Gli ultimi lieder di Richard Strauss e la Prima sinfonia di Gustav Mahler al Teatro la Fenice: la fine e l’inizio della fine

Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2014
Orchestra Filarmonica della Fenice
Direttore Omer Meir Wellber
Soprano Ilona Mataradze
Richard Strauss: “Vier letzte lieder: Frühling, September, Beim Schlafengehen, Im abendrot
Gustav Mahler: Sinfonia n. 1 in re maggiore
Venezia, 28  aprile 2014      

Un’altra indimenticabile serata ha avuto come protagonista l’Orchestra Filarmonica della Fenice, insieme al direttore Omer Meir Wellber, ormai di casa nel teatro veneziano, e al soprano Ilona Mataradze, graditissima ospite. In programma due titoli tra i più celebrati della musica novecentesca, che segnano nell’ordine la fine e l’inizio di una stagione creativa, che ebbe nei rispettivi autori due incontrastati protagonisti: l’estremo lavoro di Richard Strauss e l’esordio mahleriano nel campo della sinfonia; opere che delimitano un periodo cruciale della storia della musica, tragicamente interrotto dall’immane catastrofe della seconda guerra mondiale e apertosi circa mezzo secolo prima con quel nostalgico senso della fine imminente di un mondo, di cui Mahler è sicuramente una delle più alte espressioni.
Meir Wellber ha diretto a memoria entrambe le complesse partiture, guidando la Filarmonica della Fenice con un gesto di icastica chiarezza e ottenendo prestazioni di elevato livello artistico dalla compagine veneziana, nata appena nel 2010 per iniziativa dei professori d’orchestra del Teatro La Fenice, ma già in grado di affrontare un vasto repertorio sinfonico, oltre che di caratterizzarsi sempre più chiaramente per una sua peculiare fisionomia concernente il suono e l’interpretazione.
Nei Vier letzte lieder di Strauss il direttore israeliano ha segnato tempi che non indulgevano ad alcun compiacimento estetizzante, ma restituivano appieno il senso di queste liriche sublimi: il docile consegnarsi alla morte di un sommo artista ormai al di fuori del tempo, una sorta di alieno in un mondo che non riconosce più e si accinge a lasciare per sempre, portandosi nel cuore il rimpianto, per quanto estenuato, di una vita operosa al servizio della musica. E questa splendida esecuzione ha messo pienamente in rilievo il fatto che Strauss fino all’ultimo, in quella – scriverebbe Saba – “serena disperazione” dopo la catastrofe, è riuscito a tradurre i suoi sentimenti, la sua condizione esistenziale in un’opera che lo conferma come uno dei capisaldi della cultura occidentale di ogni tempo e costituisce una grande, estrema, forse inconsapevole lezione di stile, di fedeltà a se stesso per quanti in quegli anni – questi lieder furono composti nel corso del 1948 – si affannavano a cercare il nuovo a tutti i costi. Complice di tanta bellezza, ovviamente, Ilona Mataradze. Impressionante l’affiatamento tra direttore, orchestra e cantante nel sottolineare le continue variazioni agogiche, dinamiche e timbriche, ed esprimere così l’ambivalente stato emotivo che sottende queste liriche. In particolare, il soprano georgiano ha sfoggiato un timbro perlaceo, appena screziato da qualche inflessione più scura, che ne arricchisce l’espressività. Una voce potente, pur con grazia, negli acuti e duttile nel disegnare i continui arabeschi che impreziosiscono la straordinaria linea di canto disegnata da Strauss, la quale richiede un assoluto controllo dei propri mezzi vocali per poter affrontare i continui passaggi di registro e i giochi dinamici previsti da queste raffinatissime partiture. Applauditissimo il primo violino per l’esecuzione dello straordinario assolo che è affidato al suo strumento in Beim Schlafengehen, una pagina che non può non toccare il cuore di chi ascolta, interpretata in modo impeccabile senza eccedere in patetismi, in linea con la visione del direttore. Festeggiatissimi ovviamente anche Ilona Mataradze e il direttore.
Quanto al secondo titolo, Gustav Mahler compose la Sinfonia n. 1 in re maggiore in un lungo arco di tempo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, poiché l’attività di direttore d’orchestra gli lasciava poco tempo per la composizione. Inoltre il lavoro fu sottoposto a continue revisioni: fra i primi abbozzi del 1884 e gli ultimi ritocchi del 1909 intercorsero venticinque anni. Questa partitura ebbe una genesi così tribolata, perché l’autore rimase a lungo indeciso se darle la forma di poema sinfonico o di sinfonia. La prima esecuzione della prima versione, indicata come “poema sinfonico in due parti”, stranamente senza titolo, né il programma, avvenne a Budapest nel 1889, quando Mahler era direttore del Teatro dell’Opera. Nella sua versione definitiva (eseguita per la prima volta a Berlino nel 1896) la composizione si presenta come una classica sinfonia in quattro tempi senza alcuna indicazione programmatica, ma in due stesure precedenti era divenuta un “poema sonoro in forma sinfonica”, intitolato Titano (dall’omonimo romanzodi Jean Paul, uno scrittore romantico fra i prediletti da Schumann) con un titolo assegnato ad ogni movimento (in totale cinque come nella prima versione, il secondo fu poi soppresso nel corso dell’ultima revisione). Di volta in volta notturna o solare, misteriosa o festante, raffinata o popolaresca l’atmosfera evocata da Meir Wellber, che anche nel corso di questa splendida esecuzione ha dimostrato un completo dominio della partitura, soggiogando letteralmente il pubblico della Fenice.
Nel primo movimento, Langsam, Schleppend. Wie ein Naturlaut (Lento, strisciando. Come un suono della natura), è risuonato con precisione l’attacco del lungo pedale tenuto dagli archi, dalla sonorità scura dei contrabbassi al sibilo etereo dei violini, ad evocare il mistero della profonda unità della Natura, su cui a poco a poco i legni hanno sussurrato il loro tema di elementare semplicità, mentre di lontano si sentiva il motivo di fanfara militare languidamente intonato dai clarinetti (come sfumato nel ricordo) assieme al verso del cuculo. Morbidamente timbrato il suono dei corni che intrecciandosi alla fanfara e ai richiami del cuculo, hanno condotto al vero e proprio primo movimento, che si è aperto con il dolce tema dei violoncelli, che hanno sfoggiato un suono perfettamente omogeneo e rotondo, degnamente ripreso a canone dai fagotti e in successione da vari altri strumenti (violini, trombe, corni, ecc.): un tema tratto dal secondo dei Lieder eines fahrenden Gesellen, “Ging heut’ morgen übers Feld” (Me ne andavo stamane sui prati), su cui si basa buona parte del movimento, per poi tornare all’atmosfera sospesa e misteriosa dell’inizio. Nella seconda sezione dello sviluppo, è risuonato vigoroso e metallico il tema di caccia esposto dai corni, di ascendenza weberiana, che ha porta all’esplosione di una travolgente fanfara alle trombe, ai corni e ai legni. Con il secondo movimento, Kräftig bewegt, dock nicht zu schnell (Vigorosamente mosso, ma non troppo veloce) si entra nel clima tradizionale dello Scherzo: robusti ritmi di danze morave (ricordi d’infanzia) per l’episodio principale, intercalato, dopo alcune note di transizione del corno, da un Trio in ritmo di valzer. Vigoroso l’attacco degli archi dal suono brillante ed omogeneo, guidati come tutta l’orchestra, da una gestualità del direttore molto espressiva ed accentuata per ottenere sonorità aspre e impertinenti, quasi sguaiate, di grande effetto, ad evocare una certa ruvida allegria campagnola, che nasce dal dialogare delle varie sezioni dell’orchestra. Poi il Trio reso con grande espressività e continue sfumature dinamiche e agogiche.  L’iniziale e ricorrente materiale melodico del terzo movimento, Feierlich und gemessen (Solenne e misurato), è basato sul popolare canone “Bruder Martin”, più comunemente noto come “Frère Jacques”, tuttavia, Mahler presenta la melodia in un modo minore: perfetto l’uggioso assolo iniziale del contrabbasso, seguito con pari gravezza d’accento, dal fagotto, dalla tuba e, infine, dall’intera orchestra. Poi il clima è decisamente cambiato: infatti in una delle sezioni più anticonformiste di questa sinfonia, Mahler utilizza piatti, grancassa, oboi, clarinetti e duo di trombe per riprodurre il suono di un’orchestrina klezmer in ossequio alle sue radici ebraiche. E qui Wellber si è confermato assoluto maestro nel variare, ad ogni battuta, le inflessioni ritmiche e dinamiche, come gli esecutori a trovare il giusto accento, tanto che possiamo affermare di non aver mai sentito questa pagina eseguita con tanta genuina espressività popolare. Poi un breve ritorno al canone di apertura, quindi una terza sezione, più contemplativa, con materiale dal quarto dei Lieder eines fahrenden Gesellen, “Die zwei blauen Augen”(Due occhi azzurri), e infine, dopo varie elaborazioni dei temi precedenti, il finale sommesso basato sull’intervallo di quarta.  Nel quarto movimento,Stürmisch bewegt (Tempestosamente agitato), di estremo pathos espressivo, in cui ritornano diversi elementi del primo, unificando la sinfonia nel suo complesso, hanno brillato le varie sezioni dell’orchestra, soprattutto le percussioni, gli ottoni – che hanno una parte particolarmente impegnativa – e gli archi: dall’improvviso colpo di piatti assieme al sonoro accordo dei fiati più acuti, che apre il movimento, al tema intonato con forza dagli ottoni, prima di essere riprodotto per intero dalla maggioranza dei fiati, all’ampio tema lirico esposto dagli archi, fino al tremendo climax orchestrale. Dopodiché i conflitti precedenti trovano la loro soluzione, in una sorta di nostalgico sguardo all’indietro, con ripetizioni più o meno testuali di elementi dei movimenti precedenti: un momento di distensione prima dell’apoteosi finale, che combina contrappuntisticamente i vari temi, in mezzo a fragorosi ed esultanti interventi degli ottoni: un estremo ossequio allo schema romantico del trionfo dopo la lotta. Inutile riferire che la serata si è conclusa dopo un interminabile applauso e vere e proprie ovazioni per Omar Meir Wellber.