Torino, Teatro Regio:”Eine Florentinische Tragödie” e “Gianni Schicchi” (cast alternativi)

Torino, Teatro Regio – Stagione d’Opera e Balletto 2013-2014
“EINE FLORENTINISCHE TRAGÖDIE”
Opera in un atto su testo di Oscar Wilde, tradotto da Max Meyerfeld
Musica di Alexander Zemlinsky
Simone  TOMMI HAKALA
Guido Bardi  ZORAN TODOROVICH
Bianca  ÁNGELES BLANCAS GULÍN
“GIANNI SCHICCHI”
Opera in un atto di Giovacchino Forzano
Musica di Giacomo Puccini
Gianni Schicchi  CARLO LEPORE
Rinuccio  FRANCESCO MELI
Lauretta  SERENA GAMBERONI
Zita  SILVIA BELTRAMI
Gherardo  LUCA CASALIN
Nella  MARIA RADOEVA
Gherardino  SARA JAHANBAKHSH
Betto di Signa  FABRIZIO BEGGI
Simone  GABRIELE SAGONA
Marco  MARCO CAMASTRA
La Ciesca  LAURA CHERICI
Maestro Spinelloccio, Amanzio de Nicolao  ALESSANDRO BUSI
Pinellino  RYAN MILSTEAD
Guccio  MARCO SPORTELLI
Buoso Donati  PAOLO VETTORI
Orchestra del Teatro Regio di Torino
Direttore Stefan Anton Reck
Regia Vittorio Borrelli
Scene Saverio Santoliquido e Claudia Boasso
Costumi Laura Viglione
Luci ed effetti video Vladi Spigarolo
Assistente alla regia e maestro d’armi Luca Zilovich
Direttore dell’allestimento Saverio Santoliquido
Nuova produzione del Teatro Regio di Torino
Torino, 25 marzo 2014

Tanto per cominciare, un giudizio netto: con il dittico di ambientazione fiorentina il Teatro Regio di Torino ha sicuramente fatto centro. Entrambi gli spettacoli, a firma di Vittorio Borrelli, colonna portante del Regio, sono convincenti, coerenti, eleganti: Eine florentinische Tragödie sensuale, notturno, morboso quanto basta, Gianni Schicchi movimentato e divertente, senza mai scadere nessuno dei due nella volgarità. Buona anche la compagnia vocale (come ha già rilevato Giordano Cavagnino nella sua dettagliata recensione), in pratica unica per tutte le recite, fatta eccezione per i due baritoni protagonisti. Ma l’elemento di punta dell’esecuzione è il direttore d’orchestra, capace di porgere con naturalezza e con sensibilità spiccata due partiture che non potrebbero essere più diverse e lontane l’una dall’altra.
Eine florentinische Tragödie. Sin dal primo accordo, la direzione di Stefan Anton Reck è molto vigorosa, e soprattutto individua nella musica di Zemlinsky una cifra strumentale riconoscibile, e identificabile negli ottoni. In generale il direttore esalta la molteplicità dei temi, ponendo in evidenza la somiglianza tra Zemlinsky e Strauss. L’opera diventa dunque un grande poema sinfonico di gusto wildiano, in cui tutto si adatta ai barocchismi e ai languori del testo poetico, senza mai soffocare le voci dei cantanti. Anche i debiti stilistici risultano additati con perfetto intento didascalico: il valzer impazzito e diabolico di Salome, per esempio, si proietta sul monologo del duello; ma l’equilibrio è perfetto, sempre sospeso prodigiosamente tra Wagner e Strauss. Reck esalta la sensualità della musica di Zemlinsky, tornante su se stessa come un infinito elicoidale, eppure punteggiata di progressioni ritmiche fortemente drammatiche (come nella scena del duello).
Tommi Hakala è un Simone dalla voce sicura e armoniosa, che va scaldandosi progressivamente. Molto buona è la sua prova quando canta con voce melliflua, con ironia e sarcasmo, nella seconda parte dell’opera. Il tenore Zoran Todorovich ha voce un po’ sgraziata, dal timbro non troppo chiaro, ma di emissione fissa, e neppure troppo espressiva. Il soprano è l’ultima delle tre voci a intervenire in modo marcato, e con Ángeles Blancas Gulín si è di fronte a una buona interprete, perché di Bianca riesce a rendere in modo impressionante la voce carica d’odio nei confronti del marito. Anche nel finale duetto d’amore (o d’odio?) non c’è nulla di manierato o di carezzevole: emerge soltanto una sensualità ferina e aggressiva (efficacissima nell’economia delle tre voci).
Molto curati, veramente chic, i costumi e le stoffe che il mercante esibisce al nobile, in un interno che non ha nulla di mercantile (né di fiorentino); la vasta libreria fa piuttosto pensare all’Affare Makropoulos del celebre allestimento ronconiano (proprio qui al Regio), mentre la gigantesca luna multicolore dietro l’ampia vetrata scandisce le fasi della tragedia in modo plateale. La regia è senza dubbio raffinata, anche se non riesce a evitare qualche momento di staticità.
Gianni Schicchi. Un’accolita di borghesucci isterici piange per finta Buoso Donati (poi ne piange per davvero il tiro mancino con cui l’ha diseredata): il caratteristico gruppo è interamente formato da buoni cantanti, credibili nelle rispettive parti e spigliati sul piano attoriale. Primeggiano sugli altri il Rinuccio di Francesco Meli, dalla voce pienissima, florida e smagliante, la Lauretta di Serena Gamberoni, capace di cantare sul fiato con tecnica che si fa notare, il Simone di Gabriele Sagona, giustamente caricaturale. L’onda orchestrale così dolente e greve di Zemlinsky si trasforma ora in aerea leggerezza grazie a Reck. Ma è Carlo Lepore, l’interprete di Gianni Schicchi, a reggere le fila comiche e drammatiche della vicenda, da quando entra in scena fino alla fine: con quei suoi armonici mobili e musicali, la voce di Lepore si rivela adattissima al personaggio. L’aria «In testa / la cappellina!» è il momento migliore, più brillante e intenso, apice di un’interpretazione sicuramente comica, ma senza alcun effetto triviale, così come lo stornello «Addio, Firenze, addio, cielo divino» risuona brunito e carico di nostalgie (forse qualche acuto non è del tutto coperto, ma la simpatia della voce e l’efficacia della recitazione del baritono superano i piccoli difetti tecnici). Nell’opera pucciniana Borrelli si concentra più sulla regia, intesa come rapporto tra movimenti dei personaggi in scena, che non su scenografie e contesto: ed è giusto così, perché la comicità deve scaturire dalla corporeità dei tanti caratteri, e soprattutto dall’opposizione tra la grettezza dei parenti adulti, l’amore candido e ingenuo di Rinuccio e Lauretta, la furbizia derisoria e motteggiante del protagonista.
Il pubblico del Teatro Regio apprezza moltissimo; e apprezza a pari grado sia la decadente atmosfera musicale di Zemlinsky sia la comicità “toscana” e “dantesca” di Puccini: dimostrazione di un abbinamento riuscito.