Gaetano Donizetti (1797 – 1848): “Les Martyrs” (1840)

Opera in quattro atti su testo di Eugene Scribe da Corneille. Michael Spyres (Polyeucte), Joyce El-Khoury (Pauline), David Kempster (Sévére), Brindley Sherrat (Félix), Clive Bayley (Callisthènes), Wynne Evans (Néarque). Opera Rara Chorus, Stephen Harris (Maestro del coro), Orchestra The Age of Enlightenment, Mark Elder (Direttore). Registrazione: Londra, St. Clement’s Church, ottobre / novembre 2014. 3 CD Opera Rara ORC52
Les martyrs” rappresentano un momento fondamentale per la carriera di Donizetti ed in senso più ampio per l’opera italiana. L’entrata in grande stile del compositore bergamasco all’Opéra rappresenta infatti un successo senza precedenti perché, se è vero che Rossini aveva dato un contributo fondamentale alla codificazione del grand-opéra, nessun compositore italiano era successivamente salito su quella ribalta ormai monopolizzata da Meeyerber e Halévy.
Donizetti da tempo puntava a quel palcoscenico – il “Marin Falliero” al Theatre des Italiens aveva rappresentato un primo assaggio del pubblico parigino già rivolto a più prestigiose platee – e la scelta non poteva che ricadere su un rifacimento di quel “Poliuto” composto per Napoli nel 1838 ma già pensato di fatto con l’obbiettivo di conquistare Parigi. La scelta della tragedia di Corneille, la cui tematica sacra avrebbe facilmente avuto problemi con la censura napoletana come infatti regolarmente avvenne, e la stretta collaborazione con Nourrit sembrano infatti già indicare un percorso destinato naturalmente a Parigi e confermato da una lettera a Mayr dell’8 aprile 1839 in cui Donizetti afferma apertamente di partire per Parigi con un’opera già pronta per l’occasione.
L’opera, che va in scena il 10 aprile 1840, presenta significative differenze rispetto all’originale napoletano. I tre atti dell’originale di Cammarano vengono portati a quattro da Scribe; il drammaturgo francese modifica radicalmente molti punti della vicenda, in quanto gli affetti privati passano in parte in secondo piano – scompare ad esempio il tema della gelosia di Poliuto – mentre centrale diventa lo scontro fra i due gruppi che è soprattutto scontro fra le due fedi per altro non giudicate eticamente ma solo come elementi di contrapposizione. Alcune dinamiche riprendono gli schemi già applicati ne “Les Huguenots” come il ruolo centrale del padre dell’eroina nell’accelerare la catastrofe – Félix ha al riguardo un peso infinitamente maggiore del Felice italiano e ricorda piuttosto il Conte di Saint-Bris – oppure la scelta del sacrificio di Pauline che decide di farsi cristiana pur di seguire l’amato nella morte come aveva già fatto la cattolica Valentine nei riguardi del protestante Raoul. Particolarmente interessante la totale trasformazione del finale, dove al posto della scena del carcere della versione italiana abbiamo un’altra più ampia ambientata nell’anfiteatro con la comparsa fra le vittime di Pauline e il generale sgomento di tutti i presenti eccetto Félix la cui freddezza di fronte alla commozione di Sévère contribuisce ancor di più a farne l’elemento scatenante del dramma.
Musicalmente l’opera si arricchisce ulteriormente rispetto all’originale napoletano che pure già presentava un’attenzione alla scrittura orchestrale decisamente maggiore per gli standard italiani del tempo. Nel passare a Parigi questa cura cresce ulteriormente; secondo il gusto francese le sonorità orchestrali si fanno più ricche e raffinate e l’uso di richiami tematici già presente nella prima versione viene ulteriormente arricchito e approfondito: si veda il tema del martirio introdotto nel coro fuori scena del preludio “O Dieu tutelaire” che ritorna ciclicamente fino a diventare lo spunto su cui si costruisce tutto il nuovo grande finale. Vengono aggiunti diversi nuovi numeri e, se in alcuni appare evidente la necessità di adattarsi al gusto parigino – i ballabili sono al riguardo alquanto di maniera –, altrove è evidente l’evoluzione musicale e teatrale che l’autore ha presente. Oltre ad un’aria solistica per Félix si possono ricordare la nuova concezione della cabaletta di Sévère trasformata nel nucleo generatore del finale II, la nuova grande aria del III atto per Polyeucte “Mon seul trésor…Oui, j’irai dans le templi” chiusa da una vertiginosa puntatura al Do acuto in falsettone pensata appositamente per le doti di Nourrit, il grande terzetto del IV atto che sostituisce l’aria di Callistene.
Giunge quindi particolarmente gradita questa nuova registrazione dell’etichetta Opera Rara che di questa fondamentale opera offre una lettura magari non perfetta ma almeno decisamente attendibile e capace di far emergere la qualità di una delle migliori partiture donizettiane fino ad oggi documentata solo da registrazioni decisamente approssimative.
Registrata a Londra alla fine del 2014 vede Mark Elder alla guida della Orchestra of the Age of Englihtemment. Il maestro inglese offre una direzione molto teatrale, a tratto fin troppo irruenta che da un certo punto di vista tende a sonorità da primo Verdi. Fortunatamente la presenza di un’orchestra specializzata nel repertorio classico e protoromanico contribuisce a smorzare certi eccessi e nell’insieme la prova riesce a rendere in modo più che soddisfacente lo spirito del’opera.
La compagnia di canto è  decisamente buona. Nella parte del protagonista Michael Spyres è chiamato a confrontarsi con un ruolo micidiale per lunghezza e impegno, pensato sulle doti non comuni di Nourrit. Il tenore americano se da un lato non un timbro di particolare fascino e anche sul piano tecnico non è sempre un modello di ortodossia, presenta una incontestabile personalità e senso dello stile: La sua voce è solida e robusta, gli acuti sicuri – sul Do di “Oui, j’irai dans le templi” tende forse a sbiancarsi ma è una nota estrema e comunque presa con sicurezza – cosicché la costruzione complessiva del personaggio risulti comunque riuscita. Joyce El-Khoury è quasi sicuramente il punto di forza di questa incisione. La cantante già apprezzata nel “Belisario” conferma qui le ottime impressioni fatte in quell’occasione. La voce è decisamente rilevante per volume e proiezione e caratterizzata da un colore decisamente seducente, morbido e intensamente femminile. L’ampiezza e la nobiltà della cavata emergono pienamente in brani dall’andamento aulico come la cavatina “Qu’ici ta main glacée” ma riesce a risolvere bene anche i rapidi passaggi d’agilità di “Sévère existe!…Un dieu sauveur” tanto più rilevanti per una voce così corposa. Molto compiuto anche il dato espressivo e si vedano al riguardo i duetti con Polyeucte e Sévère in cui appare particolarmente convincente e quasi prevalente rispetto alle controparti maschili. David Kempster è un Sévére corretto e musicale ma di limitata personalità; la sua voce, pur gradevole, manca del bronzo di un autentico baritono eroico – l’aria del II atto è di fatto identica a quella del “Poliuto” italiano il che lo espone a troppo pesanti confronti – mentre nel duetto con Pauline risulta fin troppo intimidito nei confronti dell’impeto della donna. Brindley Sherrat è un Félix di notevole solidità vocale e dal timbro ricco e corposo anche se si nota qualche difficoltà negli acuti di “Mort à ces infâmes”. Efficaci sia il Callisthénes di Clive Bayley sia il Néarque di Wynne Evans e nel complesso positiva la prova del coro.