“Aida” al Teatro Verdi di Pisa

Pisa, Teatro Verdi – Stagione Lirica 2015/2016
“AIDA”
Opera in quattro atti su libretto di Antonio Ghislanzoni
Musica di Giuseppe Verdi
Il Re  GEORGE ANDGULADZE
Amneris  GIOVANNA CASOLLA
Aida  DONATA D’ANNUNZIO LOMBARDI
Radames  LEONARDO CAIMI
Ramfis  ELIA TODISCO
Amonasro  SERGIO BOLOGNA
Un Messaggero  EMANUELE BONO
Una Sacerdotessa  SOFIA JANELIDZE
Orchestra Regionale Filarmonia Veneta
Coro Lirico Amadeus
Maestro direttore e concertatore  Marco Boemi
Maestro del Coro  Giorgio Mazzucato
Regia e scene  Franco Zeffirelli, riprese da Stefano Trespidi
Costumi Anna Anni
Coreografia ripresa da Claudio Ronda
Compagnia Fabula Saltica
Allestimento firmato da Franco Zeffirelli per il Teatro di Busseto, 2001
Coproduzione Teatro Sociale di Rovigo, Teatro Goldoni di Livorno, Teatro Verdi di Pisa
Pisa, 30 gennaio 2016
Senza tanti giri di parole, la prima delle due recite di Aida messe in scena dal Teatro Verdi di Pisa è stata una di quelle serate faticose, in cui è difficile puntare il dito verso un singolo colpevole, dato che quasi tutti gli artisti coinvolti avevano certamente qualcosa di positivo da offrire, ma che non riusciva a compensare il poco felice esito complessivo.  Responsabile supremo della riuscita di uno spettacolo è generalmente il direttore d’orchestra, ed infatti a Marco Boemi si possono immediatamente imputare tempi piuttosto lenti, poco energici, scelta culminata in una scena del giudizio, e soprattutto, la coda orchestrale, così pesante, letargica e affaticante da risultare estremamente anti-teatrale: l’impressione era di un’orchestra che tentava di sottrarsi al risucchio delle sabbie mobili.  Questa predilezione per tempi “rilassati” non facilitava certo il compito ad una compagnia di canto che mostrava, chi più chi meno, difficoltà vocali anche di non lieve entità.  Donata D’Annunzio Lombardi, che ha accettato di cantare nonostante una lieve indisposizione, non è a prima vista un’Aida ideale; quello della sfortunata principessa etiope è un ruolo talmente iconico che nel mondo anglosassone spesso si parla di “Aida voice” per indicare un soprano lirico spinto in grado di dominare i concertati e al contempo eseguire alla perfezione l’infinita gamma di dinamiche fra il piano e il pianissimo di cui è costellato il ruolo.  La D’Annunzio Lombardi, soprano di rara sensibilità e ottima tecnica, maestra del canto di conversazione pucciniano come pochissimi altri artisti, riesce ad assottigliare il suono fino più o meno a un si bemolle, o almeno tale ci è parso in questa recita, poiché il tentativo di emettere il famigerato do acuto della romanza del terzo atto non è andato a buon fine: l’impressione avuta è che il soprano si sia lasciata prendere dall’apprensione all’avvicinarsi della nota, e pertanto dopo una silenziosa esitazione di una manciata di secondi, ha emesso un do davvero poco gradevole; non è da escludere che questo incidente di percorso sia dovuto all’annunciata indisposizione.  Molto ben riuscito è stato al contrario il duetto del terzo atto con Radames, e specialmente l’andantino “Fuggiam gli ardori inospiti”, intonato dolcemente come prescritto e in cui dava alle terzine quell’aura seducente ed incantatrice tanto appropriata a quel dato momento.  Buona, anche se non allo stesso livello, la sua prova nel duetto finale.  Come previsto, la necessità di un maggior volume si è fatta sentire nei concertati, in cui non riusciva ad emergere come dovuto.  Di volume al contrario ne ha in abbondanza Leonardo Caimi, che avrebbe una delle più belle voci tenorili in circolazione se solo riuscisse a risolvere il problema del passaggio registro: un registro centrale caldo e corposo che salendo ricorre a contrazioni della gola producendo suoni opachi e talora calanti.  Come interprete avrebbe le giuste intenzioni: per esempio in “Celeste Aida” il tentativo di eseguire “dolce” i fa e fa diesis al termine delle frasi era indubbiamente presente (e sappiamo quanti siano i tenori che non ci provano neanche); la spinosa questione del si bemolle a conclusione dell’aria è stata risolta ricorrendo alla variante che Verdi stesso scrisse per un allestimento messo in scena a Parma nel 1872 in cui il compositore, rendendosi conto che il si bemolle filato ben pochi tenori sarebbero riusciti ad eseguirlo e a mantenerlo, consentiva al cantante di emettere un si bemolle acuto seguito da una ripetizione di “vicino al sol” un’ottava sotto.  Non è una soluzione ideale (anche perché in tal modo si perde l’idea del trono innalzato verso il cielo) ma è stata adottata anche da illustri direttori come Toscanini, ed in ogni caso preferibile, a mio avviso, alla solita sventola di suono a tutti decibel che annienta l’effetto di sogno estasiato voluto da Verdi.  Amneris è un ruolo che Verdi stesso pensò in vari momenti di assegnare a un soprano: prima di venire a sapere che il soprano che desiderava per la parte di Aida alla prima italiana al Teatro alla Scala (la vera prima dell’opera secondo lui), Antonietta Fricci, non era disponibile, il compositore aveva immaginato nel ruolo di Amneris Teresa Stolz, che poi venne “promossa” a quello della protagonista.  Giovanna Casolla è un soprano (sfogato, un tempo sarebbe stata definita) che nel momento di massimo fulgore vocale aveva un registro medio-grave da far morire d’invidia molti mezzosoprani, e a tutt’oggi rimane la mia personale interprete preferita della Principessa Eboli.  Al crepuscolo di una gloriosa carriera, lo strumento della Casolla mostra i segni del tempo soprattutto nel registro medio-grave ormai alquanto ossidato, mentre gli acuti sono ancora potenti e spesso lucenti, come dimostra la sua prova nei panni di un’altra principessa, Turandot, alcuni mesi fa; in quelli della principessa egizia (artista di gran temperamento, la Casolla è particolarmente portata a interpretare imperiose donne di potere), il soprano napoletano ha quindi dato il meglio nei momenti in cui la tessitura si faceva acuta, come i si bemolle del duetto del quarto atto con Radames, il feroce “Anatema su voi”, nonché le salite ai si bemolle nel concertato del secondo atto in cui, all’unisono con il soprano, finiva per sovrastarla.
Sergio Bologna ha portato al ruolo di Amonasro i suoi limiti, ossia un timbro abbastanza anonimo, e i suoi pregi: canto sul fiato, strumento potente che corre in teatro e fraseggio incisivo. Come molti Amonasri, ha cercato di compensare la relativa brevità della parte con le solite gigionate tenendo all’infinito il re naturale di “Suo padre!” e il sol bemolle di “Dei Faraoni tu sei la schiava!”.  Elia Todisco è parso avere problemi di proiezione del suono, e il suo Ramfis non brillava per autorità e gravitas; simili difficoltà si avvertivano anche nel Re di George Andguladze, cui bastava un semplice re naturale (nella breve ma importantissima frase “un giorno con essa regnerai”, che modificata ricorrerà più tardi ancora nel corso dell’opera) per produrre un suono ingolato.  La Sacerdotessa di Sofia Janelidze non si distingueva per una linea di canto fermissima, mentre Emanuele Bono si è fatto positivamente notare nel breve ma cruciale intervento del Messaggero.  Sia il Coro Lirico Amadeus che l’Orchestra Regionale Filarmonia Veneta hanno più volte mostrato sfasamenti e scarsa nitidezza.  L’allestimento era quello ormai celeberrimo messo in scena da Franco Zeffirelli (con costumi di Anna Anni) per il piccolo teatro di Busseto nel 2001, visto in molti teatri e ripreso da Stefano Trespidi; a quanto pare il Maestro Zeffirelli concede questo allestimento solo se si effettuano gli stessi tagli operati all’epoca.  Se il taglio del ballabile poteva esser giustificato dagli angusti spazi del teatro di Busseto, non ha senso al contrario su un palcoscenico dalle dimensioni normali come quello del Teatro Verdi di Pisa.  Incomprensibili e censurabili sono poi, nel secondo atto, il taglio che parte da “Della vittoria agl’arbitri supremi” fino all’ingresso della tromba in La bemolle, e davvero sconcertante il taglio nel duettino fra Amneris e Radames nel primo atto, da “Forse l’arcano amore” fino all’entrata di Aida, momento di monumentale importanza per capire la psicologia di Radames e soprattutto di Amneris.  Grande successo di pubblico che ha festeggiato con caloroso entusiasmo (talora nei momenti meno opportuni) l’intero spettacolo e tutti i suoi interpreti.