“Die Zauberflöte” (Il Flauto Magico) a Cagliari

Cagliari, Teatro Lirico – Stagione Lirica e Balletto 2014
“DIE ZAUBERFLÖTE (Il Flauto Magico)
Singspiel in due atti
Libretto di Emanuel Schikaneder
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
La Regina della Notte CORNELIA GOETZ
Monostato KURT AZESBERGER
Pamina NADINE SIERRA
Papagena FRANCESCA SASSU
Papageno MARKUS WERBA
Sarastro BJARNI THOR KRISTINSSON
Tamino BERNHARD BERCHTOLD
Prima Dama JINKUNG PARK
Seconda Dama LARA ROTILI
Terza Dama BETTINA RANCH
Oratore, Primo sacerdote, Terzo sacerdote, Secondo armigero SELCUK CARA
Secondo sacerdote, Primo armigero ROUWEN HUTHER
Tre fanciulli Tölzer Knaben Chor (JACOB GOPFERT, ELIAS MADLER, VALENTIN KUCHLER)
Orchestra e Coro del Teatro Lirico di Cagliari
Direttore Christopher Franklin
Maestro del Coro Marco Faelli
Regia Roberto Andò, ripresa da Riccardo Massa
Scene Giovanni Carluccio
Costumi Nanà Cecchi
Luci Giovanni Carluccio, riprese da Giuseppe Di Iorio
allestimento del Teatro Regio di Torino (produzione originale del Teatro Massimo di Palermo)
Cagliari, 30 Maggio 2014

Un’ambientazione autenticamente favolistica, la comicità trascinante di Papageno in primo piano, le sorprese continue e spiritose dell’allestimento del Teatro Regio di Torino (risalente a una produzione originale del Teatro Massimo di Palermo), arrivata a Cagliari tenendo ben fermi i meccanismi della regia narrativa di Roberto Andò (qui ripresa da Riccardo Massa), che esalta il magico ed il fiabesco. Sono questi i tratti principali che compongono uno spettacolo di rara suggestione come Die Zauberflöte (Il Flauto Magico) di Mozart (in lingua originale, con i sopratitoli in italiano) il secondo dei sette titoli proposti dal Teatro Lirico di Cagliari per la Stagione Lirica 2014.
L’idea registica di Andò è quella di accettare il capolavoro mozartiano in tutte le sue sfaccettature, sottolineandone la straordinaria varietà di messaggi teatrali e di contenuti simbolici. Per questa ragione, la regia non ha enfatizzato tanto l’elemento filosofico, ma ha piuttosto scelto di porre in luce i lineamenti più piacevoli della storia, ambientata in un Egitto immaginario. Largo, quindi, ai riferimenti massonici, riconoscibili sia nel clima iniziatico della vicenda, che nell’armamentario rituale più esteriore: le simbologie di immagini e numeri, i riferimenti a divinità precristiane (Iside e Osiride) tipiche di culti misterici dei quali l’associazione segreta si considerava la moderna continuazione. Ma spazio assai più ampio al divertito racconto popolare che Emanuel Schikaneder ha liberamente ripreso da un poema, l’Oberon e da una novella, la Lulu di Wieland. La messinscena è conseguentemente semplice e lineare, tutta giocata nel segno della leggerezza: molto nitide e gradevoli le scene di Giovanni Carluccio (che disegna anche le luci, riprese da Giuseppe Di Iorio, con le quali gioca in un alternarsi di sfumature e vividezze fiabesche), così come sono evitati i repentini cambi dei costumi belli e fantasiosi firmati da Nanà Cecchi.
Il Mozart del direttore Christopher Franklin, molto ben assecondato dal Coro e dall’Orchestra del Teatro Lirico di Cagliari (maestro del Coro, Marco Faelli), è decisamente dinamico. Franklin, specialista mozartiano, che ritorna a Cagliari dopo il Così fan tutte dello scorso anno, si muove a proprio agio nella complessa organizzazione del Flauto e fonde gli elementi più disparati ed eterogenei della partitura in una struttura organica e unitaria che supporta egregiamente l’idea drammatica. Ottima, quindi, la sua capacità di calibrare i toni da Lied popolare e le reminiscenze dell’opera buffa, le citazioni dell’opera seria nelle arie della Regina della Notte e le inflessioni da Singspiel viennese, così come gli accenti ieratici da tragédie lyrique della Marcia e del Coro dei Sacerdoti. Fluente e morbida anche l’Ouverture, considerata una vera e propria sintesi strumentale del Flauto, di cui Franklin accentua la fisionomia contrappuntistica, senza tuttavia alterare il taglio essenzialmente fiabesco della vicenda. Partendo da queste premesse, il direttore americano ha privilegiato tempi folgoranti e suoni densi e brillanti, coinvolto più dalla scioltezza del racconto che dalla ricercatezza del dettaglio. Le arie della Regina della Notte sono scivolate con un andamento rapido che metteva in risalto le pirotecnie vocali del personaggio, dando, soprattutto a Der Hölle Rache, una grinta e un mordente abbastanza rari da ascoltare in esecuzioni dal vivo. Anche il duetto Papageno-Pamina e, soprattutto, l’aria di Pamina hanno perso quella fissità a cui spesso sono obbligati.
Gran parte del merito della riuscita del Flauto cagliaritano, tuttavia, va ad un’eccellente compagnia di canto, costituita da interpreti capaci di essere attori autentici, che hanno risvegliato l’interesse del pubblico grazie ad un’interpretazione vocale e scenica davvero convincente. Bernhard Berchtold è stato un Tamino di timbro incisivo e brillante, che ha esibito una linea di canto omogenea e vibrante, mentre Nadine Sierra ha dato voce e fisicità a una Pamina agilissima e capace di raffinate sfumature espressive con una presenza scenica molto persuasiva. Bjarni Thor Kristinsson è stato un Sarastro di impasto vocale morbido e vellutato, ma meritevole di un plauso speciale è la prova davvero astrale di Cornelia Goetz, che ha sfoderato un timbro denso e sciabolante negli interventi più energici della Regina della Notte. Ottime tutte le parti di fianco: la Papagena di Francesca Sassu, le tre Dame (Jinkung Park, Lara Rotili, Bettina Ranch), sostenute da un’emissione di bella solidità, Kurt Azesberger (Monostato), i tre fanciulli del Tölzer Knaben Chor (Jacob Göpfert, Elias Mädler, Valentin Kuchler).
Vero mattatore del Flauto è stato, in modo indiscusso, il baritono Markus Werba, un Papageno davvero trascinante e cordiale, la cui carica espansiva e non macchiettistica non ha intaccato un canto efficace e musicalissimo. Protagonista dei tanti sketch aggiunti alla partitura originale, Werba ha colloquiato con gli spettatori, ha singhiozzato sulla spalla del direttore d’orchestra, ha invocato il Cannonau per lenire le sue pene amorose: un esempio di come il coinvolgimento della platea nello spazio scenico (che Andò ha impiegato in modo variopinto per tutta la durata dell’opera) sia vissuta dal pubblico in modo entusiasmante e appassionato. Alla fine, lunghi applausi per tutti.