“Il barbiere di Siviglia” al Teatro Comunale di Bologna

Teatro Comunale, Stagione d’opera 2016
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Commedia per musica in due atti di Cesare Sterbini
Musica di 
Gioachino Rossini
Il conte d’Almaviva RENÉ BARBERA
Don Bartolo
PAOLO BORDOGNA
Rosina
AYA WAKIZONO
Figaro
JULIAN KIM
Don Basilio
LUCA TITTOTO
Berta
LAURA CHERICI
Fiorello
GABRIELE RIBIS
Un ufficiale
RAFFAELE COSTANTINI
Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna
Direttore 
Carlo Tenan
Regia
Francesco Micheli
Scene e luci
Nicolas Bovey
Costumi
Gianluca Falaschi
Nuova produzione del Teatro Comunale di Bologna con l’Opera Nazionale Greca di Atene
Bologna, 12 maggio 2016
Il barbiere di Siviglia_Scena 2_I4Q0570_Casaluci_2016Neon, balletti e
ralenti. L’inizio non è dei migliori, si teme la solita regia che vuol fare le cose strane a tutti i costi e invece cade nell’ormai vieto prontuario di trovate. Invece, man mano che questo Barbiere di Siviglia bolognese procede, la messinscena pensata da Francesco Micheli convince. Non turba poi troppo l’idea assai arbitraria di calare la vicenda fra costumi (di Gianluca Falaschi) e scene (di Nicolas Bovey) che ammiccano alla cultura pop/rock degli anni Settanta e Ottanta (ragion per cui Almaviva canta la sua serenata fra candelabri degni di un Liberace e i panni di Don Alonso sono quelli di un hippie strafumato, Figaro veste in bianco come il ducal David Bowie, Basilio è una cupa rock star dalle unghie laccate di nero). La porta del kitsch è ampiamente sfondata, non tutti i particolari sono di buon gusto, ma niente intralcia il ritmo teatrale rossiniano, che anzi ne esce esaltato: come tutti i pezzi d’insieme, il finale primo funziona a perfezione, e non è poco. E intriga l’idea di una Rosina che (fatto il suo ingresso in stucchevoli abiti color Big Babol, imprigionata in asfittica casa di bambola) acquista in profondità psicologica via via che l’opera avanza, salvo poi finire in un’altraIl barbiere di Siviglia_Scena 4_9927_Casaluci_2016 casuccia, stavolta dorata, d’oro vestita come il Conte che ora le è marito: vittima di oppressione maschile era, vittima di un’altra oppressione maschile torna ad essere. Ma in un’opera rossiniana a nulla varrebbe il buon lavoro di un regista se anche il cast non presentasse buoni elementi. Vittoria doppia: qui la compagnia è buona e crede nell’allestimento. Bellissima coppia di innamorati, quella formata da René Barbera e Aya Wakizono. Il tenore americano sfoggia portamenti eleganti, sa fare mezze voci, sbalordisce per il controllo sovrano della tessitura e per la qualità degli acuti, per cui gli si perdona anche qualche suono nasale di troppo. Come un filo troppo cavernosa nei gravi suona la voce del mezzosoprano giapponese: ma la Wakizono ha coloratura così esatta, timbro così squillante in acuto, temperamento di attrice così notevole che qualsiasi obiezione risulta di troppo. Julian Kim è Figaro: il baritono coreano sarebbe forse più a suo agio in parti cantabili, la dizione non è sempre esatta, ma gli acuti sono belli, l’accento è vivace, il colore della voce resta bello. Splendido timbro di basso è quello di Luca Tittoto, che dipinge un Basilio cupo ma mai troppo cavernoso: peccato solo che nell’Aria della calunnia la voce non sia sonora in tutti i registri. Di Paolo Bordogna ancora Il barbiere di Siviglia_Scena_I4Q0378_Casaluci_2016una volta si apprezza la bravura d’attore e lo stile musicale sempre appropriato; perfetto il sillabato e altissimo il senso del teatro in ogni suo intervento. Completano il cast la Berta di Laura Cherici (che regala piacevoli variazioni, nonostante qualche durezza di troppo nell’emissione), il buon Fiorello di Gabriele Ribis e l’Ufficiale di Raffaele Costantini. Se alta è la resa delle voci, non immacolata ma originale è la lettura che dà Carlo Tenan dell’ancor oggi spesso bistrattata partitura. Il gesto non è dei più chiari e qualche scollamento fra buca e palco non gli fa onore, ma si avvertono nel suo approccio una certa cura per i particolari del fraseggio orchestrale, la ricerca di un tactus mobile e di un ventaglio espressivo variegato, dal vivace al cupo: il Temporale, sotto la sua bacchetta, diventa miniera di timbri, e nulla ha da invidiare alla più celebre pagina dal Guillaume Tell. Segno, insomma, che anche nello strasentito Barbiere si può dire qualcosa di insolito.Foto Rocco Casaluci