Mark Elder e Daniil Trifonov: sangue russo e humor inglese

Roma, Auditorium “Parco della Musica”, Accademia Nazionale di Santa Cecilia, stagione 2013-2014
Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia
Direttore Mark Elder
Pianoforte Daniil Trifonov
Richard Strauss: “Macbeth”, poema sinfonico dal dramma di Shakespeare op. 23
Sergej Rachmaninov: Rapsodia su un tema di Paganini, per pianoforte e orchestra op. 43
Edward Elgar: Variations on an Original Theme (Enigma) op. 36
Roma, 25 marzo 2014

Concerto assai interessante, sia nei contenuti che per le performances, quest’ultimo all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: all’esordio, il britannico Mark Elder dirige due composizione tra loro cronologicamente molto vicine, il Macbeth di R. Strauss (Weimar, 13-10-1890) e le Enigma Variations di Elgar (Londra, 19-05-1899), ma dai caratteri assai contrastanti. A mo’ di copula, la più tarda Rapsodia su un tema di Paganini di Rachmaninov (Baltimora, 7-11-1934), dove Elder accompagna alla tastiera il giovanissimo e straordinariamente talentuoso Daniil Trifonov, che ha già, invece, un certo trascorso nella sala dell’Accademia.
«Il mio Macbeth suona in modo tremendo, ma ai caratteri profondi fa impressione» (R. Strauss, in una lettera del 1899): non v’è modo migliore per descrivere l’impressione che fa questo poema sinfonico, che coglie talune impressioni, descrive i caratteri generali dell’assai nota tragedia shakespeariana. L’orchestra dell’Accademia, al solito compatta, squillante, tesa, potente, ma al contempo capace di squarci sonori caravaggeschi, viene condotta da Elder, che sa molto bene interpretare i momenti orchestrali più caotici, bacchici, ma ha meno tocco per alcuni momenti più agghiaccianti, serpeggianti. Poco male: per fortuna c’è, appunto, l’orchestra che ovvia a questa impostazione del direttore e che sa esalare a tratti un vapore sonoro mefistofelico. Sebbene qui e là Elder tenda all’’asciutta uniformazione della partitura, la resa della stessa non risulta mai realmente piatta, mercé il lavorio orchestrale. Non che sia facile ─ si badi ─ imbandire un pastiche musicale così ostico, ferrigno, che può in un attimo scadere in una resa bigia, con lo stigma dell’anonimato (l’ultimo a far risuonare questo poema in un concerto dell’ANSC era stato il compianto Sawallisch, nel 1999).
Una grande attesa aleggia attorno all’enfant prodige par excellence del pianismo contemporaneo; e Trifonov, esile, slanciato, non si fa attendere: schivo, timido, robotico, entra e saluta il pubblico, si siede al piano, un breve sguardo col direttore e si inarca alla tastiera, quasi a voler ‘apollineamente’ essere tutt’uno con lo strumento. Il risultato è divino. La celeberrima Rapsodia su un tema di Paganini è tra i gioielli concertistici del genio di Rachmaninov, permettendo all’interprete una serie impressionante di momenti di pura galvanizzazione pianistica. E ben lo ricordavo, Trifonov, fin dal suo esordio all’Accademia (proprio con Rachmaninov, nel 2012, nel Concerto n. 3): le sue miglior doti, un tocco che è un morbido velluto, una cristallina pulizia del suono, una velocità d’esecuzione che lascia a bocca aperta e un timing che ha sempre un valore semantico, oltre che musicale, splendono oggi, ancor più di prima, di luce propria. Si destreggia così amabilmente tra scale vertiginose, arpeggi a tutta tastiera, come pure fra passaggi fatati, espansioni sonore mai fatiscenti, assecondando con personale estro lo spartito, un’elaborata e raffinata texture di micro-variazioni (esattamente ventiquattro) che necessitano, per prendere autentica vita, dei più vari caratteri e colori: il russo sa interpretarle tutte ed è scultore di suoni, con autentico sangue nazionale ─ che si tratti di un passaggio percussionistico, o di un arabesco con pianoforte solo (accompagnato, magari, dallo xilofono o dall’arpa), non fa differenza. Anche Elder qui tocca il vertice della serata: è in perfetta sintonia con l’interprete e con l’orchestra, con tempi puntuali, azzeccati, pur nell’insidia dei sincopati cambi di ritmo o dei controtempi. L’orchestra accompagna perfettamente. Nel 1947, per l’Accademia, le aveva interpretate Arthur Rubinstein: il giovane delfino si sta meritando finanche la corona degli Zar (e penso non solo a Rubinstein, ma anche a Horowitz). Come mi ha cordialmente ricordato lui stesso, in un ottimo americano (con qualche inflessione russa), mentre mi facevo autografare uno dei suoi ultimi Cd, i due regali al pubblico, che lo ha letteralmente invaso di applausi e bravo a squarciagola, dopo il concerto, prima di ritirarsi, sono stati la trascrizione pianistica di Guido Agosti della Danza Infernale dalla Suite dell’Uccello di fuoco di Stravinsky e una delle Fairy Tales di Nikolai Medtner.
Il secondo tempo (molti hanno abbandonato la sala dopo l’esibizione di Trifonov…) è interamente dedicato a Elgar, di cui Elder è certamente un ottimo interprete: in generale, la resa delle Enigma Variations (evidentemente amate da Toscanini, che le interpretò all’Accademia nel 1916 e nel 1920), una serie di quattordici temi evocanti personaggi della vita di Elgar ─ indicati mediante le sole iniziali o dei nicknames ─ è più che buona, ricca di un brioso humor britannico. Hanno questo nome perché nell’intenzione programmatica dell’autore, dovrebbero essere una serie di variazioni di un tema/enigma, che a tutt’oggi permane sconosciuto. Certo, la sua direzione spesso tagliente, poco incline all’espansione, si fa sentire, ma in Elgar un tipo così asciutto di resa è tutt’altro che fuori luogo. Deliziose risultano la III variazione, dove Elgar descrive la camminata di un eccentrico oxfordiano; la V, con un tono ironico e melense, evocante toni operistici (è dedicata a un melomane sarcastico); l’VIII, che ha a tratti la Stimmung di un brano medievaleggiante, evocante il placido castello della dedicataria; l’XI, deliziosa, dove la musica evoca un cane annaspante per essere caduto in un fiume; l’intensa romanza (XIII) dedicata a un amore segreto di Elgar, a quanto pare; e la baldanzosa XIV, dal tono Pomp and CircumstanceApplausi sentiti, ma non certo trascinanti, infine anche per Elder, che ha purtroppo pagato lo scotto di essersi esibito con un beniamino del pubblico romano, che su di lui ha catalizzato tutte le sue festose attenzioni. Foto Riccardo Musacchio & Flavio Ianniello