Bashmet, Tretiakov, Šostakovič: i russi alla conquista di Torino

Axelrod, Tretiakov, Bashmet con l'OSN RAI di Torino (21 III 2014)

Torino, Auditorium RAI “Arturo Toscanini”, Stagione Concertistica 2013-2014
Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI
Direttore John Axelrod
Violino Viktor Tretiakov
Viola Yuri Bashmet

Wolfgang Amadeus Mozart : Sinfonia concertante in mi bemolle maggiore KV 364 (320d) per violino, viola e orchestra
Dmitrij Šostakovič : Sinfonia n. 7 in do maggiore op. 60 Leningrado
Torino, 21 marzo 2014

Come accade quasi sempre nei concerti sinfonici della RAI, è ravvisabile un filo conduttore all’interno del programma, utile a presentare la musica da un punto di vista preciso, da un’angolazione peculiare da cui osservare il mondo e l’arte. E come è già accaduto più volte nella stagione in corso, il punto di vista privilegiato è l’anima russa, del compositore e degli esecutori: questi si cimentano in Mozart, quello colma la seconda parte con una gigantesca sinfonia di guerra. A coordinare l’intero programma è John Axelrod, un direttore di nazionalità e di scuola americane (Leonard Bernstein grande mentore), ma che ha studiato anche al Conservatorio di San Pietroburgo: e allora è proprio il caso di dire che tout se tient.
La Sinfonia concertante KV 364 di Mozart è una delle pagine più conosciute del compositore austriaco: sovrapposizione di serena allegria, di tragico ripiegamento, anche di frivolezza nel finale, è l’esito di un doloroso viaggio europeo, con tappa finale a Parigi, tra 1777 e 1779. Dopo l’introduzione, in cui brillano i corni dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI, fanno ingresso i due strumenti solisti: vigoroso il violino di Viktor Tretiakov (un Nicolò Gagliano del 1772), ma ancora più affascinante la viola di Yuri Bashmet: il suo suono meraviglioso, dal colore scuro, sembra provenire di lontano. E Axelrod, che solitamente eccede con le sonorità orchestrali, questa volta è in perfetta armonia con le enunciazioni dei solisti. Il duetto di questi ultimi nel I movimento (Allegro maestoso) è un capolavoro di virtuosismo, specialmente nei tempi rubati, nell’uso delle pause, delle accelerazioni e dei ritenendo. L’Andante centrale non è forse dolente come ci si aspetterebbe (Massimo Mila lo definiva «tra le cose più tristi e dolorose di Mozart»), ma semplicemente bello. Tra i due solisti sono molte differenze di stile: Bashmet tende a essere più brioso di Tretiakov, specialmente nel finale, perché il violinista ha cura di enunciare tutte le note con chiarezza, anche a costo di rallentare l’esecuzione o di apparire un po’ compassato, mentre la viola è molto più spigliata, e ricerca effetti ritmici di gusto decisamente teatrale. Il pubblico torinese festeggia comunque a lungo entrambi i solisti e il direttore.
La Sinfonia Leningrado fu scritta da Šostakovič nei mesi dell’assedio della sua città da parte dei nazisti, nel 1941; si tratta di una composizione articolata in maniera classica (nei canonici quattro movimenti), ma piuttosto eterogenea: un capolavoro il I tempo, con la rappresentazione del bombardamento della città; molto belli lo scherzo (Moderato – Poco allegretto) e l’Andante; il finale Allegro non troppo è una sequenza interminabile, ma quando assume l’abbrivio della coda si trasforma in altro capolavoro anch’esso. La difficoltà principale del direttore consiste nel riuscire a sostenere la tensione drammatica in tutti e quattro i movimenti, sino alla fine, senza esaurire l’effetto migliore nel solo movimento iniziale, dalla mimesi evidente e dalla scrittura immediatamente fruibile. Ottima l’agogica con cui Axelrod guida l’esposizione della lunga introduzione: l’ottavino di Carlo Bosticco ha un ruolo importante, e suona in modo efficacemente sinistro, tale da sembrare un diabolico zufolo che prelude a una catastrofe. Tutti i suoni, del resto, sono come sbilenchi, grotteschi, nefasti, e nella melodia del bombardamento, ripetuta per ben dodici volte in crescendo spasmodico, ogni effetto sonoro è pletorico, rigonfio, esagerato: rappresenta efficacemente l’avanzare del male (rendere le sonorità del crescendo anche in modo acusticamente sgradevole si rivela dunque scelta opportuna). È invece un peccato che la temperatura emotiva scenda nella coda del I movimento, perché musicalmente lo spegnersi del bombardamento sulla città è una delle migliori pagine di tutto Šostakovič. Nello scherzo riesce ottimo il pizzicato degli archi, prima del riesplodere di rangolanti fanfare; ma brillano anche i flauti di Marco Jorino e Luigi Arciuli, che suonano in modo stilizzato e inquietante nel III movimento. Il finale, in contrapposizione all’avvio, propone – com’è giusto – le sonorità di una grandiosa vittoria: eccellenti le trombe, come tutta la famiglia degli ottoni; e grazie ad Axelrod emergono bene anche gli archi, specie nel cullante tema čajkovskijano affidato alle viole. I tempi sono inaspettatamente equilibrati, quasi pacati, e quindi è inevitabile che il dramma si smorzi un poco prima della coda. Eppure, quando gli ottoni riprendono il sopravvento, e l’ascoltatore ha chiara percezione della conclusione imminente, il direttore ritrova tutta la verve dell’inizio, e conduce a termine il polittico sinfonico nel più spettacolare e travolgente dei modi. Segue un’ovazione prolungata all’indirizzo dell’OSN RAI e di Axelrod, un autentico trionfo; non potrebbe essere altrimenti, considerato che ogni persona partecipa sempre volentieri a un completo riscatto dal male: gli applausi, la commozione, l’entusiasmo lo invocano, e lo rendono anche più reale.   Fotografie Michele Rutigliano