“Un ballo in maschera” al Teatro Massimo di Palermo

Palermo, Teatro Massimo, Stagione Lirica 2015 
“UN BALLO IN MASCHERA”
Melodramma in tre atti. Libretto di Antonio Somma
Musica di Giuseppe Verdi 
Riccardo ROBERTO ARONICA
Renato GIOVANNI MEONI
Amelia OKSANA DYKA
Ulrica TICHINA VAUGHN
Oscar ZUZANA MARKOVÁ
Silvano NICOLÒ CERIANI
Samuel PAOLO BATTAGLIA
Tom MANRICO SIGNORINI
Un giudice/Un servo d’Amelia COSIMO VASSALLO
Orchestra, Coro e Corpo di Ballo del Teatro Massimo
Direttore Paolo Arrivabeni
Maestro del Coro Piero Monti  
Regia Massimo Gasparon
Coreografia Amedeo Amodio
Scene e costumi Pier Luigi Samaritani
Luci Andrea Borelli
Allestimento del Teatro Regio di Parma
Palermo, 19 maggio 2015     
Applausi a scena aperta per la prima di Un ballo in maschera, proposta al pubblico del Teatro Massimo nello storico allestimento parmense del 1979 di Pier Luigi Samaritani riprogettato dal regista Massimo Gasparon già in occasione del festival Verdi 2011 e per la stagione lirica 2013 del Regio di Parma. Premiato nel 1999 come giovane scenografo emergente proprio da Samaritani, Gasparon esprime la propria vicinanza alla poetica di quest’ultimo, “onirica e altamente melodrammatica, che rifugge ogni forma di rappresentazione realistica e naturale per cercare una sintonia con il vero spirito ottocentesco”. L’opera dunque come prodotto fittizio, come fatto artistico definito e artificiale che non deve quindi essere necessariamente coerente con la realtà.  Questo è il motivo che spinge Gasparon a ‘rispolverare’ le maestose architetture che riempirono le scene del ’79: la luce intellettuale del mondo seicentesco risplende sui grandiosi spaccati architettonici dei palazzi del potere, irradiando i personaggi statuari che affollano la scalinata della scena d’apertura, colorando i drappeggi della tavola imbandita di strumenti musicali dello studio di Renato, evidenziando le tinte eccentriche dei costumi da ballo della scena finale. In opposizione alla luce dell’intelletto e della vita è l’oscurità che regna nelle scene dell’‘abituro dell’indovina’, in cui figure demoniache dai movimenti scomposti alimentano il fuoco infernale che dà voce alla maga, e dell’‘orrido campo’ su cui si apre il secondo atto, un cimitero pervaso dalla nebbia che prende ispirazione da un dipinto di Caspar Friedrich. Ammirevole la cura dei costumi, già ideati da Pier Luigi Samaritani e riportati da Gasparon all’epoca della restaurazione inglese per dare maggiore coerenza stilistica. Ma questa attenzione scenografica non sempre trova corrispondenza nell’efficacia dell’azione drammaturgica. A parte infatti la scena del ballo del terzo atto, spesso si ha l’impressione che l’azione sia fin troppo statica e lontana dal movimento richiesto dalla partitura verdiana, interpretata tuttavia felicemente dal Maestro Paolo Arrivabeni, specialista del repertorio operistico di Verdi e molto attento, nella sua direzione, alla giusta sintonia tra orchestra e cantanti così come ai repentini cambiamenti di atmosfera che percorrono dall’inizio alla fine quest’opera. Parte di questo ‘immobilismo’ è da attribuire indubbiamente ad una certa inerzia scenica ed emotiva di alcuni interpreti che, oltre ad essere dei bravi cantanti, dovrebbero sempre sforzarsi di essere anche dei bravi attori. Il caso più lampante è quello del mezzosoprano Tichina Vaughn, interprete di Ulrica, la cui dizione americana appare troppo marcata e i cui movimenti sul palcoscenico sono difficoltosi e pressoché nulli. Poco sciolta anche il soprano Oksana Dyka, un’Amelia dalla voce potente negli acuti ma troppo fredda e quasi spenta nei recitativi; nonostante gli applausi ricevuti, la Dyka riduce la propria interpretazione dell’aria “Ma dall’arido stelo divulsa” ad un virtuosismo vocale povero di pathos, mostrando una voce nel complesso poco comunicativa, accompagnata da un’interpretazione troppo statica del personaggio e da una dizione non molto chiara. Suo contraltare è rappresentato da un Roberto Aronica già avvezzo al ruolo di Riccardo, molto sicuro sul palcoscenico e ben calato nella sua parte vocale, apprezzabile in tutti i registri e su tutte le velocità d’esecuzione, ad esempio nel ‘Presto assai’ che precede il finale del secondo atto (“Odi tu come fremono cupi”), in cui la Dyka mostra qualche difficoltà a stargli dietro. Un’altra buona riuscita è stata quella del baritono Giovanni Meoni, già Jago nell’Otello della passata stagione lirica palermitana, al suo debutto qui nei panni di Renato; una voce abile nei fraseggi, calda ed espressiva nelle zone gravi, forse un po’ chiusa negli acuti di già difficile interpretazione (“Eri tu che macchiavi quell’anima”). Frizzante e spigliato l’Oscar del soprano Zuzana Marková, giovane interprete verdiana, la cui voce scivola con sicurezza nelle peripezie canore del personaggio en travesti, e la cui grazia francese ricorre per tutta l’opera ad alleggerire il tono tragico della vicenda (“Volta la terrea fronte alle stelle”). Una nota positiva anche agli interpreti Paolo Battaglia e Manrico Signorini, rispettivamente Samuel e Tom dai timbri piacevoli e avvolgenti, che rendono molto efficace il giuramento di vendetta racchiuso nel terzetto del terzo atto insieme a Renato (“Dunque l’onta di tutti sol una”). Non sono da meno Silvano, il marinaio interpretato da Nicolò Ceriani, effervescente baritono che, cantando la propria buona sorte, riesce per un momento a ravvivare l’aria tetra della grotta di Ulrica, e Cosimo Vassallo, apprezzabile soprattutto nella parte del giudice (è anche un servo d’Amelia), mira dello scherno del paggio Oscar. Buona la performance del Coro del Teatro Massimo, diretto da Piero Monti, anche se la sezione maschile avrebbe potuto forse osare di più; ricche e variopinte le coreografie di Amedeo Amodio eseguite dal Corpo di ballo del Teatro Massimo, che si sono potute apprezzare soprattutto nella ‘Festa da ballo’ del terzo atto. Qui hanno giocato un ruolo determinante le luci di Andrea Borelli, conferendo brillantezza ai colori dei costumi degli attori e, allo stesso tempo, un’illuminazione calda ai fondali, in modo da donare risalto ad ogni elemento scenico. Repliche fino al 27 maggio. Foto Franco Lannino & Rosellina Garbo