAVO
Papageno MARKUS WERBA
Papagena LAURA CATRANI
Erste Dame TALIA OR
Zweite Dame ALESSIA NADIN
Dritte Dame EVA VOGEL
Monostatos ALEXANDER KAIMBACHER
Sprecher RYAN MILSTEAD
Erster Knabe ESTHER ZAGLIA
Zweiter Knabe ELENA SCAMUZZI
Dritte Knabe GIULIA MORETTO
Erster Priester / Zweiter Geharnischter KLAUS KUTTLER
Zweiter Priester / Erster Geharnischter DARIO PROLA
Orchestra e Coro del Teatro Regio
Direttore Christian Arming
Maestro del Coro Claudio Fenoglio
Regia Roberto Andò
Scene e luci Giovanni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Allestimento Teatro Regio [produzione originale Teatro Massimo di Parlermo]
Torino, 15 gennaio 2014 

Dopo l’abbuffata verdiana – che a volte ha rischiato di trasformarsi in indigestione – con cui il Regio ha chiuso l’anno del bicentenario, il 2014 si è aperto a Torino nel segno di Mozart, e del Mozart tedesco ed estremo della Zauberflöte. L’ultima produzione torinese di questo titolo, risalente al 2006, era stata affidata ad Alessandro Baricco, il quale aveva riscritto tutta la parte non cantata del singspiel, ambientando i numeri musicali di Mozart in una cornice affatto nuova. A proposito di quello spettacolo, lo stesso Gianandrea Noseda, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’attuale stagione, ha ammesso che «anche a noi non tutte le ciambelle riescono col buco». Non si può dunque che apprezzare il ritorno dell’opera nella versione originale concepita da Schikaneder, tanto più che gli interpreti –  pur non essendo, per la maggior parte, di lingua madre tedesca – hanno saputo essere veri attori, e scolpire le parole recitate con un nitore scenico che non ha permesso di avvertire alcun senso di  pesantezza durante i passi in prosa, nemmeno in chi ignora la lingua di Goethe. La piacevole levità dello spettacolo era favorita dalla regia di Roberto Andò, di impianto fiabesco, abile nel riprodurre, seppur in maniera non didascalica, l’atmosfera dell’Egitto immaginario in cui la vicenda è ambientata. Gli sketch aggiunti, conformi alla maggiore libertà interpretativa che il genere del singspiel consente, hanno saputo contenersi entro il limite della misura (qualcuno in più sarebbe stato di troppo). Il coinvolgimento della platea nello spazio scenico è forse stato un po’ eccessivo, anche perché non sempre giova alla corretta proiezione delle voci, ma il pubblico l’ha indubbiamente apprezzato, tanto che una spettatrice si è alzata al momento opportuno per posare un bacio sulla guancia di Papageno. Certo, per lo spettatore consapevole è impossibile assistere all’opera dimenticandone le fondamenta ideologiche – che in diversi passi, come il quintetto del II atto, emergono con prepotenza –, ma l’allestimento torinese ha dimostrato la possibilità di presentare il lavoro di Mozart anche in una veste naïf che, invece di sovrapporre significato a significato, ne faccia in primo luogo apprezzare i bellissimi contenuti musicali.
Nella presentazione di questi ultimi, figura trasparente è stata quella del direttore Christian Arming, il quale, dopo aver dato risalto, nell’ouverture, all’atmosfera misterica, ponendo in rilievo una certa inquietudine generata dai repentini mutamenti agogici, si è adagiato nel ruolo di accompagnatore di voci; il che, se da un lato non permette ora di tessere le lodi della sua interpretazione personale, dall’altro ha permesso di apprezzare la vocalità di tutti gli interpreti nella sua genuinità. Nel Flauto magico tutti attendono le prove della Regina della Notte, ma occorre riconoscere che questo personaggio si trova, in tutta l’opera, a cimentarsi con due arie sovrumane e assai poco altro, per cui ogni giudizio sulle interpreti va espresso con la dovuta cautela. Di Olga Pudova – la cui voce si inscrive tra i soprani leggeri chiamati a ricoprire il ruolo in virtù dell’estensione del registro, senza valutare se il peso vocale sia sufficiente a rispondere ai tratti drammatici che la figura di Astrifiammante possiede – si deve riconoscere la piena correttezza formale, e si può scusare l’interpretazione un po’ scolastica tenendo conto che è stata chiamata a Torino a pochi giorni dalla “prima”, a seguito del forfait di Maria Aleida. Più fascino, quando sia ben interpretata, può suscitare la figura di Pamina, qui affidata al soprano Maria Grazia Schiavo, che ne ha tratteggiato con proprietà la figura adolescenziale negli accenti e nelle inflessioni della voce, raggiungendo risultati eccellenti nell’aria del II atto, dove la morbidezza del suono e la varietà di colori hanno espresso tutto lo scoramento che assale la giovane nel momento in cui si crede abbandonata da Tamino. L’adesione della Schiavo al personaggio di Pamina si è percepita altrettanto bene nel finale I, quando, difendendo davanti a Sarastro le ragioni del proprio tentativo di fuga, ella mostra fermezza di carattere con accento incisivo. Appropriate sono anche state la Papagena del soprano Laura Catrani e le tre Dame, cui Talia Or, Alessia Nadin e Eva Vogel hanno conferito un apprezzabile tocco civettino.
Sul fronte maschile, dominava il Papageno del baritono Markus Werba, un po’ anonimo nell’aria iniziale, ma subito trasformatosi in eccezionale attore ed eccellente buffo, capace di affrontare con spirito la propria parte evitando di far scadere il ruolo sul piano macchiettistico. Ha colpito, nella scena in cui si appresta al suicidio, l’abilità nel tenere in sospeso l’interpretazione tra la lettura seria e quella faceta. Gli altri uomini sono sempre stati, per lo meno, soddisfacenti: anche il più debole dal punto di vista tecnico-strumentale, e cioè il Monostato del tenore Alexander Kaimbacher, risultava appropriato alla figura sgradevole del moro. Il basso Alexandr Vinogradov possiede un registro ben sviluppato nelle profondità della voce, e una fermezza della linea melodica che conferiscono le giuste note ieratiche alla figura di Sarastro, anche se si potrebbe desiderare, qua e là, un volume più corposo. Forse ancor più ieratico di lui è stato, nella scena che introduce il finale I, il basso Klaus Kuttler, Primo sacerdote del quale non si può ignorare la voce bella e sicura. Il tenore Giorgio Berrugi, che sta sviluppando la propria rapida carriera in un repertorio quanto mai variegato, ha tratteggiato con espressività la figura di Tamino, come quella di un giovane che scopre i propri sentimenti (aria d’esordio) con passaggi delicati al limite del falsetto; ma sa accettare con squillo lucente, si direbbe eroico, le sfide che gli aprono le porte della maturità nel finale ultimo. Un successo particolarmente caldo e il teatro esaurito hanno suggellato le aspettative soddisfatte dei torinesi che ci tenevano a sentire, dopo tanti anni, il Flauto magico originale. Foto Ramella & Giannese