Verona, Arena Opera Festival 2014:”Aida”

Verona, Arena opera festival 2014
“AIDA”
Opera in quattro atti di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re d’Egitto ANDREA MASTRONI
Amneris, sua figlia ANITA RACHVELISHVILI
Aida, schiava etiope AMARILLI NIZZA / MONICA ZANETTIN (atto IV)
Radamès, capitano delle guardie MARCO BERTI
Ramfis, capo dei sacerdoti DMITRY BELOSELSKY
Amonasro, re d’Etiopia, padre di Aida MARCO VRATOGNA
Un messaggero RICCARDO BOTTA
Sacerdotessa ANNA MALAVASI
Orchestra, Coro e Corpo di ballo dell’Arena di Verona
Direttore Daniele Rustioni 
Direttore del coro Armando Tasso  
Regia Gianfranco De Bosio 
Coreografia Susanna Egri
Verona, 10 agosto 2014

 Quale miglior omaggio alla memoria del compianto Ivo Vinco, se non questa splendida Arena da tutto esaurito per la Prima di Aida, nell’edizione storica targata 1913?    Spesso criticato per l’abuso di elementi stereotipati e per una monumentalità demagogica, che lusinga le masse e non dà sufficiente rilievo alle vicende in campo, Aida resta il titolo areniano per eccellenza, in grado di richiamare sempre un pubblico ampio e caloroso. La “riesumazione” dell’allestimento del ’13, affidata a Gianfranco de Bosio, è sempre di grandissimo effetto, e tiene incollato il pubblico almeno per i primi due atti (l’ineluttabile esodo alla conclusione del Trionfo fa ormai parte anch’esso della tradizione) come pure si può rilevare riguardo alle coreografie, curate da Susanna Egri.
L’effetto cartolina è inevitabile, come pure la staticità registica; tuttavia l’indissolubile binomio Arena – Aida (più che mai in quest’edizione storica) conserva l’innegabile pregio di aprire al grande pubblico uno spartito sublime, altrimenti appannaggio di accademie elitarie, senza distinzione tra tecnici e profani. Obelischi, colonne, sfingi, cavalli, ogni cosa sa di déjà vu, ma forse il pensiero che anche stasera ci sia almeno uno spettatore che vede per la prima volta l’Arena rende tutto più romantico. Una “mummia democratica” nelle mani di nomi molto amati dal pubblico areniano, a cominciare da Daniele Rustioni, già apprezzatissimo interprete nella stagione sinfonica veronese appena trascorsa. La scelta di tempi generalmente piuttosto comodi risulta vincente sia per la resa dinamica che per lo scioglimento dei nodi più intricati dell’insieme (Trionfo in primis). I pianissimi del Preludio sono resi con le giuste attese, gli insiemi sono espressivamente ben curati. Qualche attacco impreciso e scelte agogiche talvolta non particolarmente filologiche non creano eccessivi scompensi in uno spettacolo ormai pienamente consolidato, a cui Rustioni non può che lasciare la propria ammaliante impronta espressiva. Dell’orchestra si è potuta particolarmente apprezzare la sezione dei legni, in ottima forma.
Eccellente il Ramfis di Dmitry Beloselsky, di cui si rilevano l’ottima pronuncia e il timbro naturalmente caldo in ogni tessitura. Davvero meravigliosa la trentenne Anita Rachvelishvili nei panni della principessa egiziana Amneris. La cura nella linea del fraseggio e nei cambi di registro è certosina, facilitata da un timbro naturalmente caldissimo e denso di armonici. Forse c’è ancora qualcosa da lavorare nella zona acuta ma la sua performance, arricchita anche da un’eccellente presenza scenica, risulta estremamente intensa e trascinante.  Marco Vratogna, il re sconfitto Amonasro, non convince immediatamente per la pronuncia dura e qualche accento un po’ spinto, ma nell’Atto III dà il meglio e le sue foreste imbalsamate risultano veramente pregevoli.  Andrea Mastroni nei panni del Faraone conferma i pronostici che lo rilevano come una delle voci gravi migliori della sua generazione, nonostante la tendenza alla romanza anche nei luoghi meno opportuni (ma che ci vogliamo fare, that’s Arena).
Davvero un’occasione sprecata per Marco Berti, un Radamès non in ottima forma – per quanto la sua performance sia andata decisamente migliorando nel corso della serata. Il primo atto è il momento peggiore, il suo Celeste Aida è secco, il timbro scarso di armonici, tutto concentrato sull’effetto dell’acuto, che non si rompe ma risulta piuttosto indurito, inficiando l’espressività dinamica. La reale stoffa dell’artista, apprezzatissimo nei teatri di tutto il mondo, riemerge nel III atto, nel corso del duetto con Aida, quando la voce sembra essersi finalmente riscaldata; alcuni suoni restano duri e la tendenza a portamenti non richiesti diventa a tratti stucchevole, ma la zona acuta è paradossalmente calda e precisa (con qualche gigioneggiamento non eccessivamente fastidioso). Brutta serata anche per Amarilli Nizza, uno dei soprani più amati dal pubblico areniano, che affascina per la pulizia nell’intonazione e per la padronanza della pronuncia, ma che cede clamorosamente sulle scelte dinamiche per una generale monotonia del colore. Nonostante l’apparente facilità nelle complesse tessiture del ruolo il timbro risulta costantemente metallico e spinto. Un vero peccato, per un’artista così talentuosa. Proprio quando sembrava che, nel Qui Radamès verrà, si fosse finalmente calata nei panni della principessa etiope, qualche problema respiratorio di troppo la costringe a pasticciare, tanto più che nel IV atto si fa sostituire dalla giovanissima Monica Zanettin, soprano trevigiano fresco ed eccezionalmente dotato, che ammalia per il colore contemporaneamente intenso e cristallino; un debutto a sopresa immediatamente convincente per il pubblico, che le riserva un calorosissimo applauso.   Il cast è completato da un ottimo Riccardo Botta, nei panni del messaggero, e da Anna Malavasi, sacerdotessa puntuale e timbricamente interessante. Qualche acciacco del Coro, preparato come di consueto da Armando Tasso, non ne inficia l’ottima performance, in una serata resa splendida dal meteo clemente e dal suggestivo plenilunio.  Applausi calorosi per tutti e ovazioni da stadio per Rustioni. Foto Ennevi per Fondazione Arena