Modena, Teatro Comunale: “Nabucco”

Teatro Comunale “Luciano Pavarotti”, Stagione d’opera 2015/2016
“NABUCCO”
Dramma lirico in quattro parti. Libretto di Temistocle Solera
Musica di Giuseppe Verdi
Nabucco CARLOS ALMAGUER
Ismaele
LEONARDO GRAMEGNA
Zaccaria
MATTIA DENTI
Abigaille
MARIA BILLERI
Fenena
ELISA BARBERO
Il gran sacerdote di Belo
PAOLO BATTAGLIA
Abdallo
ROBERTO CARLI
Anna
ALICE MOLINARI
Orchestra dell’Opera Italiana
Coro della Fondazione Teatro Comunale di Modena e del Teatro Municipale di Piacenza
Direttore Aldo Sisillo
Maestro del Coro Stefano Colò
Regia e scene Stefano Monti
Elementi scenici dello scultore Vincenzo Balena
Costumi Massimo Carlotto
Luci Nevio Cavina
Coproduzione Fondazione Teatro Comunale di Modena, Fondazione Pergolesi Spontini di Jesi, Fondazione Teatri di Piacenza. Allestimento dell’Ópera de Tenerife- Auditorio “Adán Martín”
Modena, 7 ottobre 2015
Sembravano passati i tempi in cui Verdi si risolveva soprattutto con voci grandi e non troppo interessate alle finezze che quella musica e quel teatro reclamano. Invece la tentazione di tornare agli antichi vezzi è sempre viva, almeno a giudicare dal “Nabucco” che ha aperto la stagione d’opera del Teatro “Pavarotti” di Modena. Non che qua e là manchino buoni elementi: ma la tendenza è quella di una gara all’ultimo decibel. Si parta dal protagonista: Carlos Almaguer, baritono messicano, di mezzi davvero poderosi, ma vociferante e troppo generico nel fraseggio. Protervo al suo ingresso in scena, si rivela assai noioso nel duetto con Abigaille e nell’aria del quarto atto. Non parliamo di Leonardo Gramegna, Ismaele torrenziale, poco raffinato e dall’intonazione assai dubbia nel terzetto del primo atto. Se la Fenena di Elisa Barbero è corretta (un’oasi di mezze voci e di canto legato il suo arioso nel quarto atto), lo stesso non si può dire dell’Abigaille di Maria Billeri, forse non in serata. Il suo  cospicuo strumento vocale pare abbia perso di smalto, soprattutto negli acuti instabili e nelle agilità faticose della cabaletta. È innegabile un notevole temperamento di cantante-attrice, che le vale meritati applausi. Corretto, seppure un po’ grigio, lo Zaccaria di Mattia Denti: sottotono nella sua sortita, regala un’esecuzione morbida, gradevole di “Tu sul labbro dei veggenti”. Dignitosi gli altri della compagnia di canto, dal Sacerdote di Paolo Battaglia all’Abdallo di Roberto Carli, fino all’Anna di Alice Molinari.
Certo la regia di Stefano Monti (che curava anche le scene) non aiutava, nel suo indulgere alla staticità e a movimenti didascalici: gli Ebrei mani all’aria ad invocare il Dio di Giuda, oppure strapazzati dagli Assiri cattivi, oppure chini e avviliti. Nessuno scavo psicologico dei personaggi principali, che restano stilizzati, impacciati su una scena fatta di alti pannelli rotanti, muri petrosi scavati dal vento quasi fossero dune, a lasciar intravedere fregi babilonesi o mascheroni arcaici pensati dallo scultore Vincenzo Balena (gli idoli di Belo? i fantasmi che popolano la mente di Nabucco? chissà).
In linea con l’impianto scenico i costumi di Massimo Carlotto, di fattura semplice, qualitativamente modesti (decisamente brutto il vestaglione verde con cui Nabucco si presenta demente ad Abigaille). In buca Aldo Sisillo stacchi tempi spesso illogici, perlopiù frettolosi. L’Orchestra dell’Opera Italiana reagisce a sangue freddo: è il palcoscenico a rischiare di andar per aria, soprattutto nelle strette dei concertati. Quasi un valzer la cavatina di Zaccaria. Ottoni in evidenza (almeno sono bravi), fraseggio strumentale non troppo curato. Alla fine applausi per tutti, mentre il Coro, quello onestissimo della Fondazione Teatro Comunale di Modena e del Teatro Municipale di Piacenza, batte a tempo le assire lance.