Dalla Russia con furore: Denis Matsuev in recital

Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014
Pianoforte Denis Matsuev
Peter Il’jč Čajkovskij: Le Stagioni op. 37b
Franz Liszt: Mephistowalzer n. 1 S 514
Sergej Prokof’ev: Sonata n. 7 in si bemolle maggiore op. 83
Roma, 7 marzo 2014

Russo, imponente, ben piantato, col physique du rôle di un giocatore di basket. Stiamo parlando di Denis Matsuev, talento russo vincitore nel ’98 del prestigioso Concorso “Čajkovskij” e pianista di riferimento del panorama musicale internazionale. Il suo amore per la patria lo porta a essere particolarmente devoto alla tradizione musicale russa: Čajkovskij e Rachmaninov sopra tutti.   Nel suo recital per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia sceglie, infatti, un programma quasi tutto russo, con l’eccezione di Liszt. Le Stagioni di Čajkovskij sono il suo pane quotidiano: le ha anche incise per la Sony Classics nel 2006, oltre a portarle sovente in concerto. Čajkovskij le scrisse come biglietto da visita per i salotti russi d’eccellenza, il medesimo anno (1875) in cui creò il suo capolavoro pianistico assoluto, il Concerto per pianoforte e orchestra n. 1 op. 23. Il pianismo di Matsuev si sposa particolarmente bene con i brani di Giugno, Luglio, Agosto, Settembre, Novembre e Dicembre. Magnifica la resa cullante della celebre barcarola di Giugno, dove riesce a rendere la melodia mendelssohniana acquatica (gradevolissima la climax dell’inserto centrale); non dissimilmente, la gaia compattezza della liederistica Luglio, con lo schumanniano canto di una mietitrice, o l’indaffarato/placido Agosto, con i virtuosismi estremi; la caccia di Settembre è narrata a effetto, con uso di timbriche eccellenti (sembra di sentire i corni); gli algidi suoni di Novembre, i giochi sulla neve, gli consentono il dispiegamento di una velocità d’esecuzione notevole; a concludere, il caloroso valzer di Dicembre. Meno sentite le altre stagioni: il timing troppo sostenuto, in Gennaio, e l’uso eccessivo della pedalistica sporcano a tratti il suono; dopo la parentesi (troppo) sfrenata della festa carnevalesca di Febbraio, v’è un Marzo carente di espressione lirica; a un Aprile estremamente virtuosistico, segue un Maggio in cui il lirismo è più accorto, ma siamo una spanna sotto rispetto alle esecuzioni magistrali sopra elencate. Se cura indubbiamente la Stimmung di ogni stagione, non ha ancora sviluppato appieno tutta una teoria della délicatesse pianistica. È lontano dalla concezione di tersa perfezione timbrica dell’esecuzione di riferimento de Le Stagioni: la magnifica che Vladimir Ashkenazy diede per la Decca nel 1999.
Si sarà compreso che la forza del pianismo di Matsuev è nella muscolatura del suono, nel virtuosismo spericolato: riesce a creare un volume sonoro impressionante e con le mani sempre ben arpionate alla tastiera, mai svolazzanti, eccelle nelle esecuzioni delle fioriture e delle scale (prodigiosi gli accavallamenti delle mani). Il tutto si riversa in un suo cavallo di battaglia, una delle versioni del Mephistowalzer, una vera ballata narrativa dove alla paganiniana evocazione del satanico violino si alternano squarci narrativi dell’amore di Faust e Marguerite: e Matsuev non si risparmia da trilli cristallini, fenomenali, o da ogni tipo di mefistofelico virtuosismo. Questo suo impeto si riversa, si concreta pienamente e logicamente nella Sonata n. 7 di Prokof’ev, dalla carica altamente inquietante: composta tra il 1939 e il 1942, è impregnata degli orrori della bellica modernità (di orrori cadenzati, meccanici), con una sottintesa critica, peraltro non colta dalla censura sovietica, grazie al cui placito ricevette il premio “Stalin”. All’arte pianistica di Matsuev sono congeniali l’isterismo delle dissonanze, la voluta sporcizia sonora e il metallico percussionismo, corposamente potente, che trovano la loro perfetta realizzazione nella sfrenata danza primigenia, barbara del III movimento (Precipitato), dalla conclusione al cardiopalma, di una forza ritmica inarrestabile. Unica pausa più cantabile è il II (Andante caloroso), tutto imperniato su una citazione di Schumann. Il pubblico, che lo aveva omaggiato di calorosi applausi già durante il concerto, gli tributa un’ovazione al termine. Allora accade qualcosa di insolitamente curioso: Matsuev, quasi a interrompere gli applausi, a ogni sortita sul palco attacca un regalo pianistico. Incredibilmente, arriva a otto (!), spaziando dalla classica al jazz e alle colonne sonore (Pink Panther), palesando una cultura e una verve, un nerbo, non comuni.