Operatic recital by Eugene Conley (1908-1981)

Giacomo Puccini: “Recondita armonia”, “E lucevan le stelle” (“Tosca”), “Che gelida manina” (“La Bohéme”); Georges Bizet: “La fleur que tu m’avais jetée” (“Carmen”); Giacomo Puccini: “Non piangere Liù” (“Turandot”); Giuseppe Verdi:Questa o quella”, “La donna è mobile” (“Rigoletto”); Gaetano Donizetti: “Spirto gentile” (“La favorita”); Charles Gounod:Salut! Demeure chaste et pure” (“Faust”); Friedrich von Flotow: “M’apparì” (“Martha”).
Bonus Tracks from: Italian Operatic Arias
Vincenzo Bellini:
A te, o cara”, “Vieni, vieni fra queste braccia(I Puritani); Giacomo Meyerbeer: “O Pardiso” (“L’Africaine”); Gaetano Donizetti: “Tombe degli avi miei…Fra poco a me ricovero…Tu che a Dio spiegasti l’ali” (“Lucia di Lammermoor”);  Amilcare Ponchielli: “Cielo e mar” (“La Gioconda”).
Bonus track  from A Concert of favorites
Victor August Herbert: “Ah, sweet Mystery of Life” (“Naughty Marietta”); 
Guy d’Hardelot: “Because”;  Eugene Conley: “Beloved”; Eugene Cowles: “Forgotten”; Thomas Payne Westendorf: “I’il take you home again, Kathleen”; Traditional Irish tune from Conunty Derry: “Danny boy”; Charles Marshall:  “I hare you calling me”; Victor Herbert: Thine Alone (“Eileen”).  New Simphony Orchestra, Alberto Erede, Royalton Kisch, Warwick Braithwaite Registrazioni: Londra 1949 /1950. T.Time. 1h19’49. 1 CD Decca 0289 480 8145 5
 All’interno della collana Most Wanted Recitals la Decca ripropone una serie di incisioni realizzate fra il 1949 e il 1950 dal tenore statunitense Eugene Conley (1908-1981) cantante praticamente sconosciuto al pubblico europeo fatta salva la sua partecipazione alla prima incisione discografica di “The rake’s progress” diretta dallo stesso Stravinskij nel 1953 ma protagonista di una significativa carriera sui palcoscenici d’oltreoceano.
L’ascolto si rivela per molti aspetti interessante; Conley disponeva infatti di un materiale vocale di prim’ordine. Voce di autentico tenore lirico-spinto, sana e robusta e di bel timbro anche se non personalissimo sorretta da un’ottima tecnica che gli permetteva acuti di notevole fulgore, squillanti e ricchi di armonici in piena linea con quella che era stata la grande tradizione dei grandi tenori del primo dopoguerra, di contro di quella tradizione Conley presenta anche tutti i difetti quali la scarsa attenzione al dato stilistico – e spesso allo stesso rispetto delle indicazioni presenti sullo spartito – l’adesione ad un gusto che semplicisticamente possiamo definire verista tutto giocato su un canto di diretta estroversione sempre molto simile a se stesso cui si aggiungeva come in molti cantanti di area anglosassone una pronuncia italiana problematica e spesso difficile da accettare per chi ha l’italiano come propria lingua madre.
Il programma consta di tre diverse incisioni, due di carattere operistico e una dedicata ad estratti di musical e a canzoni americane dell’epoca; le caratteristiche sopra elencate influiscono ovviamente molto sulla resa dei singoli brani in cui è evidente la maggiore o minore sensibilità del cantante per certi repertorio. I brani pucciniani posti in apertura riescono ad evidenziare al meglio le doti di Conley, fatta salva la sempre problematica pronuncia. Di Cavaradossi (di cui sono presentate entrambe le “arie”) e Calaf (“Non piangere Liù”) Conley possiede la giusta vocalità robusta ma non eccessivamente drammatica così come la necessaria sicurezza sugli acuti mentre lo stile seppur un po’ datato per il gusto contemporaneo è comunque legittimo per opere della”Giovane scuola”. Convince meno invece il Rodolfo de “La Bohème”, il ruolo dovrebbe presentare una naturalezza di canto che Conley non riesce a raggiungere frenato dalle difficoltà linguistiche.
Le considerazioni avanzate per questi brani possono estendersi anche a quelli di Ponchielli “Cielo e Mar” da “La Gioconda” e in parte di Meyerbeer “O Paradiso” da “L’Africana” – cantata in italiano come prassi all’epoca – in cui si palesa una maggior famigliarità del cantante con il repertorio del secondo Ottocento; da segnalare la splendida mezza voce su “o sogni, o sogni d’or” nella romanza di Enzo Grimaldi.
L’aria del fiore di “Carmen” è probabilmente il momento migliore dell’intero programma. La voce di Conley è perfetta per Don José robusta e virile senza essere eccessivamente pesante e drammatica – come avveniva troppo spesso al tempo in conseguenza ad una reinterpretazione verista e iper-drammatica del ruolo – la linea di canto molto curata e anche l’aspetto interpretativo risulta qui ben centrato. In primo luogo pur perfettibile la dizione francese e migliore di quella italiana e poi il cantante lavora molto bene sui piani espressivi offrendo una lettura molto intensa ma priva degli eccessi in cui amavano indugiare molti cantanti del tempo.
 La non piccola selezione di brani belcantistici è invece riducibile a poco più che curiosità storica, a testimonianza di un modo improprio e ormai definitivamente superato di affrontare questo repertorio. Nel Fernando de “La favorita” – “Spirto gentil” – comincia anche bene mostrando un ottimo controllo della voce ma nel prosieguo dell’aria tutto diventa troppo eroico, stentoreo, diretto fino alla chiusura più in linea con certi ruoli eroici del Verdi maturo che con l’aristocratica nostalgia del Donizetti francese; fenomeno ancor più evidente nei brani da “I puritani” dove si assiste ad una lettura inutilmente eroica e stentorea. In “Lucia di Lammermoor” il carattere del personaggio permette anche di forzare maggiormente su certi aspetti espressivi salvando in parte il cantante rispetto ai brani belliniani ma anche qui siamo di fronte ad un’espressività verdiana se non post-verdiana ovviamente totalmente incongrua con la scrittura di Donizetti.
Solo due i brani verdiani presentati ed entrambi da “Rigoletto” ovvero la ballata del I atto “Questa o quella” e “La donna è mobile” scelte per molti aspetti non particolarmente indovinate. Il Duca di Conley si fa apprezzare per la voce robusta ed autenticamente virile, cosa non da poco in un momento in cui spesso il personaggio era affidato a tenori molto leggeri e quasi efebici che ne tradivano totalmente la natura predatoria ma i due brani richiedono un assoluto controllo dell’articolazione italiana che è forse il punto più debole di Conley con il risultato che mancano totalmente quella leggerezza e quel saper giocare sulle minime inflessioni che di questi momenti è una delle componenti di maggior fascino.
L’ultima parte del programma è dedicata – come sopra accennato – a brani di musical o a canzoni del tempo tutte caratterizzate da un taglio sostanzialmente cantabile e disteso e da un approccio vocale per molti versi ancora di matrice operistica. Cantando nella propria lingua madre Conley non ha ovviamente problemi di pronuncia ed anzi si fa apprezzare per una dizione chiara e scandita e per un approccio più naturale e meno costruito che gli permette una maggior leggerezza e sincerità espressiva rispetto ai brani operistici. Si tratta di brani di ascolto piacevole – pur in una certa ripetitività – e non privi di interessanti momenti sul piano vocale. “Beloved” composta dallo stesso Conley per esaltare i propri mezzi vocali si chiude con un acuto di non comuni potenza e durata – molto bello anche l’acuto che chiude “Thine Alone” di Herbert – mentre “I’il take you home again, Kathleen” presenta suggestive soluzioni a mezza voce.