Teatro Verdi di Pisa: “Don Giovanni”

Teatro “Giuseppe Verdi” – Stagione Lirica 2014/2015
“DON GIOVANNI”
Dramma giocoso in due atti K 527
Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Don Giovanni  PANAJOTIS ICONOMOU
Il Commendatore  RICCARDO FERRARI
Donna Anna  SILVIA DALLA BENETTA
Don Ottavio  BLAGOJ NACOSKI
Donna Elvira  AGATA BIENKOWSKA
Leporello  ANDREA CONCETTI
Masetto  DANIELE PISCOPO
Zerlina  LAVINIA BINI
Orchestra della Toscana
Coro Ars Lyrica
Direttore Francesco Pasqualetti
Maestro del coro Marco Bargagna
Maestro al cembalo Riccardo Mascia
Regia Enrico Castiglione
Luci Enrico Basoccu
Allestimento dell’Accademia Operistica Internazionale
Produzione del Teatro di Pisa
Pisa, 11 ottobre 2014

Don Giovanni Pisa Ottobre 2014-5Un capolavoro assoluto come Don Giovanni si è prestato sin dall’inizio a varie interpretazioni e a letture diversissime se non antitetiche, ma la questione centrale sia per gli esecutori sia per il pubblico è lo spirito in cui e con cui ci si debba avvicinare a quest’opera-mito. Don Giovanni termina con la retribuzione divina per il peccato, ma affronta anche una sottilissima esplorazione delle motivazioni comiche e tragiche per la compassione e l’indifferenza morale.   Qual è il personaggio più profondo? Leporello? O Donna Elvira? Il Commendatore?  E del protagonista, che dobbiamo pensare?  È semplicemente un libertino qualsiasi il cui vero significato è quello in cui altri personaggi più concretamente ritratti vedono in lui, o è in qualche modo un protagonista tragico che difende fino all’ultimo il suo “genio”, il suo anticonformismo di fronte a un compiacente pragmatismo? O è un animale reso obsolescente dalla civiltà?  Una figura medievale del Vizio, il Faustus di Marlow, il Baal di Brecht?  Mozart con un vero colpo di genio quale a pochissimi riesce, suggerisce tutte queste possibilità, a volte simultaneamente.  Questo punto di vista è umano o divino?  Ha fatto di quest’opera qualcosa in cui il comico, il tragico e il compassionevole (senza sfociare nel larmoyante) sono aspetti profondi e immortali reciproci, specchi gli uni degli altri.  La vera questione a questo punto è, dopo tutte queste interrogazioni, quale sia l’approccio che con maggior completezza riveli l’opera a ciascuno di noi.
Il maggiore artefice della riuscita dell’opera e colui che dovrebbe dosare i suoi numerosi ingredienti allo scopo di darle una forma ben definita è in primis il direttore d’orchestra, in questo caso Francesco Pasqualetti, che alla fin dei conti non ci è parso avere una visione personale dell’opera, o in ogni caso non è riuscito ad esprimerla.  Don Giovanni Pisa Ottobre 2014-4Tecnicamente è un direttore validissimo: la potenza e l’articolazione dell’Overture, per esempio, sono notevoli, ma durante il corso dell’opera sia la verve, l’umorismo sia la furia drammatica tendono a latitare, e senza questi elementi il dramma si fa assai meno penetrante.  Alcuni passaggi, come “Madamina, il catalogo è questo”, mantengono gran parte della loro innata giocosità, ma altri diventano un po’ troppo gelidi o insipidi: viene sacrificato il miracoloso equilibrio (raramente raggiunto, giova ripeterlo) fra commedia e tragedia, fra il temporaneo e l’eterno.  Nel complesso Pasqualetti aveva dato una prova più convincente nelle Nozze di Figaro di due stagioni fa a Pisa, anche se in questo Don Giovanni ha mostrato un coordinamento notevolmente migliore fra palcoscenico e orchestra, senza sfasatura alcuna.  Nel complesso quindi si è trattato di un Don Giovanni diretto in modo molto competente ma senza colpi d’ala.  In palcoscenico agivano cantanti la cui resa copriva tutta la gamma dall’eccellente al francamente discutibile, come il Commendatore di Riccardo Ferrari, la cui voce mancava dell’accento scultoreo, dell’incisività, della fermezza necessaria ad affrontare quei celebri intervalli senza sbavature, la gravitas insomma, richiesti a un personaggio che in fin dei conti rappresenta la retribuzione divina.  Il costume decisamente ridicolo non ne aumentava certo l’autorevolezza. Blagoj Don Giovanni Pisa Ottobre 2014-7Nacoski era un Ottavio dalla voce molto leggera, nel solco di una lunga e solida tradizione, anche se oggi forse si preferisce un timbro un po’ più lirico e corposo.  Il problema non è però costituito dall’evanescenza del timbro, ma dalla tecnica piuttosto precaria: il suono non gira, non sfrutta la cosiddetta “maschera”, si affida eccessivamente ad un emissione troppo nasaleggiante e soprattutto alle contrazioni della gola,  che provocano oscillazioni già in zona centrale e suoni “adenoidali”.   Un’emissione intubata inficiava la Donna Elvira di Agata Bienkowska, mezzosoprano spesso in difficoltà un po’ dappertutto, in basso nei centri e in alto.   L’inscurimento artificioso del timbro suggeriva una matrona alle prese con un’assurda infatuazione e la dizione confusa non aiutava certo la delineazione del personaggio più interessante, a mio avviso, dell’opera, l’unica che alla fine esce irrimediabilmente spezzata e distrutta dagli eventi.   “Mi tradì quell’alma ingrata” ha esposto vari problemi, fra cui un’intonazione periclitante, agilità abborracciate e un registro acuto non proprio sicuro, nonostante il ricorso alla trasposizione in Re maggiore, occorrenza, questa, davvero censurabile.  Masetto è un ruolo minore, ma nelle mani giuste può avere un suo rispettabile risalto, cosa qui avvenuta grazie al bel timbro e alla disinvoltura scenica del giovane Daniele Piscopo, che desidereremmo ascoltare in ruoli più impegnativi.   Lavinia Bini era una Zerlina fresca, giovanile ed effervescente senza scadere nel volgare, con un controllo ammirevole dell’emissione, peraltro non più affetta da quel vibratino stretto che la caratterizzava alcuni anni fa; particolarmente apprezzabile era “Vedrai carino”, emessa in tono sensualmente sommesso e giustamente diretta solo a Masetto.   Il protagonista, Panajotis Iconomou, ha indubbiamente una voce timbrata, potente e piacevole, ma anche la tendenza a “sillabare”, ovvero a imprimere forza eccessiva a quasi ogni singola nota, a scapito del legato, caratteristica ancor più Don Giovanni Pisa Ottobre 2014-9indesiderabile in un ruolo come quello di Don Giovanni quasi esclusivamente affidato al recitativo e al declamato.  Nelle oasi liriche del personaggio come la Serenata, il basso baritono tedesco (di ovvie origini greche) ha appropriatamente alleggerito il suono, anche se i piani e i pianissimi che lodevolmente cercava di eseguire risultavano come posticci, non del tutto connessi al resto dell’organizzazione vocale.  Scenicamente ha privilegiato il lato comico del personaggio (in accordo comunque con l’impostazione registica generale) dando vita a un Don Giovanni affatto cavaliere, più scontroso che suadente, e persino impertinente (alla fine del primo atto fugge facendo la linguaccia alle sue vittime): interpretazione valida come altre, in fin dei conti.  Andrea Concetti non avrà un timbro di quelli baciati dalla natura, ma sa usare la voce con perizia tecnica e immaginazione.  Il suo è un Leporello furbo e astuto secondo la migliore tradizione della commedia dell’arte; sebbene cambi volto di fronte ad ogni singola situazione, rimane personaggio coerente e organico; il tutto è compiuto con abile naturalezza.  L’aria del Catalogo ad esempio scorre come il vento, quasi leggera, imponderabile ed energica al contempo.   Ma la vera trionfatrice della serata è stata indubbiamente Silvia Dalla Benetta, vocalmente magnifica e drammaticamente vitale.   Il soprano vicentino possiede una voce squillantissima, compatta, rotonda, senza il minimo segno di sfasatura.  L’accento è incisivo, il fraseggio molto vario e sempre appropriato alla situazione.  “Or sai che l’onore”, e il recitativo che la precede, era caratterizzata da un vigore che non scadeva mai nell’esagitazione (molti soprani si dimenticano che Donna Anna è pur sempre un’aristocratica d’alto lignaggio), eseguito rispettando ogni segno d’espressione ed anzi aggiungendo efficacissimi tocchi personali quali le forcelle da piano a forte sui vari La naturali dell’aria.  La grande scena del secondo atto si è contraddistinta per dei soavi pianissimi (bellissimo il Si bemolle di “abbastanza per te mi parla amore), buona coloratura e fiati lunghissimi (di grande suggestione l’assenza di un fiato fra “non vuoi ch’io mora” e la frase successiva “Non mi dir…”); unica pecca, l’assenza del trillo sul sol naturale nelle ultime frasi dell’aria.
Don Giovanni Pisa Ottobre 2014-10Non molto si può dire sull’allestimento di Enrico Castiglione, se non sottolineare che si tratta di una messa in scena tradizionalissima e anche un po’ monotona, aggettivo da interpretarsi anche alla lettera, dato che le scene (costituite dalle solite scale e colonne, più un muro che Leporello periodicamente fa scorrere dalle quinte e che funge da sipario) erano contraddistinte da un unico colore, quello rossastro dei mattoni.
Questo Don Giovanni era la prima offerta di un progetto culturale di straordinario interesse concepito dal Teatro Verdi di Pisa (e che coinvolge in parte anche il Teatro del Giglio di Lucca) per il resto di questa stagione e per tutto il 2015, intitolato Una gigantesca follia, ovvero il DonGiovanniFestival (sic): quasi una trentina di eventi incentrati sul mito di Don Giovanni che includono un ciclo di conferenze, spettacoli di prosa (Moliére, Tirso da Molina), e ovviamente opere.  Vale la pena elencarle per rendere l’idea di questo immane ed encomiabile sforzo in tempi di crisi: fra la sala “Titta Ruffo” e quella principale il pubblico avrà l’occasione di assistere al Don Giovanni Tenorio di Giovanni Gazzaniga, L’empio punito di Alessandro Melani, Il trionfo dell’onore di Alessandro Scarlatti e alle versioni del Convitato di Pietra di Dargomyžskij, Giacomo Tritto e Giovanni Pacini.   Impresa davvero strabiliante, forse senza precedenti. Foto Massimo D’Amato, Firenze. English Version