In memoriam di Pierre Boulez (1925 – 2016). “Le visage nuptial”, “Le marteau sans maître”, “Le soleil des eaux”

Il 5 gennaio 2016 è scomparso Pierre Boulez, una delle più grande personalità artistiche della storia della musica. La redazione di Gbopera ritiene opportuno ricordare il grande compositore e direttore d’orchestra con le note esplicative di tre suoi grandi capolavori: “Le visage nuptial”, “Le marteau sans maître” e “Le soleil des eaux”, che formano la coasiddetta trilogia su testi di René Char.
Le visage nuptial per soprano, contralto, coro femminile e orchestra
Conduite, Gravité (L’emmuré), Le visage nuptial, Evadne, Post-Scriptum
Durata: 31’ca

Iniziata come lavoro per musica da camera nel 1946, la cantata Le visage nuptial raggiunse la sua versione definitiva per soprano, contralto, coro femminile e grande orchestra solo nel 1989 dopo una serie di ritocchi e rielaborazioni tra cui quella del 1951-52. La cantata, eseguita per la prima volta il 4 dicembre 1957 in una versione intermedia per l’inaugurazione della Großes Haus della Staatsoper di Colonia sotto la direzione di Boulez, fu poi ripresa nella versione definitiva il 16 settembre 1989 a Metz. Il lavoro, che fa parte della famosa trilogia, comprende cinque canzoni su testi di René Char, poeta preferito da Boulez per la sua schematicità ed essenza, come ebbe modo di chiarire il compositore in un’intervista rilasciata a Celéstin de Liège:
“Quel che mi ha colpito nella poesia di Char quando l’ho scoperta (fine 1945 o 1946), è prima di tutto la sua condensazione [è come se lei scoprisse una silice tagliata, una specie di violenza contenuta, non una violenza con molti gesti, ma interiore e concentrata su di un’espressione tesa. È la prima cosa che mi ha colpito in lui ed è ancora ciò che mi colpisce. Quello che mi attira maggiormente in Char è il potere di radunare in una espressione estremamente concisa il suo universo, di lanciarlo e di sospingerlo molto lontano]. Anche sotto un altro aspetto. Dato che la mia concezione della messa in musica di un poema non ha molto a che vedere con la concezione abituale, ho trovato che la concentrazione della parola, in Char, era di grande aiuto. Se un testo è troppo diffuso, il tempo si distende talmente che la musica non ha più alcuna ragione d’essere in rapporto al tempo. Al contrario nella poesia di Char, in cui il tempo è estremamente concentrato, la musica non dilata questo tempo, ma ha la possibilità di innestarvisi sopra. Questa poesia non respinge la musica, al contrario, la chiede”.
Avendo considerato superata la concezione musicale di Schönberg nel saggio Schönberg è morto, le idee del compositore austriaco emergono nella Trilogia di Char e, in particolar modo, in questa cantata dove vi è un’alternanza tra il legato delle arie e i recitativi secondo il principio dello Sprechstimme utilizzato da Schönberg nel Pierrot Lunaire. In realtà Boulez, la cui formazione musicale risentiva dell’influsso di Webern per quanto riguarda la sintassi e l’estetica, in questo lavoro si accostò sempre più a Berg per sua stessa ammissione. Inoltre in questo lavoro di concentrata bellezza appare la sua sensibilità avanguardista in modo lussureggiante e originale.
Le marteau sans maître per contralto e sei strumenti (versi di René Char)
“L’artisanat furieux” – Commentaire I de “Bourreaux de solitude” – Avant “L’artisanat furieux” – Commentaire II de “Bourreaux de solitude”- “Bel édifice et les presentiments”, version première – “Bourreaux de solitude”- Après “L’artisanat furieux”- Commentaire III de “Bourreaux de solitude” -“Bel édifice et les presentiments”, double.
Durata: 35’

Anche per Le marteau sans maître, composto tra il 1953 e il 1954, Boulez utilizzò poesie di Char, ma scelse quelle più brevi rispetto a Le visage nuptial come egli stesso dichiarò nell’intervista a Célestin de Liège:
“Nel Visage nuptial il testo è lungo, mentre per Le marteau sans maître, al contrario, ho preso le poesie più corte, poche righe, ma che mi permettessero di avere tutt’un’altra concezione del rapporto tra poesia e musica, non più semplicemente un’attività fra poesia e musica, ma un innesto in cui la musica e la poesia mantengono, fino a un certo punto, la loro indipendenza”.
Le marteau sans maître, eseguito al Festival della Società Internazionale di Musica Contemporanea il 18 giugno 1955 a Baden-Baden sotto la direzione di Hans Rosbaud dedicatario della partitura, ebbe un discreto successo al quale contribuirono probabilmente i particolari effetti sonori realizzati con un organico strumentale atipico rispetto alle tradizionali orchestre cameristiche. In questo lavoro, ispirato, in parte, al Pierrot Lunaire Schönberg e scritto per soprano o contralto e un gruppo da camera con la cantante che si esibisce solo in alcuni del nove movimenti, sono musicate tre poesie L’artisanat furieux, Bourreaux de solitude e Bel édifice et les presentiments, ciascuna delle quali è caratterizzata da una diversa combinazione degli strumenti. Pur ispirandosi a Schönberg che nel Pierrot Lunaire usò l’intero organico solo alla fine, questo lavoro è molto più complesso e presenta un alone di mistero e una particolare sensazione che non ha precedenti nella musica occidentale. In quest’opera, che mostra una certa libertà nei confronti del testo poetico, si assiste ad una grande varietà di situazioni; passi di grande dolcezza si contrappongono, infatti, a scatti nervosi, mentre altri caratterizzati da una scrittura più densa si alternano ad altri in cui il tessuto sonoro è più rarefatto.
Le soleil des eaux per soprano, coro e orchestra
Complainte du Lézard amoureux – La Sorgue. Chanson pour Yvonne
Durata: 10’ca

Iniziato nel 1948, Le soleil des eaux apparve nel 1965 dopo vari rimaneggiamenti con tagli e aggiunte tra cui due Onde Martenot nella sua versione definitiva. Il lavoro, tratto da frammenti di musica di scena sparsi per un lavoro radiofonico di René Char, è diviso in due parti Complainte du Lézard amoureux e La sorgue ed è composto per grande orchestra, soprano solista e coro misto. Il lavoro ha contenuti politici dal momento che il protagonista è un pescatore che lotta contro lo sviluppo commerciale di un fiume; d’altra parte in quel periodo Boulez condivideva con Char gli stessi ideali: erano dei radicali tanto che Boulez definiva se stesso leninista al 110 per cento e Char era stato attivo durante la resistenza francese. A Célestin de Liège il quale gli fece rivelare che, a differenza delle altre due opere della trilogia, Le marteau sans maître e Le visage nuptial, Le soleil des eaux permetteva la comprensione del testo letterario grazie al recitativo e al canto, Boulez rispose:
“La mia ottica era differente. Il fatto che la musica non sia stata scritta in relazione diretta con la poesia, non credo abbia avuto una grande influenza. Effettivamente il primo pezzo, questa monodia inframmezzata da interventi orchestrali, è stata composta in due stadi completamente differenti: la monodia è stata composta per se stessa, per essere cantata nell’adattamento radiofonico dell’opera; ma non è mai stata cantata integralmente perché era troppo lunga. Il poema che Char mi aveva dato era ancora inedito. L’avevo concepito per voce sola e avevo pensato che sarebbe stato interessante non cercare di trovare un accompagnamento ma articolare il testo con interiezioni, inflessioni, paesaggi, deformazioni, esperienze che avevo tratto da un certo tipo di musica di scena. Queste interiezioni sono molto differenti e molto omogenee, non hanno niente a che vedere le une con le altre, ma sono, al contrario, di carattere molto opposto. Il pezzo è insomma concepito come un’antifonia tra due cose esistenti e le loro possibilità di congiunzione. È una specie di collage funzionale, in cui i punti di articolazione della linea melodica determinano le interiezioni dell’orchestra. È evidente che non c’è ragione perché non si comprenda il testo se la cantante articola: è fatto per essere un testo continuo e detto in un modo molto semplice. Ma, d’altra parte, il secondo movimento è già più complesso. Ho aggiunto dei passaggi orchestrali che ho concatenato in un modo molto più serrato, perché i differenti sviluppi dell’orchestra sono veramente organici: si articolano gli uni in rapporto agli altri e creano una forma. Questa forma l’ho integrata stavolta nel poema; cioè, contrariamente al primo poema per il quale la linea melodica era stata scritta prima, nel secondo poema le linee melodiche sono state composte in base all’organizzazione dell’orchestra. Tutto il coro è stato aggiunto e si integra completamente nella struttura orchestrale. Non esiste praticamente struttura corale autonoma. Quando ho lavorato alla versione definitiva, ho utilizzato questa ambiguità di un testo detto o collettivamente o individualmente. Ho utilizzato moltissimo questo rapporto dell’enunciazione collettiva e individuale, fondamentale nella mia concezione dell’adattamento di un testo. Bisogna riconoscere, come ho indicato nella citazione di Char che serve di prefazione all’opera che questi due testi rappresentano una versione amabile e alquanto libera dell’angoscia, della violenza o anche della costrizione del linguaggio. Nell’opera di Char questi poemi sono molto semplici; non c’era dunque motivo di fare una musica straordinariamente complessa in rapporto ai testi che richiedevano per loro natura una evidenziazione semplice”.
L’opera presenta una scrittura polifonica molto complessa e subordinata all’armonia, mentre la serie è utilizzata non tanto nella sua struttura orizzontale, quando come fondamento della struttura armonica che presenta una parte preponderante rispetto alla melodia.