Une étoile oubliée: Sybil Sanderson (Parte I)

Une étoile oubliée. La breve e folgorante carriera di Sybil Sanderson
(Sacramento, California,  USA, 7 dicembre 1865 – Parigi, Francia, 16 maggio 1903)

Nata il 7 dicembre 1864 a Sacramento negli Stati Uniti, esattamente 150 anni fa, Sybil Sanderson è stata uno dei più importanti e famosi soprani d’opera, il cui nome sarebbe stato certamente scritto accanto a quelli leggendari di altri grandi soprani come la Callas o la Tebaldi, se della sua straordinaria voce fossero rimaste delle incisioni. Uniche testimonianze della sua breve, ma intensa carriera durata appena 8 anni, sono le recensioni apparse sui giornali dell’epoca e un commosso ricordo lasciatoci da Massenet, suo mentore, nel suo volume autobiografico Mes souvenirs, dove un intero capitolo, dal titolo Une étoile, è dedicato al soprano statunitense, la cui breve parabola esistenziale, costellata di successi, ma conclusa prematuramente e tristemente a causa dell’alcol e della malattia, potrebbe ispirare il soggetto di un libretto d’opera.
Figlia di un ricco proprietario minerario divenuto, poi, Capo della Giustizia della California, Sybil Sanderson, in seguito alla morte del padre avvenuta nel 1886, insieme con la madre e le sorelle si trasferì a Parigi dove, grazie anche alla ricca eredità paterna, ebbe modo di frequentare l’alta società parigina. Proprio in occasione di una cena presso un’importante famiglia americana avvenne l’incontro con Massenet che l’avrebbe portata a calcare i più importanti palcoscenici della capitale francese. Lo stesso compositore ricordò così l’incontro:
“Ero stato messo, al tavolo, accanto a una signora, compositrice di grande talento. Dall’altro lato della mia vicina aveva preso posto un diplomatico francese di un’amabilità complimentosa che passava, mi sembrò, i limiti. «Est modus in rebus, – in ogni cosa ci sono dei limiti» […]La cena era finita; ci si era ritirati in un salotto per farvi un po’ di musica; stavo abilmente per eclissarmi, quando due signore, vestite di nero, l’una giovane, l’altra più anziana, furono introdotte.
Il padrone di casa si premurò di salutarle e, quasi nello stesso istante, fui presentato a loro.
La più giovane era straordinariamente carina; l’altra era sua madre, anche lei molto bella, di quella bellezza assolutamente americana, come quella che spesso ce ne manda la Repubblica stellata.
«Caro maestro, mi disse la giovane, con un accento leggermente messo in rilievo, sono stata pregata di venire in questa casa amica, questa sera, per avere l’onore di conoscerla e di farle sentire la mia voce. Figlia di un giudice supremo, in America, ho perduto mio padre. Egli ci ha lasciato, alle mie sorelle e a me, così come a mia madre, una bella fortuna, ma voglio andare (così si espresse) al teatro. Se, avendo avuto successo, mi si biasimasse, risponderei che il successo scusa tutto!»
Senza altri preamboli, acconsentii a questo desiderio e mi misi subito al pianoforte. «Mi scuserà, aggiunse lei, se non canto la sua musica. Ci vorrebbe coraggio, davanti a lei, e quel coraggio, io non l’avrei!» Aveva appena pronunciato queste poche parole che la sua voce risuonò in modo magico, abbagliante, nell’aria della «Regina della Notte» dal Flauto magico.
Che voce prestigiosa! Andava dal sol grave al sol opposto della terza ottava a piena forza e nel pianissimo!
Ero meravigliato, stupefatto, soggiogato! Quando si incontrano voci simili, è una fortuna che esse abbiano il teatro per manifestarsi; appartengono al mondo, loro dominio. Devo dire che, con la rarità di questo organo, avevo riconosciuto nella futura artista un’intelligenza, una fiamma, una personalità che si riflettevano luminosamente nel suo sguardo ammirevole. Quelle qualità sono le prime a teatro”.
Entusiasta per la scoperta di questa voce che potrebbe essere catalogata tra i soprani drammatici di agilità con una notevole estensione capace di toccare il sol sopracuto, Massenet, il giorno dopo, si recò da Hartmann, il suo editore, per comunicargli di aver trovato il soprano che avrebbe cantato nella sua nuova opera. Si trattava di Esclarmonde che fu rappresentata per la prima volta, in occasione dell’Esposizione universale di Parigi, il 15 maggio 1889 all’Opéra-Comique, con la Sanderson che debuttò riportando un successo strepitoso. L’opera, il cui manoscritto reca nell’ultima pagina anche la firma della Sanderson, ebbe, infatti, ben 99 repliche e Massenet entusiasta, scrisse, sempre nella sua autobiografia:
Esclarmonde doveva, malgrado tutto, restare il ricordo vivo della rara e bella artista che avevo scelto per la rappresentazione dell’opera a Parigi; essa le consentì di rendere il suo nome famoso per sempre. […]
È con pensiero riconoscente che, parlando di Esclarmonde, le dedico queste righe. Il pubblico numeroso venuto a Parigi, come nel 1889, da tutti i punti del mondo, ha, anch’esso, conservato il ricordo dell’artista che era stata la loro gioia, che aveva fatto le loro delizie”.
Il successo dell’opera in generale e della Sanderson in particolare è confermato anche dalla stampa dell’epoca, anche se Arthur Pougin, pur apprezzando la bellezza della Sanderson, su «Le Ménestrel» manifestò qualche dubbio sulle sue doti vocali e sulle qualità d’interprete:
“Fu dunque necessario ingaggiare la signorina Sanderson, che non ha affatto 19 anni, come alcuni pretendono, ma che ne conta 25 suonati, dal momento che ella aveva 21 anni e nove mesi quando è stata ammessa al Conservatorio, il 26 gennaio 1886, nelle classi di Bax e Mangin che abbandonava poco tempo dopo, di nascosto, senza degnarsi di dire dove portava i suoi passi discreti e leggeri. Ciò non toglie nulla alla bellezza angelica della giovane americana, la cui fisionomia elegante e candida si addice meravigliosamente al personaggio che ella si è caricata di rappresentare. La voce è meno soddisfacente. È una voce di soprano sfogatissimo, cioè sopracuta che si muove solo nelle alte regioni del cielo, e a cui la terra, intendo dire il registro medio, è totalmente interdetto. Immaginatevi qualcosa come un ottavino umano, che ha una sola ottava a sua disposizione ed è costretto ad operare all’interno dell’estensione di questa ottava i tours de force che Berlioz paragonava ai pianti di un piccolo cane la cui coda provava dei fastidi inattesi […]. Per mia parte, preferirei un’artista dotata di una voce meno straordinaria, e che non di meno saprebbe dire e fraseggiare, il che non è il caso della Sanderson. Ma che collo, che braccia, che spalle e che grazioso viso” (A. Pougin, Esclarmonde, in «Le Ménestrel», ann. 55, n. 20, 19 maggio 1889, pag. 155).
Positivo è nel complesso il giudizio sulla performance della Sanderson di Auguste Vitu che sulle colonne di «Le Figaro» (16 maggio 1889) scrisse:
“È venuto il tempo di parlare dell’esecuzione e innanzitutto della signorina Sanderson. Questa ragazza, dal viso candido, dagli occhi limpidi, che faceva questa sera la sua prima apparizione davanti al pubblico, possiede una voce cristallina, un po’ sottile nella parte mediana, che si fortifica e si arrotonda nella misura in cui sale alle regioni superiori; le si potrebbe applicare la massima di Fouquet: «Quo non ascendam?» «Dove non salirò». Io non parlo dei do e dei re al disopra del pentagramma che ella prodiga con una facilità inaudita; ma al quarto atto arriva diatonicamente fino a un quarto più alto, cioè fino a un sol acuto, nota propria dell’ottavino, che, per quanto io credo, non era mai uscita fin’ora dalla gola di alcuna cantante. Colpita all’inizio della serata da un turbamento che si è accresciuto a causa di un leggero incidente vocale nel primo atto, la signorina Sybil Sanderson ha ripreso prontamente il dominio di sé e ha cantato con una semplicità magistrale il pianto di Esclarmonde, meritando abbastanza applausi più desiderabili e più duraturi di quelli del contro-sol, ironicamente battezzato la Nota-Eiffel dell’Opéra-Comique”.
Anche Fourcaud su «Le Gaulois» (16 maggio 1889) denunciò il carattere disomogeneo della voce della Sanderson:
“Per quanto riguarda gli interpreti, si sa con quale curiosità era atteso il debutto della Sanderson. Questa giovane cantante possiede un organo estremamente acuto, ma poco omogeneo nella parte centrale. Io non sono molto sensibile a queste note sopraelevate che hanno mandato in visibilio una parte del pubblico. In più la signorina Sanderson ha delle qualità espressive, d’intelligenza scenica, una grazia particolare e una fresca bellezza”.
Esplicitamente composta per la voce della Sanderson, a cui Massenet dedicò la partitura, la parte vocale della protagonista ci permette di intuire le reali potenzialità di questo straordinario soprano. Per quanto disomogenea, la voce della Sanderson certamente riusciva ad adattarsi perfettamente ad un’estensione che va dal mi dell’ottava centrale fino al famoso sol sopracuto del duetto con Roland del quarto atto. Nella parte vocale di Esclarmonde scende anche fino al do centrale, ma questi suoni, rispetto al mi che appare come il punto di partenza per le arcate melodiche, sono piuttosto rari. Nel quarto atto, inoltre, Massenet, per evitare forse problemi indotti dalla disomogeneità della voce della cantante e per dare nel contempo maggiore illusione di realtà, scrisse nella sua parte dei recitati ritmici per le parole Donc pour sauver la vie à celui.
Pur non essendo stata la prima interprete di Manon, Sybil Sanderson legò il suo nome anche alla celeberrima eroina di Massenet, alla quale prestò la sua voce in occasione della ripresa dell’opera, sei anni dopo l’ultima rappresentazione, il 12 ottobre del 1891 all’Opéra-Comique. Dopo la prematura scomparsa all’età di 35 anni, nel 1886, in seguito a una fulminante malattia, di Marie Heilbronn, che era stata la prima interprete il 19 gennaio 1884 all’Opéra-Comique, nessun altro soprano, infatti, si era cimentato in questo ruolo. A questa ripresa e al grande soprano americano il numero del 24 ottobre 1891 del settimanale «L’univers illustré» (p. 517), oltre a pubblicare un’illustrazione della Sanderson in prima pagina nelle vesti proprio di Manon, dedicò ampio spazio al suo debutto in questo ruolo. Nella rivista si legge a firma di Fernand Bourgeat, infatti:
“E, malgrado l’eclatante successo ottenuto, nel 1884, da questa opéra-comique adorabile e affascinante, nessuna ripresa era stata fatta da più di sei interi anni. Ciò era dovuto al fatto che Massenet non aveva, dopo la scomparsa della creatrice del ruolo, – la compianta signorina Heilbronn, – scoperto «Manon» degne di succederle.
Questo ostacolo non esiste più. Egli ha trovato, riunite nella persona della signorina Sanderson, tutte le rare seduzioni richieste per la perfetta incarnazione del personaggio dell’abate Prèvost: la bellezza, lo spirito, la grazia, la giovinezza; e tutti questi doni sono messi al servizio del talento compiuto di un’attrice di commedia deliziosa e della voce adorabile di una cantante fuori dall’ordinario.
Il bel ritratto della signorina Sanderson che pubblichiamo in testa a queste pagine, – e che è la fedele riproduzione di una fotografia appositamente scattata per noi dall’abile signor Benque, – ci dispensa d’insistere sulle affascinanti qualità fisiche dell’indimenticabile creatrice di Esclarmonde, diventata la sola, la vera Manon.
Il successo della signorina Sanderson è stato trionfale: le chiamate, le ovazioni, le acclamazioni unanimi di cui è stata l’oggetto in occasione di questa presa di possesso di un ruolo che le si addice bene, hanno definitivamente consacrata «stella di prima grandezza» questa giovane artista così miracolosamente dotata da tutti i punti di vista”.
Più attento agli aspetti musicali di questa ripresa fu Charles Darcours, su «Le Figaro» (13 ottobre 1891 p. 3), il quale, dopo aver affermato che Massenet aveva introdotto soltanto una gavotta con vocalizzi nella scena del Cours-la-Reine, per la verità inserita già nella partitura per le rappresentazioni inglesi della Manon dove a interpretare il ruolo dell’eponima protagonista era stata Marie-Roze, dedicò una parte dell’articolo alla performance della Sanderson, non solo esaltata per la straordinaria estensione della sua voce e per la sua bellezza, ma anche per le sue doti d’interprete che si erano sicuramente col tempo affinate dopo qualche piccola critica a proposito di Esclarmonde:
“Dal primo atto, il successo della signorina Sanderson è stato solido. La bella cantante ci è apparsa più navigata, cantante brillante, fine dicitrice, a momenti attrice da commedia estremamente abile; la sua voce è d’una estensione straordinaria, lei la conduce con una sorprendente sicurezza all’assalto dei passi più ardui; poi nelle scene di carattere espressivo ne trae degli accenti di una dolcezza infinita. Sorridente e curiosa nel primo atto, sognatrice nel secondo, cantante brillante nel terzo, appassionata nella grande scena della chiesa, la signorina Sybil Sanderson non ha cessato di raccogliere applausi ed è stata chiamata più volte in ogni atto”.
Pochissimo spazio è dedicato agli aspetti interpretativi da Louis Fourcaud su «Le Gaulois» (13 ottobre 1891, p. 3). Il giornalista francese, in genere più severo e forse anche più obiettivo nella sue cronache teatrali rispetto ad altri suoi colleghi, dopo essersi chiesto, l’opera ritroverà oggi l’accoglienza che le fu fatta, allorché la signorina Heilbronn ne incarnava il principale ruolo? aggiungeva subito dopo con una certa ironia sulla perfomance esecutiva: Se la signorina Sanderson ha prestato al personaggio di Manon il prestigio della sua eclatante bellezza, il tenore Delmas non aveva altro che la sua buona volontà per mascherare le sue defaillance. Accennando all’indiscussa oggettiva bellezza della Sanderson, Fourcaud sorvola sugli aspetti strettamente musicali della performance quasi a mostrare di non aver apprezzato l’esecuzione nel suo complesso e nei singoli interpreti. ‘
Un giudizio negativo è, invece, espresso da Léon Kerst su «Le Pétit Journal» (13 ottobre 1891 p. 2). Per il giornalista francese, rimasto legato all’interpretazione che ne avevano dato la Heilbronn e Jean-Alexandre Talazac (De Grieux) infatti:
“La ripresa di Manon, benché i due interpreti principali non posseggano gli stessi brillanti mezzi di coloro che ne hanno creato i ruoli, non desta minore curiosità. La signorina Sanderson, evidentemente meno a suo agio che in Esclarmonde, che le era stata tagliata su misura, mostra una Manon piena di grazia e di fascino, il che va bene per l’attrice, quanto alla cantante ella non possiede il tipo di voce che si addice alla parte di soprano scritta da Massenet. Sarebbe stata la migliore Philine che si fosse mai sentita, mentre sembrava smorta in Manon, non essendo capace di rendere abbastanza drammatico il suo delicato organo, fatto per le fini gracilità piuttosto che per il grandi slanci teatrali”.
Positivo è, invece, il giudizio di Arthur Pougin su «Le Ménestrel» (18 ottobre 1891, Ann. 27, n. 42, p. 252): “La signorina Sanderson ha guadagnato forse ancora in bellezza, da quando, per la prima volta, ci è apparsa in Esclarmonde; ha guadagnato certamente in talento. La sua voce ha preso della corposità, dell’uguaglianza, e se l’agilità è sempre la stessa, la frase è più chiara, l’articolazione più morbida, e le note del registro inferiore più piene e più corpose di quanto non lo fossero prima. Ha ottenuto degli accenti molto felici per tutta la durata di questo ruolo così difficile, e il suo successo è stato completo. Ha meritato gli applausi molto calorosi soprattutto per l’aria e per la gavotta del terzo atto, della quale ho già segnalato da parte sua la brillante esecuzione”.