Arena di Verona:Plácido Domingo canta Verdi

Verona, Arena Opera Festival 2014
Orchestra dell’Arena di Verona 
Direttore Daniel Oren
Baritono Plácido Domingo
e con la partecipazione di
Tenore  Francesco Meli,
Soprani Serena Gamberoni, Virginia Tola
Mezzosoprano Alice Marini
Bassi Seung Pil Choi, Deyan Vatchkov
A causa del maltempo è stata eseguita solo la prima parte del concerto che comprendeva brani da La Traviata e da Un ballo in maschera di Giuseppe Verdi
Verona, 17 luglio 2014              

Un’Arena di Verona col tutto esaurito come non èconsuetudine vedere, luccichio di candele tradizionali e di abiti sgargianti, persone che parlano tutte le lingue del mondo, atmosfera un po’glamour, un grande direttore sul podio e cantanti di prim’ordine. E purtroppo anche l’immancabile temporale estivo che ha risparmiato la prima parte del concerto ma non la seconda, saltata per intero (anche quest’anno il Gala alle 22:00…ma se lo si iniziava alle 21:00 forse si riusciva ad assistere a tutta la seconda parte!). Dopo un minuto di silenzio dedicato allo scomparso Lorin Maazel e alle vittime dell’incidente aereo in Ucraina, prendeva avvio il primo Gala dell’estate veronese, omaggio del festival areniano a Domingo, e viceversa, con il meraviglioso Preludio da La traviata.
Sul podio Daniel Oren ha offerto una prova davvero convincente e entusiasmante sotto ogni profilo: non si èrisparmiato nel chiedere dinamiche ampie all’orchestra, nel riservarsi qualche piccola meraviglia interpretativa, nel far emergere sempre i colori degli strumenti in maniera puntuale e pertinente alla partitura. Con la sua esperienza e la sua capacitàha seguito i cantanti in interpretazioni senza scollamenti musicali ed interpretativi. L’orchestra si è sciolta pian piano alle indicazioni del direttore, offerto un ottimo timbro all’esordio del Preludio della Traviata (ma il direttore si vedeva chiaramente che chiedeva più dinamica nel tema di “Amami Alfredo”, ottimamente reso poi con la cantante) e compattezza nei fugati del Ballo, un’intensa espressivitàsoprattutto nei momenti delicati e di maggior pathos. Purtroppo è risultata un po’sguaiata in alcuni fortissimi e c’è stata qualche défaillance negli interventi esclusivamente orchestrali tra terzetto e quartetto della stessa partitura, ma qui i poveri orchestrali cominciavano ad essere minacciati dal vento che spostava le piante e faceva svolazzare le code dei frac, e lampi enormi preannunciavano un temporale di abnormi dimensioni (poi rivelatosi solo della pioggerella che peròha impedito del tutto la ripresa dello spettacolo).
Il canto è cominciato sulle arie tenorili de La traviata e con la voce di una stella della lirica che non potrà che continuare a confermarsi ed a brillare sempre più. Francesco Meli ha fornito una prova per cui si fatica a trovare aggettivi. Il tenore ha dato sfoggio di una voce, dal timbro semplicemente meraviglioso, che inondava l’intero anfiteatro. La si poteva percepire accarezzare la pietra romana e le orecchie di un pubblico incantato: piena e omogenea in tutti i registri, con acuti sicuri e generosi, squillanti e morbidi allo stesso tempo. Il tutto impreziosito dalla possibilità di percepire ogni parola e da una interpretazione vera, con frasi tenute e legate, con agilitàben scandite, e qualche cambio di inflessione al posto giusto e al momento giusto. In “Oh mio rimorso oh infamia…” forse si èsentito in pericolo di essere sovrastato dal direttore e dall’orchestra che per un momento han pensato di essere in buca e non a ridosso del cantante, ma èstato un attimo e poi tutto si èconcluso in un scrosciare di applausi.
Virginia Tola ha affrontato due ruoli verdiani davvero impervi e diversi: Violetta e Amelia. Dopo l’ostentata, ma non poteva essere altrimenti, sicurezza di Meli, il duetto Germont/Violetta è iniziato in punta di piedi. Il soprano ha dimostrato comunque sicurezza della propria parte e un’interpretazione senza eccessi drammatici ma con moltissime sfumature e pianissimi ad apparire o scomparire che davvero lasciavano col fiato sospeso. Il meglio di sé l’ha dato però in “Amami Alfredo”e ancor di più nella parte di Amelia, fresca di debutto in Arena per l’intero titolo. Nell’aria “Morrò ma prima in grazia…”la giovane Virginia Tola è apparsa totalmente calata nel ruolo e con un timbro di voce veramente adatto al personaggio drammatico. Anche qui ha preferito all’energia che può diventare incontrollata una solida tecnica e una visione più intimista del personaggio e del momento, scelta che combacia con le caratteristiche del personaggio. Amelia è una donna fedele e una madre affettuosa, sovrastata da una forza amorosa più grande di lei alla quale non riesce a resistere: perciò è pienamente giustificabile che il suo dolore sia grande ma contenuto in se stessa e che alla prospettiva di morire ci pensi con disperazione si, ma anche con la rassegnazione di essere stata la causa della rovina della sua famiglia. Intensità espressiva e grande padronanza tecnica nella cadenza finale: scende con un bel timbro fino al Re, attacca il Do bemolle con morbidezza e sicurezza nel piano, per poi ridiscendere riempiendo il timbro e infine risalendo con facilitàe dando un’ultimo sussulto di vigore, orgoglio e disperazione sul Mi bemolle del “vedrà”.
Il quintetto del Ballo ha registrato l’ottima Serena Gamberoni, che ha offerto una performance di alto livello, come èsua consuetudine nel ruolo di Oscar. A ciò, si deve rimarcare la bellezza creata dalla marcata differenza di timbro fra le due soprano, chiara e leggera Gamberoni, più scura e drammatica Tola, che ha arricchito non poco il quintetto, dove quasi fino alla fine si sentivano distintamente e con estrema goduria dei sensi tutte e cinque le voci. A margine di ciòmeritano una nota le voci dei ruoli minori: Seung Pil Choi e Deyan Vatchkov hanno ben figurato nei ruoli che d’altra parte appartengono loro ne Un ballo in maschera di questa stagione, puntuali ed espressivi, e Alice Marini ha davvero incuriosito nelle poche battute concessele in Annina. Il suo comportamento dimesso per dar luce ai veri protagonisti della serata non ha potuto però oscurare il suo splendido timbro di voce.
La performance dell’idolo dell’Arena, è andata in continuo crescendo, partendo un po’esitante nel duetto con Violetta, migliorandosi durante i 18’della scena, e offrendo sempre migliore musicalità in “Di Provenza il mar, il suol…”e in “Eri tu…”. In quest’ultima aria dal Ballo, Domingo ha sfoderato davvero tutti i colori che una voce umana può produrre. L’apice dell’aria è stato quando alle parole “oh dolcezze perdute”coincideva davvero un timbro di voce così dolce da mettersi sullo stesso piano del flauto col quale dialogava e da arrivare al cuore dell’ascoltatore. Il finale dell’aria è stato appassionato ed è parso che Domingo abbia messo sul palco davvero tutto sé stesso, un esempio per tutti. Il fatto che affronti il repertorio da baritono con una voce che rimane da tenore, che ciò non sia del tutto necessario, e che conservi la tempra ma non l’abilità tecnica, crea delle perplessità a molti appassionati, che tanto hanno apprezzato la sua carriera. Tuttavia emerge una considerazione: finché il pubblico lo segue e finché lui sfrutta la sua popolarità per promuovere il melodramma e i giovani interpreti, questa diventa un’operazione preziosa in un momento di difficoltà economica in tutti i settori dello spettacolo dal vivo. Infatti, raramente si è vista un’Arena riempita in ogni suo angolo, code di almeno un centinaio di metri al cancello dei posti in platea e gradinate non numerate complete già tre quarti d’ora prima dell’inizio dello spettacolo. Inoltre il programma della serata è stato stilato sicuramente tenendo conto delle esigenze degli interpreti, Domingo in primis, ma dando un ampio ritratto di Verdi, facendo un’ottima operazione culturale e direi anche di promozione della lirica, visto che l’anfiteatro veronese costituisce per molte persone la prima esperienza di ascolto dell’opera. Se da una parte, infatti, La traviata è sempre ben seguita da parte del pubblico, non lo è così per le due altre opere. Un ballo in maschera trova favori nei teatri, ma quest’anno, proposto in Arena, non ha riscontrato l’affluenza che il capolavoro di Verdi meriterebbe. E allora, difficile immaginarlo, ma sarebbe bello che qualcuno che ha partecipato al Gala per la presenza di Domingo, si fosse incuriosito e abbia acquistato un biglietto per le future repliche del Ballo. E così è ancor maggiore il rammarico per la mancata esecuzione degli estratti da I due Foscari. Considerata a ragione sempre meno un’opera “minore”(se analizzassimo davvero tutte le rotture con la tradizione italiana, la maggior cura nell’orchestrazione, le reminiscenze tematiche che introducono i personaggi o anche solo il coraggio di mettere in scena un dramma così statico, privo di effetti d’azione, sostanzialmente monocolore, ci renderemmo conto che qui Verdi ha svolto un lavoro già da gran maestro della musica e del teatro), dopo anni di dimenticatoio viene riproposta sempre piùfrequentemente. Si può dire quasi che, avendo dedicato ai Foscari l’intera seconda parte, il concerto si innesti in quell’azione di recupero di questa tragedia lirica che, rappresentata saltuariamente nel Novecento, la vede ora sempre piùpresente nei piùimportanti teatri del mondo: per citarne alcune, La Scala Marzo 2009 con Ranzani, Regio di Parma ottobre 2009 con Renzetti, Teatro Massimo di Palermo novembre 2012 con Ranzani, Teatro dell’Opera di Roma marzo 2013 con Muti, Covent Garden di Londra ottobre 2014 con Pappano. Operazione quindi riuscita solo negli intenti e fermata da madre natura. In quest’ottica, ci si aspetta che Fondazione Arena riproponga lo spettacolo in altre varianti per le future edizioni del festival. Foto Ennevi per Fondazione Arena di Verona