Il peso di essere un enfant prodige: Leonora Armellini

Istituzione Universitaria dei Concerti, Stagione 2013/2014, Aula Magna de “La Sapienza” Università di Roma
Pianoforte Leonora Armellini
Fryderyk Chopin: Andante spianato e grande Polacca brillante op. 22, Due notturni op. 48, Allegro di concerto in la maggiore op. 46, Notturno in do diesis minore op. postuma, 12 Studi op. 25
Roma, 15 marzo 2014

I suoi ventidue anni li dimostra tutti, Leonora Armellini; viso fresco e angelico, incedere timido, ma inchino lento e consumato da chi abbia già una certa esperienza nel settore. La sua giovane età, infatti, non è indicativa della stupefacente carriera internazionale che sta portando avanti: recitals in tutto il mondo, un premio vinto al celebre Concorso “Chopin” di Varsavia (nel 2010, quando aveva solo diciotto anni).
Il concerto proposto alla IUC è un tour de force di una certa difficoltà e lo si comprende agevolmente anche dando un colpo d’occhio al programma: forse troppo per una ragazza della sua età (?). Inizia con l’Andante spianato e grande Polacca brillante op. 22: nell’Andante sovente calca troppo la mano sinistra e non riesce a esprimere la piena organicità del brano, pur fraseggiando ariosamente più di una frase; meglio nella Polacca (scritta in origine con l’accompagnamento dell’orchestra, ma suonata tradizionalmente anche senza), dove sciorina degni passaggi virtuosistici. Nei due notturni dell’op. 48, pur suonandoli bene, è alquanto carente d’atmosfera, dell’allure che dovrebbe (logicamente) possedere un notturno, e indugia in qualche dinamica voluminosamente troppo espansa: se qualcosa dell’atmosfera si perde, la Armellini fa godere tutta una serie di frasi squisite (soprattutto nel celeberrimo, languido Notturno n. 2 in fa diesis minore). La prima parte del concerto si conclude col monumentale Allegro di concerto in la maggiore op. 46: buon virtuosismo, ma poca brillantezza. Una prima parte piena, polposa, volendo anche sfiancante per un interprete dalla non consumata esperienza. Dopo l’intervallo, dove il prof. Franco Piperno procede alla premiazione delle migliori recensioni, scritte da studenti di vari istituti superiori del comprensorio, di concerti della IUC, la Armellini riprende con una altrettanto corposa seconda parte: l’aperitivo del Notturno in do diesis minore, cui seguono i famosissimi 12 studi op. 25 (e non ne presceglie un’antologia…ma li suona tutti!). Col Notturno in do diesis centra una delle migliori esecuzioni della serata, impreziosita da un trillo agilmente perlaceo. Poi inizia la maratona dell’integrale dell’op. 25; è proprio in questo difficilissimo ciclo di studi che lo stato attuale del pianismo della Armellini diviene palese: l’indiscutibile talento è ancora acerbo, le manca forse un’esperienza musicale e interiore più matura, per dare compiuta scultura sonora a queste opere, per una cui perfetta resa non basta oggettivamente un’esecuzione tecnicamente ottima. Qualche limatura ulteriore sul senso architettonico della partitura e sulle dinamiche sonore le faranno fare un notevole salto di qualità. Della raccolta, lo studio n. 3 è quello che le riesce meglio, assieme al n. 2 (magistrale il virtuosismo spericolato unito alla cura e pulizia sonora) e il n. 11 (“Vento d’inverno”), dove incasella splendide scale cromatiche discendenti e aggraziati abbellimenti. Negli altri, qua e là fa emergere qualche imperfezione: un’impercettibile perdita di abbrivio nel n. 1 (“Arpa Eolica”); una perdita di verve nel n. 4, nel n. 10 e nel n. 12 (“Oceano”, dove avrà giocato un’ovvia, fisiologica stanchezza); un suono un po’ confuso da qualche pedalata di troppo nel n. 5, dove preserva però un buon nucleo cantabile. In regalo al pubblico, poi, dona una delicata esecuzione (ci credereste? Forse il brano da lei meglio interpretato della serata!) della mendelssohniana Barcarola veneziana op. 19 n. 6. Al termine del concerto, il pubblico le tributa un caloroso applauso, condito da diversi «brava».