Christoph Willibald Gluck :”Ezio”, versione 1763

In occasione di una nuova produzione da presentare al Burgtheater di Vienna nel 1763, Gluck opta per una ripresa del precedente “Ezio” andato in scena a Praga nell’ormai lontano 1750 sottoponendolo ad una radicale revisione. L’opera era nata in un momento in cui il compositore si inseriva ancora totalmente nel gusto e nei modi dell’opera seria metastasiana, precedente agli incarichi alla corte viennese e lontanissimo anche da primi sussulti di quella che sarà la grande riforma che prenderà corpo a partire dagli anni ’60 e di cui si potevano riconoscere solo isolate avvisaglie nel senso drammatico che ha sempre contraddistinto Gluck e nel ricorso – seppur ancora isolato – a forme di recitativo accompagnato dalla forte sottolineatura.
Nessun documento relativo è giunto a noi, perciò, è impossibile stabilire il perché della scelta di questo lavoro, chi lo commissionò a Gluck o il perché della scelta di tale soggetto. Restano, comunque, dei libretti che rivelano quali cantanti parteciparono alla rappresentazione. Il ruolo del protagonista Ezio, generale romano che quasi è portato alla caduta attraverso vari intrighi, fu cantato dal contralto castrato Gaetano Guadagni che Gluck aveva conosciuto ed apprezzato nel  ruolo di Orfeo. L’Imperatore Valentiniano fu interpretato da Giovanni Toschi, soprano castrato, che Gluck conobbe allo ne  Il Trionfo di Clelia; il tenore Giuseppe Tibaldi cantò il ruolo di Massimo. E Gluck avrà avuto familiarità anche con la moglie di Tibaldi, Rosa che interpretò  il ruolo di Fulvia nell’opera, un personaggio costantemente in bilico tra la lealtà a suo padre e il suo amato.
Un altro importante documento è un articolo giornalistico del Wienerisches Diarium che affermò: “Gluk ha messo di recente in musica ancora una volta uno dei migliori lavori dell’immortale Metastasio, l’Aetius.” L’Ezio di Gluck era infatti completamente nuovo per il pubblico viennese, perché la musica non era mai stata presentata prima a Vienna. Probabilmente nessuno sapeva che si trattava di una revisione di una delle più vecchie opere del compositore. Sebbene anche l’Ezio di Vienna di Gluck usi ancora  il linguaggio  musicale dell’opera seria, questo lessico riflette una nuova estetica dell’opera per il quale ‘la naturalezza’ era di importanza centrale. L’autore anonimo nel Wienerisches Diarium scrisse: “...mai prima d’ora nessun compositore è stato più fedele alla natura di lui. Pressocché tutti l’hanno sacrificata all’arte. Arie, trilli e gli altri artifici spesso interrompevano il progresso di sentimenti e passioni in una maniera insensata, invece di sostenere, rafforzare o nobilitare l’espressione degli stessi. In una parola, il poeta era lo schiavo del compositore; e quest’ultimo solleticava l’orecchio senza che il poeta potesse toccare il cuore. Gluk fa l’esatto opposto. Per lui, il poeta non conta solamente per quello che esprime, ma il suo lavoro guadagna nuova amabilità e nuovi stimoli dall’arte con la quale è combinato.”
Il lavoro effettivo di Gluck non consisté nella selezione dei pezzi da riutilizzare, ma nel riadattarli per lo spettacolo di Vienna. Molte delle arie dovevano essere trasposte per renderle appropriate ai cantanti nuovi. A Vienna, Gluck ebbe il privilegio di avere un’orchestra molto più grande, che a Praga, e colse questa opportunità per dare alla sua orchestrazione più varietà. Ma il cambiamento maggiore che apportò alla musica originale fu nel tagliarla. Iniziò con l’accorciare le lunghe arie con “da capo” omettendo le introduzioni orchestrali così come le prime sezioni vocali nelle ripetizioni. Spariscono anche svariate arie dei  personaggi secondari in modo da limitare al minimo gli elementi di digressione e di attirare l’attenzione degli spettatori sulle componenti fondamentali dello schema drammatico. Gluck effettua molti tagli anche nei  recitativi sono ampiamente sforbiciati. Sempre in quest’ottica vengono modificati i finali del I e II atto con la sostituzione alle scene solistiche di Fulvia e Valentiniano previste nella stesura originaria con due pezzi a più voci – rispettivamente un duetto e un terzetto – che vengono a dare maggior vivacità alla successione delle arie. La tendenza a una maggiore brevità drammatica che questo comporta è rintracciabile già dall’inizio dell’opera: a Praga, l’opera iniziava con una sinfonia in tre  movimenti tipica delle opere italiane del tempo. Per lo spettacolo di Vienna, Gluck tagliò gli ultimi due movimenti. La Sinfonia fu seguita direttamente dalla Marcia che è parte della prima scena e che viene ripresa alla fine della scena.
Riprendere quest’opera alla distanza di tredici anni e dopo l’inizio della riforma con “L’Orfeo ed Euridice” ha significato per Gluck un confronto con il se stesso della stagione precedente e il tentativo di aggiornare una forma per molti aspetti ormai superata. Dal punto di vista della riuscita complessiva questa nuova versione dell’”Ezio” sembra restare a metà del guado, la stessa struttura del libretto e la necessità di salvare una parte consistente della partitura originaria portano ad un compromesso che per molti aspetti segna un passo in dietro rispetto al precedente “Il trionfo di Clelia” ma che al contempo mostra come si andavano elaborando alcuni punti centrali della riflessione del compositore.
Sul piano musicale l’opera non aggiunge nessun brano di nuova composizione, viene eliminata l’aria di Massimo “Se povero il ruscello” la cui struttura melodica era stata riusata da Gluck ne “Orfeo ed Euridice” e quindi ben nota al pubblico viennese mentre molte arie della prima versione sono sostituite con altre ricavate per lo più da “Il trionfo di Clelia” – che allestito a Bologna doveva essere totalmente sconosciuto alla maggioranza del pubblico viennese – riadattate su un diverso testo mentre per quanto riguarda i brani della versione del 1750 notiamo interventi finalizzati a dar loro un andamento espressivo più naturale e meno codificato di quanto avessero in origine. In conclusione, in questo nuvo Ezio si nota una predilezione per tonalità liriche ed espressive mentre i brani più scopertamente virtuosistici tendono ad essere sacrificati. Anche nelle pagine rimaste si assiste a modifiche interne finalizzate ad un diverso orizzonte espressivo; il virtuosismo appare decisamente più orientato a  ragioni espressive. Vista la complessità della stratificazione può essere utile un quadro riassuntivo. I brani sono indicati con e il numero d’ordine in partitura, il titolo e il personaggio affidatario.
Brani provenienti dall’”Ezio” del 1750
Sinfonia
2 “Se tu la reggi al volo” (Valentiniano)
3 “Pensa a serbarmi” (Ezio)
6 “So chi t’accese” (Valentiniano)
7 “So qual pena” (Onoria) in origine “Quanto mai felici siete”
10 “Va dal furor portata” (Massimo)
11 “Recagli quell’acciaro” (Ezio)
13 “Nasce al bosco rozza cuna” (Varo) in origine “Qual fingere affetto”
14 “Fin che per te mi palpita” (Fulvia)
15 “Ecco le mie catene” (Ezio)
16 “Passami il cor, tiranno) (Ezio, Fulvia, Massimo) in origine aria di Fulvia
20 “Tergi le ingiuste lacrime” (Massimo)
21 “Ah, non son io che parlo” (Fulvia)
22 “Della vita nel dubbio cammino” (Coro)

Arie provenienti da “Il trionfo di Clelia” dopo il personaggio è indicato l’incipit con cui apparivano nell’opera di origine
1 Marcia
5 “Il nocchier che si figura” (Massimo) “Sol del Tebro in su la sponda”
8 “Va, non tremo al tuo periglio” (Ezio, Fulvia) “Si, ti fido al tuo gran cuore”
9 “Se nel trono” (Valentiniano) “Ah celar la bella face”
17 “Se il fulmine sospendi” (Ezio) “De’ folgori di Giove”
18 “Vuoi consigli?” (Onoria) “Io nemica? A torto mi dici”
19 “Sono in mezzo a un’onda infesta” (Valentiniano) “Tanto esposta alle sventure”

Arie provenienti da altre opere
4 “Caro padre” (Fulvia) “Del dì crescano le pompe” (“Le feste di Apollo”)

La registrazione
“EZIO”
Opera in tre atti su libretto di Pietro Metastasio
Prima rappresentazione: Vienna, Burgtheater 26 dicembre 1763
Valentiniano III, imperatore d’Occidente Ruth Sandhoff (mezzosoprano)
Fulvia, figlia di Massimo e amante di Ezio Kirsten Blaise (soprano)
Ezio, generale romano Franco Fagioli (controtenore)
Onoria, sorella di Valentiniano Sophie Marin-Degor (soprano)
Massimo, patrizio romano, Stefano Ferrari (tenore)
Varo, prefetto del pretorio e amico di Ezio Netta Or (soprano)
Orchester der Ludwingsburger Schlossfestespiele
Direttore Michael Hofstetter
Registrazione:Ludwigsburg, Kirche der Karlshöhe, 15-17 luglio 2007

Questa incisione permette di farsi un’attendibile idea di questa versione dell’opera gluckiana permettendo un diretto confronto con la versione originale di cui si dispone fortunatamente dell’ottima versione di Curtis di cui si è parlato a suo tempo. Questa registrazione non raggiunge la qualità di quella ricordata ma è nel complesso sorretta da grande correttezza e professionalità sufficienti a far emergere i tratti caratterizzanti della partitura.
Michael Hofstetter non è uno specialista del repertorio settecentesco né un direttore filologico pur avendo affrontato con regolarità musiche del XVIII secolo ma è sicuramente una delle bacchette più interessanti fra quelle emerse negli ultimi anni sulla scena tedesca soprattutto nel repertorio tedesco. Qui alla guida di un’orchestra specializzata in questo repertorio e con la quale il direttore possiede una lunga e proficua frequentazione offre una direzione molto viva e teatrale con una prevalenza di sonorità piene e corpose ma al contempo di grande chiarezza e capace di un interessante abbandono melodico, componente da non sottovalutare in un’opera che fa proprio di un registro nobilmente patetico il suo tratto caratterizzante. Hofstetter si mostra inoltre ottimo accompagnatore e dimostra una costante e approfondita attenzione alle ragioni del canto.
Complessivamente valida la compagnia di canto. Punto di forza del cast risulta l’Ezio di Franco Fagioli; se lo scrivente resta dell’idea che sarebbe più opportuna per un controtenore la parte ambigua e cerebrale di Valentiniano piuttosto che quella di Ezio è innegabile che il cantante argentino disponga di una voce decisamente ragguardevole caratterizzata da un bel colore scuso e da un’emissione morbida e vellutata di autentica natura mezzosopranile cui si aggiunge una dizione chiara e pulita decisamente insolita per questa tipologia vocale. La linea di canto sempre di grande eleganza e musicalità da il meglio nei momenti di nobile commozione che sono per altro la cifra più caratteristica del personaggio in questa versione fin dalla cavatina “Pensa a serbarmi” (atto I, n. 3) ma anche nell’unico brano di carattere marziale e virtuosistico“Se il fulmine sospendi” (atto III, n. 17) mostra autorevolezza d’accento e ottime doti nel canto di coloratura.
Valentiniano è il mezzosoprano Ruth Sandhoff molto attiva in Germania specie nel repertorio sacro e barocco; voce scura e corposa, quasi contraltile sorretta da una linea di canto pulita ed elegante costruisce un personaggio forse fin troppo nobile vista la natura ambigua dello stesso ma innegabilmente ben cantato e non privo di forza drammatica pur senza nulla perdere in eleganza e musicalità come si può apprezzare in “So chi t’accese” (atto I, n. 6) o in “Se nel trono” (atto II, n. 9).
Si potrebbe invece aver da ridire sulla  scelta di affidare a tre soprani sostanzialmente lirici i ruoli di Fulvia, Onoria e Varo con il risultato che viene molto a ridursi la caratterizzazione dei diversi personaggi. Kirsten Blaise è messa spesso in difficoltà dell’impervia parte di Fulvia che seppur privata di alcuni degli scogli più estremi presenti nella prima edizione resta comunque decisamente impegnativa. La Blaise è corretta e precisa ma la voce è spesso un po’ troppo leggera e manca di quella drammaticità bruciante che brani come “Ah, non son io che parlo” (atto III, n. 21) richiedono naturalmente; le cose vanno ovviamente meglio nei momenti più lirici e dolenti ma anche qui si sente una mancanza di peso specifico solo parzialmente compensata dalla buona linea vocale. Purtroppo in alcuni recitativi la cantante cerca di ottenere maggior drammaticità con forzature stilisticamente improprie e di gusto quasi verista specie nel III atto.
Caratteristiche simili presenta Sophie Marin-Degor come Onoria, la parte è però decisamente più conveniente ad un soprano lirico rispetto a quella di Fulvia e la cantante francese mostra buone doti interpretative che danno rilievo all’aria “Vuoi consigli?” (atto III, n. 18) assente nella stesura originale e aggiunta in questo rifacimento utilizzando una musica proveniente da “Il trionfo di Clelia”. Più solida – seppur all’interno della stessa categoria – la voce della tedesca Netta Or che si arricchisce di screziature brunite nel settore medio-grave a cui è affidata la parte en-travesti di Varo, rispetto alla stesura originaria il ruolo è stata drasticamente ridotto e si vede assegnata un’unica aria “Nasce al bosco rozza cuna” (atto II, n. 13) per altro in una redazione diversa rispetto alla prima versione in cui la Or mostra una voce duttile e musicale, buona personalità e un’apprezzabile pronuncia italiana. Resta comunque l’impressione di una scarsa differenziazione fra i vari personaggi.
Completa il cast il tenore Stefano Ferrari come Massimo che si vede privato della splendida “Se povero il ruscello” per le ragioni sopra ricordate. Voce non particolarmente bella nel senso classica del termine ma timbrata, robusta e sorretta da un’ottima tecnica che gli permette di superare con facilità anche un brano dal taglio decisamente virtuosistico come “Il nocchier che si figura” (atto I, n. 5) mentre l’accento e il fraseggio sono sempre curati e precisi anche se il personaggio che ne risulta è per certi versi troppo eroico per una figura subdola come quella di Massimo.