Cristiana Morganti, “Jessica and Me”

Reggio Emilia, Teatro Cavallerizza, Festival APERTO 2014
“JESSICA AND ME”
di e con Cristiana Morganti
collaborazione artistica Gloria Paris
disegno luci Laurent P. Berger
video Connie Prantera
consulenza musicale Kenji Takagi
produzione Il Funaro, Pistoia – in coproduzione con Fondazione I Teatri, Reggio Emilia
Prima assoluta
Reggio Emilia, 11 ottobre 2014

“La camminata carica di significato, no, ti prego!” Una voce accompagna l’entrata in scena della danzatrice, ed è subito feeling col pubblico. La performance che segue, subito comica poi reiterata in chiave drammatica, sempre un po’ l’una e un po’ l’altra, rimane col commento di questa voce interiore che esprime ciò che la ballerina pensa (potrebbe pensare) mentre danza. “Tirati su, ritta, ritta”, “Muoviti lentamente, più lenta, lenta”. Imperativi che costituiscono l’adagio che ritma le sue azioni, i suoi movimenti sul palco: che crea tensione perché proprio di quell’io danzante, ovvero monito critico feroce che mette in dubbio la sua serietà professionale: “No, questa, l’hai copiata”, “Questa l’hai vista fare a un collega”; in vero che strappa lo stesso risate di pieno rilassamento.
Perché si sta in scena? Perché c’è ‘sto bisogno di apparire? Sono domande a cui Cristiana Morganti vuole rispondere nel “one-woman-show” (della maturità artistica), in cui danza e recita, ride e cade in preda a una crisi di nervi.
Il suo “Jessica and me” potrebbe essere la messinscena del caso del dottor Jekyll e del signor Hyde: per quel sapiente entrare nel fascio di luce, cioè in quel luogo dove può manifestare, con rigore, la sua indole artistica, ovvero per quello sparire nell’ombra nei luoghi dentro di sé in cui vengono concepite le idee, nell’estro creativo, indomito. “Sia sul piano scientifico che su quello morale” si legge nel romanzo di Stevenson, la Morganti potrebbe ammettere: “venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m’ha poi condotto a un così tremendo naufragio” che significa che la donna non è “veracemente una, ma veracemente due”.
È brava, molto brava, Cristiana Morganti per essere riuscita a confezionare uno spettacolo ben equilibrato, appunto, che sa mettere in scena una donna “veracemente impegnata” e una donna “veracemente frivola”. Ed esce allo scoperto la buona maestra: chi insegna danza, dopo tanta esperienza, con manifesta passione, ma che sente su di sé, per l’età che avanza, la necessità di manifestare ancora del fascino.
Proprio il fascino: la necessità di avere un proprio ruolo nella vita (dove si appare sotto ai riflettori), richiama un altro parallelo letterario, e cinematografico. Quel “La voce umana” di Jean Cocteau, poi tradotto per il cinema, tra gli altri, da Almodóvar, in cui recita una donna sola, sempre sola, che parla tra sé, di se stessa: al telefono, allo specchio e qui con un registratore a cassette (che richiama, volutamente, gli anni 80) Un’immagine del femminino così gracile, un ritratto di donna interpretato dalla Magnani, da Ornella Muti, da Madonna e recentemente dalla Loren.
Per fortuna nessuna tragedia accade, nessun desiderio di morte come nel famoso atto unico, anzi un gran desiderio di riscatto, seppur aiutato da qualche trucco (come si dimagrisce ai fianchi?), da qualche imbellettamento del gesto (come si fuma una sigaretta?), che porta al sorriso d’accondiscendenza, ovvero a un’indulgente cortesia da parte del pubblico.
Cristiana Morganti, che nasce artisticamente come ballerina classica, oggi è danzatrice solista per il Tanztheater Wuppertal Pina Bausch, di cui è stata allieva. Un’artista poliedrica che risponde alla domanda se il teatrodanza supplisce a carenze d’affetto; che ha preso le attenzioni del proprio genitore e le ha restituite al suo pubblico, che la segue e la adora; che è passata dalle braccia di chi ha assecondato la sua passione per la danza alle mani di chi, grazie a lei, si appassiona ad essa, che la applaude contento e pieno di ammirazione.
E’ con generosità che la Morganti prende commiato, con una creazione artistica di grande effetto. Il vestito da sposa che ha infine indossato s’illumina per effetto della proiezione su di esso di fuoco, silhouette umane danzanti e cielo stellato. Si fa schermo e palcoscenico in cui il fuoco della passione, che ha dentro, dà luogo alla danza, quell’arte che la eleva al cielo. Foto Anceschi