Stabat Mater – Un “Vivaldi Project” all’insegna della contaminazione

Teatro di Casalmaggiore (CR), 9 gennaio 2015 ore 21.00Anteprima nazionale
Se la teatralità della musica di Antonio Vivaldi (Venezia, 1678 – Vienna 1741) e il suo utilizzo nell’ambito della danza è oramai un indiscusso continuum, la lettura di uno dei brani principali della significativa produzione sacra del “prete rosso” appare una sfida non certo irriverente, ma consona alla speculazione culturale di una compagine artistica che ha fatto della “de-costruzione” e della “ri-creazione” il proprio principio fondamentale. Claudio Borgianni e Vincenzo Capezzuto, fondatori del progetto artistico Soqquadro Italiano, operante nel campo dello spettacolo dal vivo con particolare attenzione al Barocco italiano, rispolverato e contaminato in un “caos ordinato” di modernità e tradizione che riesce a interagire straordinariamente con tutte le generazioni di pubblico, portano per la prima volta in scena Stabat Mater – Vivaldi Project al Teatro di Casalmaggiore.
Il risultato del modus operandi del duo Borgianni-Capezzuto è un coinvolgimento talvolta inatteso, dato l’apparente contrasto di idee che una contaminazione di “colori” così lontani nel tempo potrebbe offrire all’immaginazione comune.
L’esperienza in ambito teatrale e musicale di Claudio Borgianni e il talento di un virtuoso nella danza e nel canto quale Vincenzo Capezzuto non potevano non affidarsi, per la trasfigurazione in gesto di musica e parole, a uno dei coreografi più importanti sul piano internazionale − primo italiano a creare per il New York City Ballet e l’Alvin Ailey Dance Company − Mauro Bigonzetti, il cui personalissimo linguaggio sa trovare nel corpo umano uno strumento scrittorio di grande efficacia narrativa ed emozionale. Il tutto in una creazione di immagini plastiche e dinamiche che traducono la musica in una “cinetografia” che rapisce lo sguardo e conquista l’anima.
Una sorta di teatro totale fatto di musica, canto, danza e recitazione che lasciamo descrivere ai tre protagonisti, in una inusuale quanto interessante “autopresentazione” di una vera novità, che abbiamo tentato di rivelare in parte attraverso alcune domande mirate a far emergere motivazioni, pensieri, propositi.
Da Claudio Borgianni, ideatore di questo progetto, alla mente creatrice delle sequenze coreografiche Mauro Bigonzetti e, last but not least, all’interprete unico di quest’opera, Vincenzo Capezzuto. Così è nato Stabat Mater.
Chiediamo allora a Claudio Borgianni: com’è nata l’idea di questo lavoro? Ci parli della genesi del nuovo allestimento.
Il tema del Pianto della Madonna mi ronzava per la testa da molto tempo. Quando Vincenzo Capezzuto ha lanciato l’idea di affrontare lo Stabat Mater di Antonio Vivaldi non me lo sono fatto ripetere due volte e mi sono messo subito al lavoro. L’idea di mettere “a soqquadro” Vivaldi, attraverso lo Stabat Mater, era davvero troppo allettante.
Un breve spot sulla prima, senza troppo svelare né celare. Cosa deve aspettarsi il pubblico?
Stabat Mater – Vivaldi Project potremmo definirlo come una sorta di “opera” o meglio, forse, come uno spettacolo di Teatro musicale in cui danza, canto, recitazione e musica si mescolano organicamente e con naturalezza. La musica di Vivaldi è davvero straordinaria: è, oggi come ieri, talmente vivida che, anche se la si scompone, la si riscrive, la si riduce in frammenti, la si “ri-suona” elettronicamente, non perde affatto riconoscibilità, né la sua insostituibile teatralità. Questi, in definitiva, sono i mezzi che abbiamo scelto di usare per raccontare questa Madre, in un’ottica indubbiamente più spirituale che religiosa.
Mauro Bigonzetti, un grande nome della coreografia internazionale, firma questo lavoro. Sarebbe improprio voler chiedere a un coreografo il significato di un’opera, perché si rischia di banalizzare il tutto. Ci limitiamo pertanto, in attesa di vedere e di udire, a chiederle cosa l’ha affascinato o incuriosito di questo progetto, per cui ha deciso di curarne le coreografie.
Direi principalmente per tre motivi. Innanzitutto, mi ha catturato questa idea di contaminazione “quasi folle”, dove tutti linguaggi della scena si mescolano con raffinatezza e delicatezza. Poi la musica antica, che è una mia grande passione e che spesso utilizzo per le mie creazioni. Infine, ma sicuramente non meno importante, il rapporto di stima che mi lega a Vincenzo Capezzuto: è un artista giovane, ma è come se lo conoscessi da secoli.
Vincenzo ha lavorato con lei in passato interpretando suoi importanti creazioni. Un talento ambivalente quanto può giovare o suggerire nella messa a punto di un nuovo lavoro?
Poter lavorare con un artista con talenti diversi, quale è Vincenzo, non ha eguali per un coreografo, perché il lavoro diventa stimolante, si aprono nuovi orizzonti, nuove possibilità creative ed espressive alle volte assolutamente inaspettate.
Dulcis in fundo, Vincenzo Capezzuto: chi la conosce come danzatore di straordinaria qualità non può che rallegrarsi del suo rientro sulle scene della danza. Cosa l’ha spinto a rimettersi in gioco in tal senso?
Il mio percorso artistico come danzatore non si è mai completamente concluso e credo che mai si concluderà. Non riesco a immaginarmi cantante senza il mio background di danzatore e viceversa, sono due cose inscindibili, che si alimentano a vicenda. Potrei addirittura dire che la danza è stata un’ottima scuola per il canto, poiché mi ha dato una grande consapevolezza e padronanza del mio corpo, che poi è diventato lo “strumento” del canto. E così, nella realtà, non ho mai smesso di danzare.
Da interprete di un lavoro del genere, quali sono le principali emozioni da trasmettere al pubblico in due “lingue” diverse come la danza e il canto?
Questo è un lavoro in cui si mettono in gioco tutte le emozioni che possono albergare in un essere umano. Come interprete, mi servirò dei due linguaggi (tre a dire il vero, perché dovrò cimentarmi anche in un breve passo recitato… speriamo bene!) al massimo delle mie potenzialità, per accompagnare il pubblico in questo spettacolo, che − sono sicuro − riserverà molte sorprese.
Sei domande e sei risposte per pregustare, a parole, la magica illusione di calarsi nella dimensione dell’arte totale, nella ricerca di una spiritualità per lo più dimenticata, ma viva e ruggente nell’animo di chi fa dell’arte la propria voce interiore.