Gioachino Rossini (1792 – 1868): “Semiramide”

Melodramma tragico in due atti su libretto di Gaetano Rossi da Voltaire. Myrtò Papatanasiu (Semiramide), Ann Hallenberg (Arsace), Josef Wagner (Assur), Robert McPherson (Idreno), Igor Bakan (Oroe), Julianne Gearhart (Azema), Eduardo Santamaria (Mitrane), Charles Dekeyser (L’ombra di Nino). Symphony orchestra and Chorus of the Vlaamse Opera Antwero/Gent, Yannis Pouspourikas (Maestro del coro), Alberto Zedda (direttore), Nigel Lowery (Regia, scene e costumi). Registrazione: Gennaio 2011 3 DVD Dynamic.
Semiramide” è più di una comune opera lirica, in quanto è in qualche modo la summa di una stagione unica e irripetibile della cultura europea, la perfetta sintesi di virtuosismo belcantista ancora di matrice tardo-barocca e di assoluta purezza neoclassica, quasi un sigillo conclusivo su una civiltà – anche ma non solo musicale – ormai prossima ad estinguersi nel nuovo bisogno di urgenza espressiva che l’Europa della stagione napoleonica e post-napoleonica stava vivendo e che avrebbe trovato espressione nella cultura romantica. Rossini con quell’indole profetica che in qualche modo l’aveva sempre contraddistinto dà con “Semiramide” il sigillo sommo e conclusivo di quel mondo.
Opera archetipica ma proprio per questo incompatibile con la routine, terreno perfetto di esaltazione per talenti sublimi ma trappola mortale per i mediocri che osano avventurarvi il piede, Semiramide comporta dei rischi sul piano interpretativo nei quali cade purtroppo questa nuova registrazione video – registrata nel 2001 a Ghent.
Alla guida dei complessi belgi Alberto Zedda riesce in qualche modo a trasmettere tutta la passione e tutta la conoscenza che ha di questo repertorio ma come spesso accade nelle sue interpretazioni la realizzazione non è al medesimo livello delle idee stesse dal momento che manca in lui la scintilla del grande direttore a fianco di quella del grande musicologo. Così le suggestioni che si sentono fremere non riescono mai ad esprimersi a pieno tanto più con complessi sia orchestrali che corali che non fanno della precisione musicale e del rigore stilistico il loro tratto migliore.
Il cast poi non è esente da pecche. Nel ruolo della protagonista Myrtò Papatanasiu canta con gusto e proprietà; la voce è piacevole – specie nel settore medio mentre in acuto tende a perdere un po’ di consistenza e omogeneità – la linea di canto elegante, le colorature corrette anche se non trascendentali così che almeno i passaggi più lirici risultano comunque godibili. Di contro il grande declamato che apre il finale I mostra la mancanza di peso specifico. Nel complesso l’intepretazione della Papatanasiu non fa emergere una personalità regale (la regia non ha di certo aiutato) e la  lettura si risolve in una pur corretta genericità che della gigantesca regina assira è forse la più assoluta antitesi.
Di gran lunga l’elemento migliore del cast – l’Arsace di Ann Hallenberg; se la voce della cantante svedese è più adatta al barocco che all’opera dell’Ottocento – e in molti punti si sarebbe gradito un maggior peso vocale – la classe della grande cantante emerge in ogni caso con colorature nitide e pulitissime, linea di canto compatta e omogenea, ottimo senso dello stile. Un’esecuzione che anche per la sua particolarità rispetto a quelle delle autentiche specialiste rossiniane è degna di nota.
Purtroppo il settore maschile è quello più deficitario: l’Assur di Josef Wagner non solo ha una voce anonima e grigiastra priva di fascino ma manca di qualunque senso dello stile e se i rapidi passaggi di coloratura del declamato della sua aria del secondo atto in qualche modo appaiono risolti, i duetti con Semiramide e Arsace lo vedono inevitabilmente messo alle corde. Non si migliora di certo con l’Idreno del tenore Robert McPherson, dalla voce esangue e biancastra, priva di corpo e insicura sugli acuti schiacciato  da una  delle più impervie tessiture tenorili concepite da Rossini.
Bravo il Mitrane di Carlos Santamaria vocalmente molto più presente di McPherson; corretta l’Azema di Julianne Gearhart mentre modesti tanto l’Oroe di Igor Bakan quanto l’ombra di Nino di Charles Dekeyser.
La parte visiva firmata in tutte le componenti da Nigel Lowery è un “perfetto” esempio dello straniamento visivo del “teatro di regia” nord-europeo fatto per di più nel segno del risparmio. La scena è una sorta di scatola vuota su cui sono proiettate – in modo neppure troppo nitido – immagini di un palazzo devastato dai bombardamenti che qualche scritta in caratteri arabi ci attesta essere in Medio Oriente; l’arredo scenico si limita a qualche sedia, a scatole di cartone continuamente mosse dal caso, dal coro e ad una cassa di legno come tomba di Nino salvo il finale dove ci viene mostrato l’interno della tomba con il fantasma comodamente seduto di fronte al caminetto acceso. Poco aggiungono i costumi, decisamente banali: Semiramide è una diva patinata ed eroinomane in abiti da party hollywoodiano mentre Arsace in quanto scita veste il tradizionale pastrano che al momento del riconoscimento come Ninia sostituisce con un banale completo scuro; orribile il maglioncino senape di Assur mentre il coro e i personaggi minori si limitano a semplici completi giacca e cravatta con unico tratto orientale, il fez che li fa somigliare a camerieri turchi fra le due guerre. Inguardabile l’ombra di Nino trasformata in un non morto da B movie horror.
L’aspetto propriamente registico poi non aggiunge nulla: nell’insieme è tutto fin troppo statico e scontato mentre i tentativi di dare maggior brio alla vicenda si riducono a trovate estemporanee e spesso fuori stile con pericolosi slittamenti verso atteggiamenti o soluzioni molto più in linea con l’opera buffa che con la tragedia classica: si vedano la riduzione di Oroe a macchietta, la recitazione durante il duetto fra Arsace ed Assur molto più consona ai duetti buffi de “La cenerentola” o de “Il turco in Italia” che all’alto scontro politico e umano previsto presente nel testo e nella musica o ancora la scena di Azema impacchettata da Idreno per portarla via con maggior comodità. Altre soluzioni, infine, lasciano perplessi come lo sdoppiamento fra l’Ombra di Nino recitata e quella cantata.