François-Joseph Gossec (1734-1829):”Thésée” (1782)

Tragédie lyrique in  in quattro atti su testo di Philippe Quinault, riadattamento di Morel de Chédeville. Frédéric Antoum (Thésée), Virginie Pochon (Aeglé), Jennifer Borghi (Médée), Tassis Christoyannis (Le roi Égée), Katia Velletaz (La Grand Prêtresse, Minerve), Caroline Weynants (Dorine, une prêtresse), Aurélie Franck ( 2e une prêtresse), Bénédicte Fadeux (3e une prêtresse), Mélodie Ruvio (Cleone, une vielle), Philippe Favette (Arcas, 2e vieillard), Thibaut Lenaets (1er vieillard, 2e suivant du roi), Renaud Tipathi (Un coryphée, 1er suivant du roi). Les Agrémens e le Choer de Chambre de Namur, Guy van Waas (direttore). Registrazione: Salle Philharmonique de Liège, novembre 2012. 2 CD Ricercar in collaborazione con Palazzetto Bru Zane RIC337 . Atto 1 & 2 / Atto 3 & 4
François-Joseph Gossec – Gossé alla nascita – è figura non secondaria nella stagione del classicismo europeo del tardo XVIII secolo di cui fu forse il maggior rappresentante francese e la scarsa popolarità che ha accompagnato la sua opera presso i posteri va forse imputata più alle traversie vissute dal compositore, riflesso di quelle attraversate dalla Francia fra fine dell’ancienne regime, Rivoluzione e restaurazione con al centro la traumatica parentesi dell’impero napoleonico – che non al valore della sua musica che anche ad un semplice ascolto rivela una qualità ed una ricchezza quasi sorprendenti.
Nato nel 1734 a Vergnies, enclave francese nelle Fiandre austriache e morto a Passy nel 1829 ha attraversato tutti gli snodi fondamentali della storia politica e culturale europea del secolo venendone coinvolto in prima persona specie durante la Rivoluzione cui aderì con entusiasmo e a cui fornì il sottofondo sonoro per le solenni celebrazioni del nuovo regime in composizioni come la cantata “Le Chant du 14juillet” del 1791 o il divertissement-liryque “Le triomphe de la République” del 1794 sempre su testi di Joseph-Marie Chenier. Coinvolgimento con il regime rivoluzionario che – insieme al cambio del gusto agli inizi del nuovo secolo – lo portò ad essere sempre più isolato già  durante l’Impero per poi ritirarsi definitivamente a vita privata con la restaurazione, l’ultima opera per il teatro “Les Sabots et le cersier” è del 1803, l’ultima composizione significativa la “Dernière messe des vivants” è del 1813.   Erede della grande tradizione musicale francese di Lully e Rameau, sensibile al programma di riforma di Gluck, legato da una conoscenza anche personale con Mozart, Gossec si trova al centro di influenze contrastanti che però riesce a fondere nella sua produzione in modo molto personale soprattutto in ambito teatrale dove si assiste ad un tentativo di reinterpretare alla luce nel nuovo gusto neoclassico i moduli formali della tragedie lyrique tradizionale.    Di questo tentativo a cavallo fra ripresa della tradizione e volontà di riforma il “Thésée” composto nel 1782 ha un valore quasi esemplare. Il testo adottato è sostanzialmente quello scritto da Quinault per l’omonima opera di Lully del 1675, gli interventi di Morel de Chédeville si limitano infatti ad una riduzione del testo e ad una ricomposizione in quattro atti anziché in cinque come nella stesura originale ma non apportano modifiche significative né alla struttura drammaturgica né alla versificazione secondo una prassi di riuso per altro non eccezionale nella Francia del tempo – un procedimento analogo è attestato nel 1777 per l’”Armide” di Gluck.
Sul piano strettamente drammaturgico il libretto del “Thésée” è fra i meno interessanti fra quelli realizzati da Quinault ma proprio l’estrema frammentarietà delle situazioni e la presenza di scene insolite – come l’ambientazione infera del III atto – fornivano a Gossec l’occasione per un lavoro di orchestrazione estremamente ricco e diversificato che sfrutta al meglio le possibilità offerte dei complessi orchestrali del tempo per ottenere effetti di grande efficacia. La scrittura musicale si caratterizza per una ricerca di colori ed effetti di notevole originalità in cui si apprezzano gli impasti timbrici per l’epoca decisamente originali e la capacità di costruire spazi sonori giocando sulle sonorità e sulla sovrapposizione di singoli strumenti o gruppi di strumenti per creare suggestioni di distanza e posizionamento nello spazio; la struttura armonica ricorre a soluzioni movimentate e dinamiche con frequenti serie terzine di crome ascendenti che ricordano certe soluzioni mozartiane. Di grande originalità si rivelano alcuni interventi in cui partendo da forme tradizionali vengono rielaborate in forme sempre più virtuosistiche e sorprendenti come nelle scene di battaglia del I atto dove alla sobrietà  alla Lully si sostituisce un gioco orchestrale ricchissimo e trascinante.   Le masse corali – di importanza non secondaria – risentono nel trattamento della lezione di Gluck come si riconosce con chiarezza nella scena degli inferi in cui il modello dell’”Orfeo ed Euridice” appare pienamente acquisito ed anzi in molti interventi si riconosce una maggior drammaticità d’impianto ad esempio nell’episodio con Medea del IV atto. La scrittura vocale non conosce l’aria vera e proprio di tipo italiano ma si sviluppa in un declamato melodico capace di aprirsi in forma di arioso. Le difficoltà vocali non sono mai estreme ma prevale un’attenzione sul valore specifico della parola e della prosodia secondo un’impostazione tipica del teatro musicale francese.
La presente incisione, è stata realizzata nel novembre del 2012. La componente orchestrale, di assoluta importanza come abbiamo detto, è affidata per l’occasione al complesso “Les Agrémens” diretto da Guy van Waas che si mostra in pieno possesso delle peculiarità stilistiche e tecniche di questo repertorio fornendone una lettura di grande pulizia e vivacità caratterizzata da linee sonore nette e ben scolpite, da sonorità brillanti e da un’agogica sostenuta cui si può solo constare un’eccessiva secchezza in alcuni passaggi ma che non compromette la riuscita complessivamente molto positiva dell’esecuzione. Il Choeur de Chambre di Namur si conferma in questo repertorio compagine di riferimento in senso assoluto fornendo una prestazione esemplare sul piano stilistico e vocale che risulta di particolare importanza in un’opera come questa in cui il coro ha un ruolo decisamente di primo piano.
La compagnia di canto pur con qualche limite è complessivamente valida e permette di apprezzare a pieno il valore della composizione aiutata anche a una difficoltà non eccessiva delle difficoltà richieste.
Molto brava Virginie Pochon una Aeglé luminosa e trepidante, dal timbro di rara purezza e dall’emissione omogenea e musicale. La parte richiederebbe forse una voce più corposa di quella a disposizione della cantante che però riesce a far valere al meglio le proprie qualità dando una lettura sicuramente affascinante nella sua lirica purezza. Al suo fianco si apprezza l’ottimo Thésée di Frédéric Antoum perfettamente a suo agio per stile e tessitura in una parte che pur rifacendosi alla tradizione dell’haute-contre di Rameau insiste con maggior frequenza sulla zona medio-grave della voce. La voce di Antoum regge bene nel settore più basso e acquista luminosità e squillo salendo in acuto con effetti sicuramente suggestivi. Buon conoscitore di questo repertorio sa usare al meglio la voce mista richiesta in diversi passaggi e l’accento risulta ben scolpito e autorevole.
Tassis Crhristoyannis è un Égée eccellente tanto sul piano del canto quanto su quella della dizione, giustamente aulica e scolpita anche se la voce suona troppo baritonale nel senso ottocentesco del termine dove in questo repertorio si sarebbe preferito un autentico basso-baritono.  Maggiori dubbi suscita la Médée di Jennifer Borghi, soprano essenzialmente lirico dal ben timbro luminoso e femminile e di buona linea di canto nonostante qualche forzatura in acuto ma a mancare totalmente è il personaggio nella sua forza quasi demoniaca. Questa Medea così fragile e liliale, così sostanzialmente amabile sul piano espressivo ha troppo poco a che fare con il personaggio richiesto. La grande scena degli inferi o il concitato e drammatico inizio del IV atto pur cantati con correttezza rendono in modo troppo approssimativo la tensione di cui necessiterebbero.
Mélodie Ruvio presta a Cléone un’autentica voce di mezzosoprano corposa e robusta doppiando la prestazione nel breve ruolo di una vecchia mentre come Minerve e Grande sacerdotessa Katia Velletaz sfoggia un ottimo controllo della prosodia francese e una notevole cura del fraseggio ma non riesce a nascondere in pieno qualche difficoltà vocale dovuta anche ad un non perfetto stato di salute come riscontrabile nei commenti immediatamente successivi all’esecuzione teatrale.  Molto buone le numerose parti di fianco: Aurélie Franck (Seconda sacerdotessa), Bénédicte Fadeux (terza sacerdotessa), Philippe Favette (Arcas, secondo vecchio), Caroline Weynants (Dorine, prima sacerdotessa), Thibaut Lenaerts (Primo vecchio, secondo servitore del Re), Renaud Tripathi (Un corifeo, secondo servitore del Re).