Shakespeare in musica: “The Fairy Queen” di Henry Purcell

Considerato il più grande drammaturgo di tutti i tempi, William Shakespeare ha ispirato con la sua produzione teatrale tantissimi lavori musicali. In occasione del quattrocentesimo anniversario della morte, avvenuta a Stratford-upon-Avon il 23 aprile 1616, Gbopera intende proporre una serie di guide all’ascolto delle opere più e meno note ispirate dalla produzione del grande drammaturgo inglese.
Tratta dalla commedia di Shakespeare A Midsummer Night’s Dream e rappresentata per la prima volta il 2 maggio 1692 al Queen’s Theatre Dorset Garden di Londra, The fairy Queen di Purcell fu composta in un periodo di rinnovato fervore teatrale determinato dal ritorno sul trono inglese della dinastia Stuart con Carlo II che aveva riaperto i teatri dopo la loro chiusura sotto la dittatura militare di Oliver Cromwell. Durante il regno di Carlo II furono, infatti, autorizzate due compagnie teatrali guidate, rispettivamente, dall’attore Thomas Killigrew e dall’autore teatrale William Davenant che decisero di riprendere le opere dei drammaturghi che avevano operato sotto i regni di Giacomo I e Carlo I Stuart; tra gli autori maggiormente rappresentati ci fu naturalmente Shakespeare le cui opere vennero riprese con notevoli modifiche dettate soprattutto dal gusto del pubblico estremamente più raffinato. Oltre alla sostituzione di parole o versi volgari con altri interamente riscritti in modo da rendere più chiaro il messaggio morale e agli adattamenti dovuti al fatto che le parti femminili, recitate da ragazzi all’epoca di Shakespeare, erano affidate a delle attrici professioniste, fu aggiunta moltissima musica al punto che nel 1690 non era infrequente trovare lavori teatrali in cui la musica strumentale, il canto e la danza occupassero ben due ore della recita rendendola simile alle opere italiane. In questi lavori teatrali l’azione era però delineata nelle parti recitate affidate ad attori professionisti, mentre il canto era limitato a personaggi secondari come divinità o sacerdoti. Essendo scritti metà in prosa e metà in musica, questi spettacoli vennero definiti semi-opera dal musicologo inglese Roger North il quale rintracciava in essi un difetto abbastanza evidente dal momento che c’erano:
“Alcuni che volevano vedere lo spettacolo, e detestavano la musica ed altri che erano estremamente desiderosi di sentire la musica e non potevano sopportare le interruzioni causate dai dialoghi”.
In effetti le parti recitate e quelle cantate potevano essere fruite separatamente dando vita a due spettacoli distinti, tanto che le sezioni musicali, sin dal 1690, venivano eseguite nelle stagioni concertistiche, anche perché in origine le parti musicali, scritte per quartetto d’archi, erano fondamentalmente strumentali, come si può notare nella partitura di The tempest di Matthew Locke tratta sempre da Shakespeare che fu molto probabilmente una delle fonti d’ispirazione di The fairy queen e delle altre semi-opera di Purcell che gli valsero il titolo di Orfeo Britannico.
Lavoro musicalmente ricco di canti, le cui melodie presentano delle caratteristiche che le accomuna alle danze, di episodi solistici di carattere declamatorio particolarmente raffinati, di cori e di danze, The fairy queen è il frutto di una lunga elaborazione, dal momento che in occasione della prima esecuzione non era prevista alcuna parte musicale nel primo atto. Proprio l’enorme successo della prima indusse Purcell ad aggiungere la scena del poeta ubriaco e altri due songs Ye gentle spirits of the air e The Plaint. Autentico capolavoro, The Fairy queen si presenta estremamente originale anche per quanto attiene al contenuto tanto che il direttore d’orchestra e musicologo inglese John Eliot Gardiner ha affermato:
“È perfettamente possibile che chiunque ascolti per la prima volta The fairy queen non si renda assolutamente conto che l’opera si basi su A Midsummer Night’s Dream di Shakespeare. La relazione tra l’una e l’altra è in effetti equivalente a quella esistente tra la versione cinematografica di una commedia musicale del XX secolo e la sua sceneggiatura, possiamo dire tra West side story e Romeo e Giulietta”.
Una mano ignota, presumibilmente quella di Thomas Butterton, l’impresario del Dorset Garden Theatre con il quale Purcell collaborò spesso, aveva scritto il libretto che intrattiene con la commedia di Shakespeare una relazione esclusivamente metaforica contribuendo al suo fascino.
Il masque e il libretto
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Il masque si apre con una suite di danze estremamente varie e originali per l’invenzione melodica e per gli andamenti contrastanti. Le prime tre presentano un carattere disinvolto che si trasforma in languore nella quarta, un rondò nello stile francese. Nello stile francese è anche la vera e propria ouverture, una pagina di carattere eroico per la presenza delle trombe, ma assolutamente aliena da quella grandezza artificiosa che caratterizza certe pagine di Lully. In essa, invece, è possibile notare una scrittura armonica estremamente raffinata.
Del primo masque dell’atto primo, che segue immediatamente la scena in cui Titania e Oberon hanno discusso della possibilità di adottare un fanciullo indiano, sono protagonisti due fate, le quali, scortando sia il fanciullo indiano che Titania, esaltano la vita campestre nella canzone Come, come, come, let us leave the Town (Venite, venite, venite, lasciamo la città). Sono interrotti da un poeta ubriaco la cui parte vocale è resa icasticamente con una scrittura singhiozzante (Fill up the BowlRiempite la coppa); il suo ingresso costituisce l’occasione per una raffinata scena di vaudeville e per un serie di scherzi che vengono rappresentati con una straordinaria varietà musicale favorita anche dal testo di carattere allitterante e pieno di anafore nella migliore tradizione della poesia inglese. Di grande effetto è la rappresentazione del personaggio del poeta ubriaco che, secondo alcuni studiosi, sarebbe una caricatura di Thomas d’Urfey, spesso collaboratore di Purcell, che aspirava a conseguire l’alloro poetico.
Collocato dopo la scena del secondo atto in cui Oberon ha ordinato a Puck di ungere gli occhi di Demetrio con un succo d’amore, il secondo masque è costituito musicalmente da un preludio ed aria del tenore; si tratta di un’invocazione agli uccelli la cui voce è onomatopeicamente rappresentata da un flauto dolce e non dai violini. Dopo un breve coro, Titania si prepara per il riposo notturno e la scena si carica di significati allegorici con la Notte, il Segreto, il Mistero e il Sonno che intonano un proprio canto caratteristico. Particolarmente raffinata è l’orchestrazione che introduce l’ingresso della Notte con gli archi con sordina e i contrabbassi che tacciono. Furtiva è la breve aria del Mistero, I am come to lock all fas (Sono venuto per chiudere tutto per bene), mentre quella del Segreto, introdotta da due flauti dolci, è insinuante nell’affermazione malinconica One charming Night / Gives more delight, / Than a hundred lucky Days. (Una incantevole notte / dà più diletto / di cento giorni felici). Di grande fascino è l’aria del sonno Hush, no more, be silent all (Shhh, basta, fate tutti silenzio) che invita tutti a fare silenzio.
Dopo un intermezzo strumentale, che nelle opere di Purcell serve a coprire i rumori dei cambi di scena particolarmente fastidiosi, Titania, nel Terzo atto, si scopre innamorata di Bottom ed ordina che venga eseguita una musica dolce. Una ninfa, allora, intona una languida canzone d’amore, If Love’s a Sweet Passion, why does it torment? (Se l’amore è una dolce passione, perché dà tormento?), seguita da una suite di danze contrastanti tra di loro. All’energica danza dei selvaggi segue quella elegante dei cigni e degli elfi. Alla fine della scena Titania e Bottom sono intrattenuti da Coridone che corteggia Mopsa, mentre una ninfa canta una forma di ballata When I have often heard young Maids complaining (Ogni volta che ho sentito giovani fanciulle lamentatrsi) nella quale confessa di aver ceduto all’amore.
Per coprire il cambio di scena all’inizio del Quarto atto, è introdotta da Purcell una sinfonia, costituita da 6 brevi movimenti, tra i quali spiccano due splendidi Adagio, di carattere elegiaco il primo, ed estremamente intenso il secondo. Una volta addormentati Titania e Bottom, entrano Oberon e Robin-Good-Fellow, poi Lisandro e Elena, Demetrio ed Ermia. Viene rappresentato un adattamento del terzo atto di Shakespeare, fino a quando i quattro innamorati si addormentano. Oberon, dopo aver svegliato Titania e Robin-Good-Fellow, toglie a Botton la testa d’asino e trasforma la scena in un giardino ricco di fontane e giochi d’acqua. Qui viene festeggiato il compleanno di Oberon con una pantomima a cui partecipano le Stagioni e Febo, che appare dalle nuvole su un carro tirato da quattro cavalli. La sua parte musicalmente grandiosa, costituita dalla canzone, When a Cruel long Winter has frozen the Earth (Quando un crudele inverno ha gelato la terra), precede l’ingresso quasi in una cerimonia delle quattro stagioni che intonano delle brevi canzoni e concludono il masque.
Quello del Quinto atto è certamente il masque più lungo e complesso ed ha come protagonista iniziale Giunone che, in una scrittura intrisa di arabeschi, invita gli amanti ad essere felici e liberi (Thrice happy Lovers, may you be / For ever, ever free – Amanti tre volte felici, siate per sempre / per sempre liberi). A questa invocazione segue The plaint (Il lamento), il brano solistico più lungo e complesso dell’intero masque che fu aggiunto da Purcell in occasione della ripresa del 1693. Simile, secondo alcuni, al lamento di Didone dell’opera maggiore del compositore britannico, è in realtà molto più sviluppato con una sezione centrale in maggiore e un arioso di carattere declamatorio in corrispondenza del verso He’s gone, he’s gone, his loss deplore (Egli se n’è andato, se n’è andato, lamentate la sua perdita). Una sinfonia, che copre il nuovo cambio di scena, introduce lo spettatore in un giardino cinese il cui significato è quello di contrapporre la bellezza dello stato di natura alla vita della corte. L’aria del cinese, Thus the gloomy World (È così che il tenebroso Mondo), è un brano brillante, mentre più quadrata e di carattere gaio appare quella della donna cinese (Thus Happy and Free – Felici e liberi). Una seconda aria del Cinese (Yes, Xansi, in your Looks I find – Sì, Xansi, nei tuoi sguardi io trovo), che si configura come un appello alla bontà, precede una danza delle scimmie che si distingue per una certa sfrontatezza. Intervengono due donne che invocano Imene intonando due arie, nella prima delle quali si può notare l’influenza della scrittura di Giacomo Carissimi, mentre la seconda si distingue per il carattere virtuosistico della parte della tromba e del soprano. Alla fine, dopo qualche resistenza, Imene fa la sua apparizione e si produce in un affascinante arioso (See, see, I obey – Vedete, obbedisco) e, insieme con le due donne, canta una benedizione indirizzata ai due amanti. Il masque si conclude con una ciaccona delle quali esistono due versioni.