Reggio Emilia, Teatro Municipale Valli: “Le nozze di Figaro”

Teatro Municipale Valli, Stagione d’opera 2015/2016
“LE NOZZE DI FIGARO”
Commedia per musica in quattro atti. Libretto di Lorenzo Da Ponte
Musica di Wolfgang Amadeus Mozart
Il conte di Almaviva ROBERTO DE CANDIA
La contessa di Almaviva
EVA MEI
Susanna
LAURA GIORDANO
Figaro
SIMON ORFILA
Cherubino
LAURA POLVERELLI
Marcellina
MARIGONA QERKEZI
Don Bartolo
FRANCESCO MILANESE
Don Basilio
MATTEO MACCHIONI
Don Curzio
UGO TARQUINI
Barbarina
GIULIA BOLCATO
Antonio
CARLO CHECCHI
Orchestra Filarmonica Italiana
Coro del Teatro Regio di Parma
Direttore Matteo Beltrami
Maestro del Coro Martino Faggiani
Regia Mario Martone ripresa da Raffaele Di Florio
Costumi Sergio Tramonti
Costumi Ursula Patzak
Luci Pasquale Mari
Maestro al clavicembalo Simone Savina
Allestimento Fondazione Teatro di San Carlo di Napoli. Coproduzione Fondazione Teatro Regio di Parma e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia
Reggio Emilia, 29 gennaio 2016
Dieci anni e sentirli poco. Queste Nozze di Figaro nascono al San Carlo di Napoli nel 2006 e approdano ora nei teatri emiliani, prima a Parma poi al Teatro Valli di Reggio Emilia (ma lo spettacolo è di recente passato, con diverso cast, anche in terra lombarda). L’impianto è tradizionale, dove per tradizionale s’intende ambientato in un Settecento plausibile. Contenti dunque quelli che per Mozart si accontentano di crinoline e parrucche: ad appagarli ci sono i costumi preziosi di Ursula Patzak. Ma resta soddisfatto anche chi in Mozart cerca anzitutto il teatro. La regia di Mario Martone, qui ripresa da Raffaele di Florio, non stravolge il libretto, ne conserva i meccanismi comici, si inventa qualche controscena discreto. E in questa lucidità senza smancerie e sovrastrutture cervellotiche si rivela portatrice di uno schietto spirito settecentesco. Vero, i personaggi si divertono a gironzolare sulle passerelle sospese sulla buca ad unire palco e platea, e del bel doppio scalone ligneo pensato da Sergio Tramonti poco se ne fanno. Ma quanto sono piacevoli i doppi sponsali di Figaro con Susanna e di Marcellina con Bartolo, celebrati al tavolone centrale, fra contadini e paesane, a sottolineare senza troppa enfasi la differenza di rango rispetto a Conte e Contessa che osservano in proscenio. Allestimento non geniale, dunque, ma noioso mai e poi mai – e il merito va anche alla compagnia di canto.
Gran voce, quella di Simon Orfila. Il suo Figaro è torrenziale nelle arie e sonoro nei concertati e se qua e là pare un po’ cavernoso, ben rende nella sua franchezza di accento la semplicità di affetti del personaggio, la sua scaltrezza istintiva. Gli sta ben accostata, per contrasto, la Susanna di Laura Giordano: chiara e limpida ma mai soubrette, regala un “Deh vieni non tardar” che è miniera di filati e pianissimi sempre timbrati. La nobil coppia è invece formata da Roberto de Candia e Eva Mei. Il primo canta il Conte giocando sulle tinte della scontrosità. Però canta tutto, appunto, senza mai sfociare nel parlato rabbioso di altri interpreti del ruolo. Forte di lunga scuola di buffo belcantista, scandisce bene e gioca ottimi acuti (salvo forse il fa diesis alla fine dell’aria, ma sono incidenti di percorso). Dal canto suo, la Mei resta un’artista di vaglia, ma è una Contessa risolta più nell’intenzione che nel canto pieno. Può funzionare: le sue arie sono comunque momenti di pathos trattenuto ed eleganza. Anche il Cherubino di Laura Polverelli non sembra del tutto a fuoco, troppo aspro nel suono e di linea vocale faticosa, soprattutto nel grazioso “Voi che sapete” intonato a lume di candela. Ma forse non era serata. Piacevoli sorprese nelle parti di fianco, a cominciare dalla luminosa Barbarina di Giulia Bolcato (quanto siamo curiosi di sentirla in ruoli maggiori!). Aguzzo ma squillante, ottimo in scena e per dizione il Don Basilio di Matteo Macchioni: scelta saggia, quella di non tagliare la sua aria al quarto atto. Meno risolta invece l’aria di Marcellina, qui interpretata con qualche incertezza d’intonazione da Marigona Qerkezi. Dignitoso, ancorché non troppo sonoro nei gravi e nel sillabato, il Bartolo di Francesco Milanese. Corretti Carlo Checchi nel ruolo di Antonio e il Don Curzio di Ugo Tarquini, e buona al solito la prova del Coro del Teatro Regio di Parma.
Dolente nota resta l’orchestra, non tanto per il timbro della compagine (trattasi dell’Orchestra Filarmonica Italiana), fatto di archi un filo troppo secchi e oboi non sempre intonati. È il piglio impresso alla narrazione da Matteo Beltrami, che qui dirige, a non convincere. Perché Beltrami confonde il ritmo con la fretta e sembra non concedersi la varietà di intenzioni che invece talvolta la musica esige: vero che le Nozze sono lunghe e che tempi spediti ben tratteggiano la frenesia di questa folle journée, ma snocciolare con tanta celerità “Che soave zeffiretto” o le arie della Contessa è poi crudeltà. E a questo passo spedito, la qualità di esecuzione dei mostruosi concertati perde di precisione e di equilibrio fra le parti. Corretto il continuista Simone Savina, onnipresente anche nei numeri musicali (pare prassi storicamente accertata), e lasciato tutto solo a fiorire i recitativi, senza manco il conforto di un violoncello o di un contrabbasso a fargli compagnia (e questo è un piccolo scivolone musicologico). Finale crepuscolare, che si compie più sulla scena che in buca: in fondo al buio palco, quelle candele che si consumano su un tavolo portano tutta la malinconia di una festa finita, di un’euforia pronta a spegnersi per lasciar di nuovo posto alla quotidianità.