Bologna, Teatro Comunale: “Don Pasquale”

Bologna, Teatro Comunale – Stagione d’opera 2015
“DON PASQUALE”
Opera buffa in tre atti. Libretto di Giovanni Ruffini
Musica di Gaetano Donizetti
Don Pasquale DONG HUY KIM
Dottor Malatesta
ALESSIO VERNA
Ernesto
YASUSHI  WATANABE
Norina
KSENIA TITOVČENKO
Un notaro NICOLÒ DONINI
Mimo DANIELE PALUMBO
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore Giuseppe La Malfa
Maestro del Coro Andrea Faidutti
Regia Gianni Marras
Scene e costumi Davide Amadei
Luci Andrea Oliva
Bologna, 25 febbraio 2015

Prendi un’opera buffa italiana dell’Ottocento, mescolala con quante più suggestioni possibili dalla Commedia all’italiana, imbastisci un impianto scenico vivace e il gioco è fatto. Alla ricetta stavolta si sono attenuti il regista Gianni Marras e lo scenografo/costumista Davide Amadei, insieme per confezionare un nuovo “Don Pasquale” al Teatro Comunale di Bologna. Non c’è pellicola famosa che non venga citata: “Totò, Peppino e la… malafemmina”, la vespa di “Vacanze romane”, una popputa sagoma femminile che strizza l’occhio alla Ekberg di “Boccaccio ‘70”. Se non dai film, si pesca dall’immaginario dell’Italia del boom: il ciuffo di Little Tony, i completi di Jackie Kennedy, Jurij Gagarin, i 45 giri, i fotoromanzi, i fumetti. Tutto trova posto sulla scena, compresi certi attempati coristi che vestiti da ragazzotti “poveri ma belli” fanno un po’ sorridere, ma loro si divertono e noi pure. Un servo di Don Pasquale che non parla (lo scattante mimo Daniele Palumbo) muove l’azione, a volte stucchevole nelle sue mosse da Ridolini ma efficace. Cornice insomma non proprio nuova, ma che ha un indubbio vantaggio: supportare un cast giovane, che viene dalla rinata palestra formativa della Scuola dell’Opera Italiana. Chi più chi meno, questi artisti devono ancora masticare tanto palcoscenico. Quasi a tutti mancano due ingredienti fondamentali per affrontare “Don Pasquale”: il fraseggio peculiare del belcanto italiano e l’autentico sillabato da opera buffa. Non sono mancanze da poco. Ma bisogna ammettere che ogni membro del cast ha qualche freccia al suo arco.
Dong Huy Kim è Don Pasquale: rispetto ad altri artisti orientali ha pronuncia superiore, ma ancora non basta. Il più reattivo in scena, la sua voce di baritono non acchiappa certe note gravi previste dalla partitura e troppo spesso viene sommersa dall’orchestra. Non sempre passa la buca anche la Norina di Ksenia Titovčenko, di timbro un po’ asprigno e non troppo fascinoso, ma spigliata in acuto e in grave, con bel controllo dei fiati, convincente nella cavatina e nel finale. Suo partner amoroso è Yasushi Watanabe, che nasaleggia e stringe troppo, ma ha tutti gli acuti al posto giusto per affrontare il ruolo di Ernesto, irto di piccole e grandi insidie. È forse l’altro baritono della compagnia a fare miglior figura: Alessio Verna non si prodiga certo in grandi finezze interpretative, ma ha dalla sua timbro robusto e gradevole, franchezza d’accenti, bella dizione e in definitiva ha ancora margini per rifinire al meglio il suo ritratto del dottor Malatesta. Onesto anche Nicolò Donini, un notaro qui acconciato alla Groucho Marx. A muovere le leve di un’Orchestra del Comunale in tono minore è Giuseppe La Malfa, braccio energico, che trova sonorità vivaci ma poco preziose e che qua e là appesantisce troppo, a discapito delle voci. Lode a Gabriele Buffi, prima tromba della compagine, a suo perfetto agio nel lungo solo che apre il secondo atto. Sceso il sipario, applausi per tutti, da un pubblico perlopiù nuovo, divertito. Chi nell’opera cerca la realizzazione superiore di certi ideali vocali e scenici è rimasto magari deluso. Chi si accosta al melodramma per la prima volta, ha trovato conforto e forse qualche stimolo per tornare. Ognuno è uscito di teatro con la sua buona dose di ragione. Foto Rocco Casaluci