Richard Strauss (1864 – 1949) – 19: “Capriccio” (1942)

Richard Strauss (Monaco di Baviera 1864 – Garmisch-Partenkirchen 1949)
“Capriccio”, Ein Konversationsstück für Musik in Einem Aufzug (Conversazione per musica in un atto) di Clemens Krauss e Richard Strauss op. 85
Ultima opera di Strauss, Capriccio è la realizzazione di un vecchio progetto che il compositore tedesco stava elaborando insieme con Zweig prima che il poeta fosse colpito dai provvedimenti antisemiti del governo nazista che posero termine di fatto alla collaborazione tra i due artisti. Nel 1934 Zweig, riferendosi al settecentesco libretto di Giambattista Casti, Prima la musica, poi le parole, messo in musica da Salieri, aveva scritto, infatti:
“La commedia in sé non è utilizzabile ma si potrebbe facilmente trasformare senza tradirla”,
inviando un abbozzo del quale Strauss era rimasto particolarmente soddisfatto. A differenza di altri progetti, dei quali il compositore aveva discusso con Zweig e che furono ultimati da Joseph Gregor, in questa occasione si sancì, però, la rottura ufficiale tra il compositore e il suo ultimo librettista. In realtà anche per Capriccio Strauss, inizialmente, aveva deciso di avvalersi della collaborazione di Gregor, ma questa volta rimase profondamente deluso degli abbozzi presentatigli dal poeta, come si evince da alcune lettere inviate al suo librettista tra maggio e settembre del 1939. In una lettera del 12 maggio Strauss scrisse a Gregor con la scarsa delicatezza che gli era solita: il suo abbozzo è una delusione. Non meno indispettito in una lettera del 20 settembre, rincarò la dose affermando:
“Troppo affetto e sentimento, troppa poesia, mentre io predico Molière e Oscar Wilde. […] Tutto troppo lungo e ci sono troppi accessori”.
Dopo questo scambio epistolare, la rottura tra i due artisti fu definitiva e Strauss, per nulla avvilito, come aveva fatto in altre occasioni (Intermezzo e Guntram), si mise a scrivere da solo il libretto avvalendosi dei consigli di Clemens Krauss. Nonostante le prime tre scene fossero state scritte da lui in tempi piuttosto rapidi, la stesura del libretto, rallentata anche dalla decisione di inserire citazioni di Gluck, Pascal e Boïildieu, andò a rilento. Clemens Krauss, divenuto, insieme al compositore stesso, il librettista di questo lavoro, consegnò l’ultima parte del testo il 18 gennaio 1941. Strauss, tuttavia, aveva già iniziato la composizione del lavoro, portando a termine lo spartito per canto e pianoforte il 24 febbraio 1941 e la partitura il 3 agosto 1941. Strauss fu dunque particolarmente ispirato nella composizione di quest’opera che egli stesso definì, in una lettera a Krauss, il suo testamento nel genere operistico:
“Crede Lei veramente che dopo Capriccio io possa comporre qualcosa di meglio, o almeno di altrettanto buona qualità? Questo re bemolle maggiore non è forse la migliore conclusione possibile di tutto il mio lavoro teatrale, del lavoro di tutta una vita? Si può fare testamento una sola volta”.
Per la prima Strauss avrebbe voluto un teatro raccolto e soprattutto un pubblico colto, capace di comprendere il raffinato gioco intellettuale del libretto, ma l’opera andò in scena a Monaco il 18 ottobre 1942 sotto la direzione di Clemens Krauss con Viorica Ursuleac (La contessa), Walter Höfermever (Il conte), Horst Taubmann (Flamand) e Hans Hotter (Olivier). A differenza di altre opere di Strauss Capriccio ha goduto di una grande fortuna in Italia non tanto dopo la prima rappresentazione avvenuta il 17 aprile 1953 al Carlo Felice di Genova sotto la direzione di Jonel Perlea con Dorothy Dow ed Ettore Bastianini, quanto dopo due riprese del 1987, una a Bologna con la versione ritmica di Fedele D’Amico e una Firenze per la 50a edizione del Maggio Musicale Fiorentino. Da quel momento in poi molti teatri italiani hanno ripreso l’opera.

L’opera
Il preludio, con cui si apre l’opera, è un delicatissimo sestetto d’archi eseguito da un ensemble che si trova, secondo quanto recita la didascalia, nel salotto di sinistra della scena iniziale. Questo brano, formalmente un Andante dalla struttura tripartita secondo lo schema A-B-A1 con un elegante tema iniziale e una piccola sezione centrale di carattere contrastante e impetuoso, accompagna, conferendole un carattere salottiero ed intimistico, la scena iniziale dell’opera che si svolge nel padiglione rococò di un castello in prossimità di Parigi intorno al 1775, al tempo in cui Gluck vi iniziò la riforma. Qui Flamand e Olivier, rispettivamente un compositore e un poeta, si contendono i favori della Contessa e litigano se debba essere accordata la precedenza alla musica o alla parola, lemmi che nel testo vengono cantati in italiano quasi ad ironizzare sulla vecchia diatriba tutta italiana sulla supremazia del testo sulla musica o viceversa. Cessato il suono del sestetto d’archi e a seguito dall’intervento dell’orchestra, si sveglia La Roche, il Direttore del Teatro, che si presenta subito per il suo carattere grossolano, in quanto la musica ha avuto per lui soltanto la capacità di conciliargli il sonno. Il suo atteggiamento suscita i commenti ironici dei due artisti costretti ad affidare le loro opere d’arte ad un uomo che non è in grado di apprezzarle. Portatore di una concezione che guarda ai gusti del pubblico e, quindi, ai possibili guadagni al botteghino, il Direttore del Teatro espone, assistito da una scrittura ironicamente grandiosa, la sua teoria secondo la quale il successo di un’opera dipende dalla scenografia e dall’acuto che riesce a sfoderare il tenore, elementi di poco conto rispetto a tutte le querelle scoppiate intorno a possibili riforme del melodramma. L’uomo aggiunge, inoltre, che Nichts übertrifft die italienische Oper (Nulla sorpassa gli Italiani nell’opera) suscitando la reazione di Olivier, qui portavoce di Strauss, che apostrofa i libretti italiani come testi insulsi. Tutta la conversazione si snoda in una scrittura estremamente elegante e raffinata, quasi salottiera, con la quale Strauss disegna, come con raffinati tocchi di pennello, l’ambiente, teatro della dotta disputa.

La ripresa del tema del sestetto iniziale introduce la seconda scena, della quale sono protagonisti la Contessa, ancora incantata dall’ascolto della musica, e il Conte, suo fratello, i quali, tra una citazione, come quella dell’inciso iniziale dell’aria Fra le pupille di vaghe belle di Rameau, e un’inserzione clavicembalistica, discutono anche loro sulla supremazia della musica sulla parola. In questo caso è il Conte a rivelare come la sorella, tra l’altro rimasta vedova, sia insidiata nello stesso tempo dal musicista e dal poeta, simboleggiati dalla musica e dalla parola. In una scrittura più prosastica, in cui il canto cede il posto quasi ad una recitazione intonata, il Direttore del Teatro annuncia il programma per i festeggiamenti del genetliaco della Contessa; esso consisterà nell’esecuzione di una sinfonia di Flamand alla quale seguiranno la rappresentazione di un dramma di Olivier e qualcosa di improvvisato dallo stesso Direttore del Teatro. Giunge nel frattempo Clairon, un’attrice precedentemente amata da Olivier e adesso oggetto delle attenzioni del conte, il cui carattere frivolo trova una valida espressione nei florilegi della parte orchestrale che accompagna la sua parte. Il Conte, invaghitosi dell’attrice, le recita un sonetto composto da Olivier quella mattina stessa, ma che in realtà è una traduzione in tedesco di Hans Swarowsky di un sonetto tratto dalla raccolta, Les Amours, del poeta cinquecentesco francese Ronsard. In quest’occasione il sonetto è recitato dal conte che viene interrotto da Clairon la quale, entusiasta per il talento artistico dell’uomo, prorompe in un bravo che sembra uscito da un’opera buffa italiana. Nel frattempo l’attrice strappa dalle mani il manoscritto del dramma per darlo a La Roche affinché questi lo metta in scena, mentre Olivier recita la prima quartina del sonetto dedicandolo alla Contessa, indispettita, però, per lo scambio di destinatario. Flamand, ispirato dalle parole del sonetto, si siede al cembalo per improvvisare una melodia sulle parole recitate da Olivier. L’improvvisa decisione di mettere in musica il sonetto suscita una querelle tra il poeta, che non vorrebbe che la sua poesia venga rivestita di note che ne deturperebbero la bellezza, e la Contessa che, invece, difende la scelta del musicista, mentre l’orchestra riprende in una forma più agitata il tema del sestetto iniziale.
Flamand ha messo in musica il sonetto e, accompagnandosi al clavicembalo, dà vita ad uno dei momenti più intensi dell’opera grazie a una morbida scrittura liederistica che esalta le parole di Ronsard tradotte in tedesco. La Contessa, profondamente colpita dall’incanto artistico a cui il musicista ha dato vita, si unisce al canto, mentre nel terzetto appare più prosastica la parte di Olivier che si lamenta del fatto che i suoi versi siano stati distrutti dalla musica. L’uomo, indispettito, alla fine del terzetto, si domanda se quel sonetto sia suo o di un altro, dal momento che è stato modificato dalla musica; gli risponde la Contessa la quale, affermando che il sonetto appartiene solamente a lei dal momento che le è stato dedicato, sembra incarnare nella sua persona la fusione delle due arti. Giunge, allora, La Roche che chiede la presenza del poeta affinché questi approvi un taglio al suo dramma.
Rimasto solo con la Contessa, Flamand, che si produce in slanci da tenore amoroso ottocentesco, le dichiara il suo amore in un duetto che si segnala per alcuni momenti di tenero lirismo; la donna, che confessa di essere stata sedotta dalla musica, afferma, però, che proprio grazie a questa ha apprezzato meglio la poesia di Olivier, mostrando di non saper scegliere tra le due arti, nonostante alla fine della scena si mostri visibilmente commossa dalle parole di Flamand. Strauss, invece, sembra non avere dubbi su quale sia l’arte da prediligere; si tratta della musica esaltata al di là della presenza del testo nello splendido e delicato interludio di carattere cameristico, per l’utilizzo di un ensemble strumentale ridotto, che conclude la scena e che rappresenta l’intimità dei sentimenti di cui sono protagonisti i personaggi.Ormai innamorato di Clairon, entra il Conte, il cui carattere leggero è rappresentato efficacemente dai florilegi dell’orchestra e da una scrittura vocale che mai giunge agli esiti di tenero lirismo di cui era stato capace Flamand nella scena precedente. È ancora una volta La Roche ad interrompere la discussione affermando che è tutto pronto per la rappresentazione che inizia con l’esecuzione da parte di un clavicembalo, di un violino e di un violoncello di una suite di danze stilizzate, costituita da un Passepied, da una Giga e da una Gavotta. Al termine delle danze, il tema del rapporto tra poesia e musica è affrontato in una Fuga che, essendo la forma più alta del magistero contrappuntistico, è particolarmente idonea a rappresentare la disputa intellettuale che, però, non porta ad alcuna conclusione razionale determinando così lo scacco di ogni velleità di dare a questo argomento di natura estetica qualunque struttura sistematica. In questo guazzabuglio musicale non manca una nuova stoccata all’opera italiana rappresentata dalla citazione del duetto, Addio, mia vita, addio tratto dall’Adriano in Siria di Metastasio che viene svilito da due cantanti italiani i quali introducono delle parole che si riferiscono al timore di non essere pagati. La satira dell’opera italiana a pezzi chiusi prosegue nel successivo Ottetto, chiamato anche Concertato delle risate, diviso in due parti, nel quale è presa di mira l’opera tout court attraverso uno dei suoi pezzi chiusi più importanti, il Concertato, solitamente posto a finale d’atto. È una pagina di alto magistero contrappuntistico chiamata così per le onomatopeiche risate in cui si producono i personaggi. L’ironia si esercita anche nel testo dove appaiono parole tipiche del linguaggio teatrale in una babele musicale alla quale contribuiscono i cantanti italiani che riprendono il duetto tratto dall’Adriano in Siria. La Roche si produce, quindi, in una lunga e per la verità un po’ prolissa arringa difensiva del teatro che suscita l’entusiastica approvazione di Clairon, ma sulla quale Strauss non manca di esercitare la sua ironia attraverso una scrittura falsamente aggressiva e, in certi passi, patetica, mentre la Contessa non sa ancora scegliere a quale arte accordare la sua preferenza, propendendo in realtà per l’opera dove parola e musica trovano una perfetta sintesi; anche in questo contesto si esercita una forma di autoironia di Strauss con la citazione di sue opere come l’Arianna a Nasso, che, però, secondo Flamand, è troppo sfruttata, o la Dafne, giudicata troppo difficile a mettere in scena proprio per la metamorfosi della protagonista in albero d’alloro. Alla fine viene approvato il capriccio del Conte che propone di scrivere un’opera nella quale vengano rappresentati tutti gli eventi della giornata. Gli artisti prendono congedo dalla Contessa per andare a lavorare all’opera ognuno secondo le sue competenze non prima, però, di aver discettato ancora una volta sul fatto che la composizione del testo debba precedere quella della musica o viceversa, mentre in orchestra ritorna il tema del sestetto iniziale rielaborato e unito ad altri elementi tematici introdotti nella partitura. Lasciata libera dai protagonisti, la scena è occupata da un piccolo coro di 8 servitori che commentano con una certa ironia quanto è avvenuto dimostrando il carattere futile della dotta discussione a cui hanno involontariamente assistito. Questo coro rivela la verità allo spettatore affermando che il Conte va in cerca di un’avventura, mentre la Contessa è innamorata non si sa bene di chi per concludere che quella per loro sarà una bella serata senza ospiti da servire. Subito dopo appare un nuovo personaggio, Monsieut Taupe, il suggeritore che si è addormentato ed è stato dimenticato lì dal direttore confermando la sua essenza di invisibile signore di un magico mondo. Ad occuparsi di lui è il maggiordomo che, dopo averlo rifocillato, gli promette che lo avrebbe riaccompagnato.
Rimasta sola sulla scena, la Contessa è rischiarata dalla luna che sembra manifestarsi nel bellissimo e poetico tema del corno che apre l’interludio sinfonico che precede l’ultima scena. La donna, che medita sul carattere frivolo di suo fratello, è raggiunta da un messaggio di Olivier che la vorrebbe incontrare il giorno seguente in biblioteca alle 11, la stessa ora in cui avrebbe un appuntamento con Flamand. La donna, innamorata di entrambi, non sa decidere se concedere il suo amore all’uno o all’altro, simboli della poesia e della musica. Cerca di trovare in queste due arti la risposta intonando il sonetto a lei dedicato che, tuttavia, non suscitando le emozioni provate in precedenza, la mantiene in uno stato d’indecisione. Il finale dell’opera resta sospeso, mentre la partitura si conclude, dopo alcuni brevi interventi del corno, con un incantevole accordo di re bemolle maggiore e non prima che l’orchestra abbia intonato il tema iniziale del sestetto dando così all’opera una struttura circolare perfetta, ma anche aperta, pronta a ricominciare, come l’annosa diatriba sulla priorità della parola sulla musica o viceversa.
Con Capriccio, ultima opera di Strauss, concludiamo il ciclo di guide all’ascolto dedicate al compositore tedesco nel 150 anniversario della sua nascita.